Ecco il divino nell’agire economico, attirato dall’unità tra imprenditori e lavoratori, con fornitori e clienti, con la pubblica amministrazione e, soprattutto, con gli indigenti

 

Economia di comunione nella libertà

di Alberto Ferrucci

 

Dopo il crollo dell’economia comunista assisteremo anche a quello dell’economia capitalista? Il grido, spesso disperato, dei poveri del mondo che diventano sempre più poveri, esige una risposta che non potrà attendere per molto tempo. Nell’ambito del Movimento dei focolari è in atto un esperimento di laboratorio in campo economico, che sta suscitando fondate speranze per un’economia dal volto umano. Ce ne parla Alberto Ferrucci, imprenditore genovese, coinvolto in prima persona in questa nuova esperienza.

 

Le origini

In occasione nel 1991 di un viaggio ad Araceli, la cittadella brasiliana del Movimento dei focolari – attraversando la città di San Paolo – Chiara era stata colpita nel vedere, accanto ad una delle maggiori concentrazioni di grattacieli del mondo, altrettanto grandi estensioni di favelas, quartieri fatti di misere abitazioni di fortuna, in cui lei sapeva vivevano anche persone che avevano aderito al suo carisma dell’unità. Chiara aveva in quel momento sentito l’urgenza di provvedere alle prime necessità – il cibo, un tetto, le cure mediche e quando possibile un lavoro – almeno per quei brasiliani per lei così prossimi, per i quali la comunione dei beni nel movimento fino allora non era stata sufficiente. Giunta ad Araceli, spinta dalla enciclica papale pubblicata in quei giorni sui problemi economico-sociali, la Centesimus Annus, e certa della generosità dei brasiliani, Chiara aveva lanciato la proposta dell’Economia di comunione nella libertà: un invito ai duecentomila membri del movimento in Brasile a mettersi tutti assieme – "siamo poveri ma tanti…" – per far nascere, accanto alla cittadella, affidandosi ai più competenti tra loro, attività produttive capaci di creare utili e nuovi posti di lavoro. Proponeva, a chi sarebbe diventato socio di queste aziende, di creare posti di lavoro per gli abitanti della cittadella e di destinare gli utili delle stesse in questa maniera: dopo aver accantonato un terzo per lo sviluppo delle aziende ed aver pagato le tasse, devolvere quanto sarebbe loro spettato, ai poveri e per finanziare la formazione di uomini nuovi.

 

La novità

Quale la "novità" di questo progetto? Oltre alla comunione del sovrappiù, praticata da sempre nel movimento, Chiara proponeva di attivare anche una "comunione produttiva": accanto alle esistenti piccole attività economiche già presenti nelle cittadelle del movimento ad opera dei giovani delle scuole di formazione ivi residenti, sarebbe dovuto nascere anche un vero "settore industriale". Le cittadelle si sarebbero trasformate così in "città pilota", in cui era praticata e visibile – anche nelle attività economiche – la "cultura del dare" tipica del vangelo. Aziende simili, nate in aree diverse, avrebbero poi potuto contribuire a creare lavoro e condividere utili. Chiara proponeva a noi imprenditori di produrre, con professionalità e creatività, prodotti utili e di buona qualità, operando nelle nostre aziende in modo trasparente, pagando le imposte e non le tangenti, senza inquinare e senza cadere in concorrenze scorrette. Ma c’era anche qualcosa di molto innovativo nella sua proposta: utilizzare gli utili, oltre che per potenziare l’azienda, anche per condividerli liberamente con gli indigenti più prossimi, e diffondere così la cultura del dare. Tutto questo senza dimenticare di lasciare uno spazio all’intervento di Dio – reso presente nell’azienda dalla costante ricerca dell’unità che è effetto del reciproco amore fraterno – anche nel concreto operare economico. Un’economia basata in altre parole, anziché su una lotta per prevalere, su un "impegno per crescere insieme", rischiando risorse economiche, inventiva e talenti, per condividere gli utili con coloro che l’attuale sistema economico tende ad escludere perché "non produttivi".

 

L’attualità e valenza umana

Una proposta che a prima vista può sembrare difficile da accettare, ma che è di grande attualità e valenza umana. Il benessere economico – ottenuto a spese degli esclusi – non produce felicità e pace, neppure in quanti sembrerebbero insensibili alla sofferenza altrui. Se non altro perché, come sempre più spesso si sperimenta, occorre poi difendersi dalla disperazione degli ultimi, rinchiudendosi dietro porte blindate ed in quartieri recintati. Per contro, tutti possiamo sperimentare nella nostra famiglia la pienezza e la pace che viene dal donare, dal provvedere senza calcolo a chi al momento non è in grado di farlo da solo. Chiara propone per ora, come in un esperimento di laboratorio, di allargare l’orizzonte dalla famiglia naturale alla famiglia del movimento – che già è "un cuor solo ed un’anima sola" – e poi all’intera famiglia umana, perché anch’essa lo diventi. L’economia di comunione nella libertà, in questi primi sei anni, prima che un fatto economico, è stata l’impegno di chi ha scelto la cultura del dare, di dimostrare la possibilità – nell’ambito dell’economia di mercato – di un agire economico alternativo.

 

Una scelta impegnativa

Un agire economico trasparente che, in un’economia basata sul presupposto che "gli affari sono affari e nulla deve interferire", spesso si presenta come una vera "porta stretta"; porta che le aziende di economia di comunione riescono a superare solo in forza dell’unità evangelica tra imprenditori e lavoratori, e grazie alla presenza del divino e dei doni dello Spirito, che tale unità attira. La scelta dell’economia di comunione è stata ancor più radicale per i giovani ed i meno giovani che per aderirvi si sono improvvisati imprenditori, ed ora stanno attraversando il difficile guado dell’inesperienza. Una scelta anche per gli universitari, che per studiare da vicino le prime aziende dell’economia di comunione e predisporre le tesi di laurea sulla loro esperienza, hanno affrontato lunghi viaggi attorno al mondo. Sono ormai più di venti le tesi già discusse ed oltre cento quelle in preparazione in tutto il mondo. Varie università in Europa, in Australia, ed in America Latina stanno organizzando seminari e congressi per studiare l’evolversi di questa nuova esperienza. L’ultimo si è tenuto nei mesi scorsi all’Università d’Antioquia, a Medellin, in Colombia.

 

La consistenza attuale

Le aziende che in questi anni hanno aderito al progetto sono oggi circa 750. Oltre 200 in America Latina, e 300 in Europa, di cui 150 in Italia, 50 in Germania ed alcune nell’Est europeo. Un discreto numero anche in Nord America ed in Asia – in particolare nelle Filippine – ed alcune anche in Africa e in Australia. In Italia, a Sestri Levante, una piccola azienda di tre artigiani si è trasformata in questi anni in un complesso che oggi da lavoro a 260 persone. In alcune parti del mondo le aziende si sono collegate tra loro. In Germania è nata la Solidar Capital, una finanziaria dedicata allo sviluppo delle aziende di economia di comunione nel terzo mondo. Accanto alle cittadelle in Brasile ed Argentina si stanno formando dei piccoli centri industriali. In quello brasiliano operano in questo momento tre aziende: abbigliamento, manufatti di plastica e detergenti. Tra i 1800 soci della società che gestisce il polo, moltissimi sono i piccoli azionisti: alcuni abitanti delle "favelas" hanno avviato piccoli commerci per raccogliere i cinque dollari necessari per diventare soci. Oltre 300 aziende nel 1996 hanno versato i loro utili, che, assieme ad un contributo straordinario di tutti i membri del movimento – perché da soli non ancora sufficienti – hanno permesso di provvedere a tutti i 7000 indigenti che in precedenza non si riusciva ad aiutare. Si sta così ripetendo, a livello mondiale, l’esperienza dei primi cristiani narrata negli Atti degli Apostoli, e quella della prima comunità del movimento a Trento, in cui la comunione dei beni aveva fatto sì che non vi fosse più alcun bisognoso.

 

Una speranza per l’umanità

Può questo progetto diffondersi ed aiutare quest’umanità nella ricerca di strade di pace e scongiurare nuove atrocità tra gli esseri umani e la distruzione della natura? In un recente convegno un professore della London School of Economics commentava: "Non c’interessano nuove ricette per cambiare il mondo, pur affascinanti che esse siano. Saremmo invece molto interessati ad elaborare un modello di comportamento umano più aderente alla realtà di quello oggi adottato, che prevede come massima razionalità, l’egoismo. Tra imprenditori, lavoratori, soci finanziatori ed indigenti del progetto d’economia di comunione, si può sperimentare un nuovo modello di persona che si realizza nella relazionalità anziché nell’egoismo razionale". Nello stesso convegno un’imprenditrice filippina spiegava perché l’azienda di consulenza che, abbandonando il lavoro in banca, aveva fatto nascere per partecipare al progetto, in cinque anni era diventata nel suo settore la realtà più importante del Sud Est Asiatico: "Dio ci aiuta perché abbiamo molti fratelli indigenti cui provvedere, bambini che, se non curati subito, diventerebbero ciechi". Ecco il sapore, il ritorno del divino nelle cose umane, anche nell’agire economico. Un divino attirato dall’unità tra imprenditori e lavoratori, con fornitori e clienti, con la pubblica amministrazione, e soprattutto con gli indigenti, che spesso vengono esclusi dalle attività produttive. Nascono così imprese che tutti – anche se non vi lavorano e non ne sono soci – sentono proprie. Esse creano posti di lavoro ed i loro soci danno gli utili per gli indigenti e per diffondere una nuova cultura. Sono quindi un esempio "vitale" della funzione sociale dell’impresa, propria della dottrina sociale cristiana: l’imprenditore diventa un prezioso fratello che rischia del suo a vantaggio di tutti.

 

Un nuovo tipo di capitale: i rapporti

In un’impresa così – e tra imprese così – si forma un "capitale di rapporti" che non si può misurare in milioni di dollari, un capitale di cui nessuno si può impadronire con manovre finanziarie o speculazioni: un capitale che servirà per superare i momenti difficili. Un capitale di rapporti che si crea in un ambiente di fiducia, in cui, nel rispetto dei propri doveri, tutti sono liberi di donare. Il successo del collega diventa anche il tuo, la sua innovazione potrà essere applicata da chi vorrà. Emulando chi fa meglio, crescerà la speranza di migliorare. S’innescherà uno sviluppo economico basato sulla "reciprocità", sul dono senza attesa di ritorno e sulla gioia del ritorno inatteso. Gesù ha promesso che sarà, fino alla fine del mondo, accanto a chi vive così. Gli operatori si accorgono di questa presenza dalla pace che provano e spesso anche dai risultati economici. Una provvidenza di Dio, che si manifesta a volte come un introito inatteso, ma spesso nella genialità di una soluzione tecnica innovativa o nell’idea di un nuovo prodotto vincente. Eventi che, comunicati, producono la pace nell’animo e la soddisfazione sul lavoro. Sperimentiamo così col nostro lavoro – e possiamo dirlo senza presunzione perché a questo tutti siamo chiamati – uno squarcio di cielo in terra.

 

 

 

RICCHEZZA POVERA

Ho incontrato un uomo che vedeva col cuore e metteva fiori al davanzale perché altri potessero goderne. Ho incontrato un uomo in una casa antica con le porte sempre aperte per tutti. Era la sua ricchezza. Una ricchezza povera perché in mano d’altri, semplice per non creare barriere, perfino bella, certamente amata. Sono tornato a casa riconciliato con la mia povertà che è triste se non so darle un senso. La malattia può essere il capolavoro di un’esistenza intera. Il segreto più intimo di una vita. Un canto.

 

(8 agosto 1996) Gianni Beraudo

 

G. Beraudo, Stella di mistero, Primalpe, Boves (Cuneo) 1997, p. 56.