«Difendiamo la gioia»

Che la condizione umana sia intrisa di luci ed ombre, di gioie e sofferenze, di successi e fallimenti, di crescita e di inflessioni o involuzioni, di nascita-maturità-morte, tutto inscindibilmente miscelato, è qualcosa di evidente ed esperienza universale.

Forse però mai come oggi lungo la storia si è parlato tanto di notte, di buio. Sarebbe facile percorrere i vari settori della conoscenza e raccogliere quantità di saggi, romanzi, poesie, di questi ultimi anni, che hanno per titolo o per contenuto tale tematica. Un esempio per tutti: è sintomatico che una delle opere chiave di Z. Bauman, sociologo di fama internazionale, si chiuda con un capitolo che ha per titolo “Pensare in tempi oscuri” (Vita liquida, Laterza 2006).

I motivi di questa nuova attenzione e consapevolezza sono senz’altro tanti, e non è qui il luogo di tentare un elenco più o meno completo e tanto meno un’analisi. Potremmo menzionarne qualcuno a titolo meramente indicativo. La perdita di riferimenti trascendenti che diano fondamenti ai valori e motivazioni positive alla vita provoca, in tanti, insicurezza, angoscia, depressione. Il consumismo e la ricerca passeggera e spasmodica del piacere, senza assunzione di responsabilità, ha come sbocco la noia, una consuetudine triste che non produce pienezza umana e felicità. L’abbondanza in cui vive il 20% della popolazione mondiale accanto alla povertà e miseria del restante 80% (solo i “bambini schiavi” costretti a lavorare o ridotti alla prostituzione, messi insieme, costituirebbero oggi l’ottavo Paese per numero di abitanti al mondo), è un tale assurdo da provocare quella che è stata chiamata “la notte oscura dell’ingiustizia”. È inevitabile almeno nominare ancora le tenebre e gli orrori prodotti dalle guerre e violenze che costellano il pianeta e che costituiscono una sconfitta della dignità e razionalità umane, innescando sempre nuove spirali di odio e disperazione. E l’elenco, come ben sappiamo, potrebbe continuare e continuare.

Per fortuna, questi “lati oscuri” non sono onnicomprensivi: la realtà umana è sempre aperta a più possibilità. Ecco una descrizione incompleta ma significativa di Edgar Morin: «ogni umano conserva potenzialmente in sé il peggio e il meglio dell’umano… è razionale, folle, produttore, tecnico, costruttore, ansioso, gaudente, estatico, cantante, danzante, instabile, immaginante, fantasmante, nevrotico, erotico, distruttore, cosciente, incosciente, magico, religioso» (Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, 1993).

Uno psicoterapeuta amico mi confidava: «Dopo diversi decenni di esperienza clinica posso dirti che nelle persone si trovano un organismo ed un cervello fatti in un certo modo ricevuti in eredità, esperienze, a volte traumatiche, un contesto famigliare e sociale di cui sono allo stesso tempo figli e vittime, un tipo di educazione e cultura ricevute che hanno forgiato una certa visione della vita… Di malvagità, di vera malvagità, ne ho trovata molto poca negli esseri umani».

Ogni persona, come mostrano non soltanto la vita quotidiana ma anche certi momenti di emergenza estrema, ha una capacità incalcolabile di compassione, di tenerezza, di altruismo, non solo di razionalità ma anche di relazionalità positiva e costruttiva, con un bisogno inesauribile ed inestinguibile di bontà e di bellezza.

Perciò l’opzione fatta da sempre nella nostra rivista di puntare a questi ultimi aspetti per metterli in rilievo e promuoverne la crescita, condivisa da milioni di persone – credenti o meno – di tutte le latitudini, è senz’altro una decisione voluta, una scelta, una scommessa. Eppure essa ha un fondamento non solo nella speranza e negli insegnamenti offerti dal Vangelo, ma anche nelle possibilità più vere e profonde dell’essere umano. Siamo convinti che si tratti della scelta più intelligente pure da un punto di vista scientifico, quella più civile, umana ed umanizzante che si possa fare.

“Difendiamo la gioia”, è il titolo di una canzone del poeta uruguaiano Mario Benedetti e del cantautore spagnolo Juan Manuel Serrat. Difendiamola, pur ben consapevoli di tutta la serietà, del mistero e della sofferenza di cui è intrisa l’esistenza umana.

Vorrei concludere mettendo in rilievo un paio di aspetti che costituiscono delle chiavi di lettura di questo numero che presentiamo.

Ogni crisi con profondi mutamenti a tutti i livelli, come quella che accompagna la transizione culturale di dimensioni epocali che oggi viviamo, può portare smarrimento, persino scoraggiamento, capitolazione. O può costituire una nuova chance. Un invito a nuove scoperte, al ritrovamento di categorie e prassi più appaganti, a nuove sintesi che costituiscono una crescita. Questo è un nostro intento: cercare d’intravedere, anche negli aspetti più difficili del nostro tempo, quella parte di legittima esigenza che si nasconde in essi, quella chiamata da parte di Dio a portare in avanti il suo progetto sull’umanità.

Come si vedrà, nello sviluppo degli articoli che abbiamo raccolto in questa occasione, le proposte possono ridursi sostanzialmente a due. La possibilità di trasformare ogni dolore in occasione di più grande amore secondo la misura di Gesù crocifisso e abbandonato, e quindi – come lui ci ha svelato – di un amore che si apre in “trinitarietà” con delle potenzialità e conseguenze illimitate.

In fondo, se lo si volesse sintetizzare in una parola, si tratta di un esplicitarsi dell’amore agapico, che è dono di Dio ma anche s’impara. Esso non solo “fa vedere”, ma offre risorse, creatività ed energie sempre nuove per una nuova civiltà. Per dirla con le parole di papa Benedetto nella sua magnifica enciclica sull’amore: «Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (n. 39). Capace quindi d’illuminare ogni “notte” dell’umanità.

E. C.