Formazione permanente del clero: un approccio inedito

Narrare la propria fede

Intervista a don Giuseppe Zanon

Nella situazione delle nuove e grandi sfide che l’umanità sta affrontando è urgente la formazione permanente dei presbiteri perché essi siano il più possibile all’altezza del loro servizio nelle comunità cristiane. La diocesi di Padova sta portando avanti da qualche anno un’esperienza innovativa in questo campo. Abbiamo intervistato al riguardo don Giuseppe Zanon, delegato vescovile per il Clero e direttore dell’Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri. Alle nostre domande egli ho risposto con linguaggio descrittivo e divulgativo cercando di cogliere le condizioni che hanno permesso questa esperienza tuttora in atto, le costanti che la orientano e i possibili sbocchi nella vita di comunione dei presbiteri e delle loro comunità parrocchiali.

«Sinodalità presbiterale»:la condivisione ha cambiato il clima

GEN’S: Che cosa vi ha portati a un rinnovamento della formazione permanente del clero?

Sono ormai cinque anni che si è avviata una modalità nuova di formazione permanente dei presbiteri nella nostra diocesi di Padova, una modalità nata da un’esperienza, che ha avuto uno sviluppo nel tempo ed è tuttora in corso.

Questa avventura cominciò alla conclusione del Giubileo con la proposta fatta al Consiglio presbiterale di invitare i preti a vivere una settimana residenziale, insieme col vescovo: per ravvivare la loro speranza, per confortare e riesprimere la loro fede, per sperimentare concretamente la fraternità, per condividere alcune scelte pastorali significative. Non c’era un obiettivo preciso per queste settimane, che presero il nome di “sinodalità presbiterale”, se non il condividere insieme la propria fede. Il vescovo, annunciando l’avvenimento ai fedeli perché si unissero nella preghiera, presagiva che «i preti avrebbero rivissuto l’esperienza del cenacolo». Il titolo delle settimane era «Il presbitero, uomo e credente». Dato il numero dei preti della diocesi furono offerte nell’autunno del 2001 cinque settimane in cui si distribuirono 420 preti ed una decina di laici invitati.

GEN’S: Cosa c’è stato di nuovo in questo convenire del clero?

La scelta, che si rivelò qualificante, fu di non iniziare la settimana con una relazione teologica o pastorale sulla fede, ma di invitare ciascuno dei presenti, in gruppi di una decina di persone, a narrare qualcosa della storia della propria fede, per un breve tempo, sei o sette minuti. I moderatori dei gruppi erano stati preparati per garantire un clima di reciproco ascolto, senza interventi di giudizio o di invito alla discussione: si trattava solo di offrire e di accogliere qualcosa di molto personale, che doveva restare all’interno del gruppo. Fu una scommessa, per i preti abituati a discutere della fede teologicamente o pastoralmente, ma non a mettersi in questione personalmente. Non ci furono grosse difficoltà ad aprirsi: l’esperienza di condivisione della fede cambiò il clima globale. Venne sperimentata l’accoglienza profonda della persona, a livello umano e di fede. Dalla fede all’esperienza della fraternità, alla gioia dello stare insieme. Si iniziava ad assaporare la presenza dello Spirito dai suoi frutti: carità, gioia, pace, benevolenza ...

Si staglia un percorso

GEN’S: Quale il ruolo del vescovo e del Consiglio presbiterale?

Il vescovo era presente ai momenti assembleari, presiedeva le celebrazioni con l’omelia, restava in ascolto dei suoi preti, parlava solo all’ultimo giorno, recependo le intuizioni, gli impegni, i desideri espressi dai preti e rilanciandoli con l’autorevolezza di vescovo. La presenza costante del vescovo, in questa modalità, ha modificato la percezione delle settimane: non corsi di formazione, ma momenti di vita del presbiterio e della diocesi.

Al termine di ogni settimana i partecipanti raccoglievano quanto era emerso in una lettera al Consiglio presbiterale. Le indicazioni hanno costituito materiale per una sessione straordinaria del Consiglio, insieme con i vicari foranei nel gennaio del 2002. Sono emersi cinque ambiti che sarebbero stati oggetto di considerazione del Consiglio e della diocesi: l’attenzione alla persona del prete, il vicariato, l’alleggerimento delle incombenze burocratico-amministrative, la spiritualità, la formazione permanente.

Per la formazione permanente dei presbiteri nello stesso anno prendeva forma l’Istituto San Luca. L’avvio ha visto l’Istituto impegnato ad accompagnare i piani pastorali diocesani e ad offrire occasioni in cui l’esperienza di fraternità e sinodalità goduta nelle settimane, presa come una sorta di modello, potesse continuare negli incontri ordinari dei presbìteri. Si concretizzava in questo anche l’attenzione al vicariato. È stato preparato un modulo di proposte formative per una tre-giorni residenziale, realizzabile da ogni gruppo di preti di un vicariato o forania. Quasi tutti hanno provato l’esperienza, con il rinnovarsi della gioia e della fraternità sperimentate nelle settimane, il che ha portato nell’anno successivo alla sua riproposizione. Nella terza edizione è stata introdotta una novità: d’accordo con il Consiglio pastorale diocesano si è suggerito di invitare anche i laici presenti al Coordinamento pastorale vicariale, l’organismo di partecipazione che coordina le iniziative pastorali di un vicariato.

L’attenzione alla spiritualità del prete ha portato alla riproposizione di cinque settimane residenziali nel 2004, nello stesso stile delle prime, dal titolo: «Con voi... per voi... verso l’unità di vita». Si è ripetuta l’esperienza di gioia e di fraternità della prima volta.

Segreto del successo:
la gratuità dell’incontro fra persone

GEN’S: Ci sembra di intuire che avete puntato più sul favorire la comunione tra i partecipanti che sul promuovere un arricchimento puramente intellettuale. Conseguentemente ci sarà stato anche un arricchimento sapienziale!

L’inizio, la scintilla da cui è partita la vicenda, è l’esperienza di narrare la fede. Il fatto nuovo era la partenza: non una conferenza, ma la narrazione e l’ascolto reciproco di un tratto della propria storia di fede. Ne sono nate la gratuità dell’incontro fra persone, l’esperienza di potersi confidare e di essere accolti al di là del ruolo, la reciproca offerta di qualcosa che appartiene alla sfera più personale, il proprio cammino di fede. Si è partiti dalla condivisione della propria fede e si è giunti alla scoperta del valore della persona e della relazione. La persona si rivela narrando, perché noi siamo la nostra storia.

Quale tesoro di sapienza umana e di fede è contenuto in ogni persona, nella sua storia! Un tesoro spesso custodito in cassette di sicurezza, di cui neppure il possessore è consapevole. Mettere in circolazione questo tesoro è dare valore ad un capitale immenso non utilizzato. Evangelicamente potremmo dire che si rinnova la situazione del ragazzo che mise a disposizione i cinque pani e i due pesci, da cui tutti si sfamarono e ne avanzarono dodici ceste.

Tenere una lezione o una relazione è compito da maestri, ma narrare la propria esperienza è alla portata di chiunque: dare la parola a tutti nella Chiesa significa realizzare nella concretezza le affermazioni sulla dignità di ogni battezzato e sull’importanza di realizzare forme di comunione. Le persone possono crescere mettendo in comune la ricchezza di esperienza umana e di fede

L’ascolto continuerà con il confronto con la Parola di Dio scritta, già anticipata in qualche narrazione, con i documenti della Chiesa, con l’apporto di maestri di specifiche discipline. Questo ascolto diventa contemplazione, diventa preghiera, diventa conversione personale e comunitaria.

L’esperienza di narrazione e ascolto della fede ci rende consapevoli che la Storia sacra non è racchiusa solo nelle pagine della Scrittura, ma che Dio Padre continua il mistero dell’Incarnazione nella vita della Chiesa, continua a scrivere la storia sacra con le persone, con le famiglie, con le comunità cristiane, dentro la storia del mondo. Questo ci pone in un religioso ascolto delle situazioni che le persone e le comunità stanno vivendo

Progettazione pastoralecome frutto di un con-sentire

GEN’S: Questa narrazione-ascolto in stile sinodale a tutti i livelli ha portato dei frutti?

Dare la parola e mettersi seriamente in ascolto porta ad una progettazione pastorale frutto di un con-sentire. Se si usa il lavoro di gruppo solo come tecnica per l’approfondimento di una relazione, per un confronto di esperienze, si dà la sensazione che sia uno spazio di sfogo. Ma se la narrazione-ascolto che avviene nel gruppo è condivisione della situazione di vita personale e comunitaria, se approda ad una comune ricerca di convergenze (sinodalità), non può essere ignorata, non si può fare come se non si sia parlato: deve avere un seguito operativo, per quanto umile esso sia. È una rivoluzione pastorale, dai livelli parrocchiali a quelli presbiterali e diocesani. Senza togliere il compito e l’onere a chi presiede, lo stile sinodale ha esigenze di verità che non possono essere prese in giro. Perciò senza l’adesione convinta del vescovo e dei responsabili diocesani della pastorale non è possibile una formazione permanente di questo genere, altrimenti crea solo frustrazioni.

L’iniziativa che ha scosso l’inerzia sono state le settimane residenziali, seguite dalle tre-giorni residenziali da vivere in vicariato. Poi si è lavorato per migliorare gli incontri formativi, spirituali e pastorali già in uso da tanto tempo. Un cammino lento, che ha portato i suoi frutti, ma che attende sempre di essere consolidato. Si tratta di imparare uno stile nuovo nel fare le cose di sempre.

Questo cammino è stato pensato, come intenzione, per l’intero presbiterio, o almeno per il grande gruppo di presbiteri ancora nell’esercizio del ministero e disponibili al rinnovamento. Un cammino che consenta alla maggior parte dei presbiteri di assimilare il gusto del condividere, del narrare, dell’ascoltare, nell’accoglienza senza giudizio e nella stima vicendevole è per forza di cose un percorso lento. Ma questo lavoro può modificare la mentalità di più persone perché un pur piccolissimo passo, se fatto insieme, segna un punto di non ritorno.

Investire nella formazione degli animatori

GEN’S: Si sa che per cambiare una mentalità individualista che affonda le radici nel passato bisogna lavorare con tutto l’insieme ed esige pazienza e costanza. Come vi siete mossi?

Ci siamo resi conto che un grosso investimento di risorse formative va riservato ai responsabili, che in genere sono disponibili ad un cammino che li aiuti nello svolgimento dei loro compiti.

In vista della prima settimana sinodale circa quaranta animatori, in due brevi corsi, si erano preparati alla conduzione di un gruppo. Si è trattato di un investimento rivelatosi particolarmente prezioso. La stessa preparazione è stata proposta a quanti animavano le tre-giorni vicariali.

Nel 2004 si è cominciato anche a promuovere annualmente due giorni di formazione per i vicari foranei. Gli argomenti affrontati riguardavano soprattutto stile e metodo del lavoro pastorale: come condurre una riunione? Come gestire i conflitti? L’offerta di questo tipo di aiuto è stata particolarmente apprezzata dai vicari foranei, che vi hanno aderito nella quasi totalità.

Rapportarsi con il mondo laicodella formazione

GEN’S: C’è stato un apporto costruttivo anche da parte dei laici in questo processo formativo dei presbìteri?

In questi corsi, come in altri, tipo quello sull’omelia, ci siamo avvalsi dell’apporto di laici, che operano abitualmente nel campo della formazione del personale nelle aziende. Rapportarsi con il mondo laico della formazione è stato un innesto interessante ed una provocazione sotto molti punti di vista. Noi preti usiamo ancora come mezzo formativo abituale la lezione frontale, con una grande fiducia nella capacità intellettuale e mnemonica delle persone, legati come siamo alla concezione platonico-socratica che una buona idea, spiegata bene, si imponga da sé e modifichi il comportamento dell’interlocutore. Tutto l’apporto delle scienze della formazione, utilizzato ampiamente dalle aziende a fine di maggior produttività, è rimasto estraneo ai nostri corsi di formazione, forse per diffidenza più che per i costi. L’utilizzo di queste tecniche di apprendimento è promosso dai preti giovani nelle attività per i ragazzi e i giovani, soprattutto nei campiscuola, ma è ancora lontano dall’essere proposto nel lavoro con gli adulti.

È ancora molto diffusa un’impostazione della formazione permanente presbiterale che privilegia i contenuti ed è preoccupata solo dell’ortodossia, senza dare la giusta rilevanza al metodo. Noi abbiamo lavorato molto sul metodo, scoprendo che nel vivere il metodo sinodale si venivano a concretizzare principi teologici, spirituali e pastorali sempre ripetuti verbalmente, ma mai accompagnati da opportuni moduli di realizzazione.

GEN’S: Siamo convinti che riguardo alle nuove tecniche di formazione, tra il loro rigetto totale o l’assunzione acritica, ci sia lo spazio per un utilizzo intelligente ed evangelico. Ma questa novità è stata facilmente accettata dal clero?

Nell’introdurre il discorso dei formatori laici specializzati, abbiamo dato rilievo anche all’apporto che la formazione presbiterale riceve dalla semplice presenza di laici alle stesse attività formative. La compresenza di preti e laici in un cammino formativo comune arricchisce di valore aggiunto il lavoro e incide molto sulle possibilità di cambiamento di mentalità e di prassi nel presbitero. Questo sia per un motivo di reciproca emulazione, sia perché alcune dimensioni vitali profonde – patrimonio comune di ogni uomo e donna – possono essere riscoperte dai presbiteri dopo molti decenni di impostazione spiritualistica. Tanti passaggi formativi avvengono per contagio, senza essere direttamente tematizzati all’interno del corso proposto.

Coltivare i rapporti personali

GEN’S: Per incidere in profondità nella formazione sono indispensabili rapporti personali di mutua fiducia…

Certamente! L’insieme delle proposte formative affianca, provoca, sostiene il cammino di formazione personale, ma questa non può essere delegata ad una istituzione. La formazione se non diventa autoformazione, non arriva ad alcun risultato. Vorrei qui sottolineare la rilevanza del rapporto con i singoli presbiteri da parte dell’incaricato per la formazione permanente. Egli in una relazione personale può efficacemente incoraggiare la partecipazione ad un corso elettivo o segnalare possibili altri percorsi. Quante proposte segnalate sugli organi di informazione diocesana e/o pubblicizzati con dépliant sarebbero rimaste sulla carta se non fosse intervenuto un lavoro personale di accostamento di singoli, sia di persona che per telefono. L’invito personale è accolto ed apprezzato come un gesto di interessamento, anche quando la persona dovesse declinarlo per i motivi più vari o rinviarlo ad altra occasione.

Posso direttamente testimoniare che una telefonata su quattro trova la persona disponibile ad un cammino più o meno impegnativo. Così è stato anche per la proposta delle tre settimane sabbatiche: individuati una trentina di preti possibili fruitori, avvicinatili personalmente, otto sono stati disponibili ad affrontare un’avventura inedita, sulla fiducia di chi la proponeva. Altri si sono resi disponibili per farlo in seguito. Il cammino di formazione ha spesso bisogno di un invito diretto, personale.

Guardare l’unità della persona

GEN’S: Voi ponete con molta decisione al centro la persona…

Vorrei fare alcune osservazioni. L’avvio di una modalità diversa di formazione è partito dalla scoperta della persona ed è implicito che il soggetto della formazione è la persona nella sua globalità. Vuol dire che non c’è formazione solo pastorale, solo teologica, solo spirituale, solo tecnica, solo psicologica: ogni cammino formativo, anche se privilegia l’attenzione ad un ambito, si rivolge all’uomo, al credente, al prete, curando l’unità della persona. Questa scelta orienta finalità e metodi della formazione. Certo è più facile predisporre una serie di conferenze che prevedere un percorso che attiva e coinvolge l’intera persona, esperienza, sentimenti, relazioni, creatività. Forse occorre investire risorse per inventare moduli formativi di questo tipo che siano riproponibili in altri contesti ed è questo uno dei compiti che l’Istituto san Luca si propone, senza fretta, ma lavorando in questa direzione.

GEN’S: Una formazione globale di questo tipo è nuova e se porta ad una maggiore comunione, si ispira al Vangelo…

Anche se a prima vista il discorso fatto finora può dare l’impressione che il rinnovamento della formazione permanente sia stato una questione di organizzazione, di metodi e di utilizzo di tecniche: posso assicurare che le attenzioni raccontate non ci hanno distolto dalla centralità del Vangelo. Abbiamo sottolineato il nuovo del cammino formativo, dando per scontata l’adesione a valori indiscussi e condivisi. Se non m’inganno, credo di aver visto crescere la fede e la spiritualità dei presbiteri in questo cammino.

L’impianto non è alternativo: l’umano al posto del religioso, il metodo al posto della grazia, la relazione umana invece della preghiera, la tecnica invece dell’amore. Si è cercato di promuovere la globalità della persona, di curare aspetti carenti o ignorati, per una maggiore unità di vita, per una autenticità del ministero.

Certo questa impostazione trova consonanza con una certa teologia di Dio, del mistero dell’Incarnazione, della Chiesa, della missione. Altre impostazioni teologiche non accetterebbero di mettersi in questa direzione. Io spero che nella Chiesa continui lo spirito del primo Concilio, quello di Gerusalemme, dove avvenne il riconoscimento della differenza, in una reciproca accoglienza.

a cura della redazione





Il contenuto di questa intervista sotto il titolo “Formazione permanente del presbiterio; la potenza operativa del raccontare la propria fede” si trova in forma più estesa nella rivista “Tredimensioni, Psicologia Spiritualità Formazione”, 4 (2007), pp. 193-203.