La vitalità di una parrocchia romana di recente fondazione: l’apporto armonioso di Movimenti ecclesiali

 

Per una santità di popolo

Intervista a cura della redazione

 

Come portare avanti un’autentica vita cristiana in un quartiere popolare della periferia di Roma? Ne hanno parlato, durante un recente incontro di vescovi amici del Movimento dei focolari a Castelgandolfo, don Enrico Gemma e un gruppo di suoi collaboratori che, assieme a lui, sono animatori del “Movimento Parrocchiale” nella parrocchia di san Giovanni della Croce.

Tra una varietà di carismi

Don Enrico: Attualmente gli incaricati del servizio pastorale in parrocchia siamo tre sacerdoti diocesani, un diacono permanente sposato, la cui vocazione è sbocciata in seno alla comunità stessa, e un gruppo di laici. Ciascuno di noi sacerdoti appartiene a un Movimento diverso o ad una comunità sacerdotale di recente fondazione1. E questo è una garanzia per la vita spirituale di ciascuno. Tra noi c’è una bella comunione: i rapporti sono veri e gioiosi, viviamo insieme come fratelli e lavoriamo con entusiasmo. Il cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ci ha detto più volte che è tanto contento della nostra comunità sacerdotale. E mi sembra che, nonostante tutti i nostri limiti, anche la gente ne gioisce.

Per motivi di tempo qui parleremo solo noi che apparteniamo al “Movimento Parrocchiale”, diramazione del Movimento dei fo-colari, ma siamo d’accordo con gli altri.

Prima però dirò qualcosa della mia storia personale.

Sono sacerdote da 37 anni. Dopo un periodo dedicato allo studio e all’insegnamento, ho fatto due esperienze parrocchiali. La prima, in una zona centrale di Roma, è stata caratterizzata da entusiasmo, creatività, coinvolgimento dei laici in tante attività. È in quel periodo che ho conosciuto il Movimento dei focolari attraverso circostanze ed avvenimenti, a volte gioiose a volte dolorosi, che solo l’amore di Dio Padre poteva predisporre per il mio bene.

Ho cominciato a frequentare un gruppo di sacerdoti aderenti al Movimento. Ero attratto dalla trasparenza e semplicità della loro vita, dall’amore reciproco che li legava, dalla comunione d’anima che riuscivano a donarsi reciprocamente. Mi sentivo amato personalmente, accolto così com’ero, non giudicato, anche se non riuscivo e non intendevo compromettermi con il loro stile di vita.

Cercavo di andare a tutte le manifestazioni dove poteva essere presente Chiara Lubich, perché ero affascinato dalla vitalità del suo carisma. In parrocchia diffondevo il foglio della Parola di Vita, parlavo di unità, di vita di comunione. Stava avvenendo in me una conversione, ma solo a livello intellettuale, perché svolgevo le varie attività dietro l’impulso della mia personalità, senza coinvolgere pienamente i miei viceparroci. Io stesso non avevo un progetto pastorale ben chiaro.

C’erano nella mia parrocchia alcune persone appartenenti al Movimento dei focolari, ma per me erano dei fedeli come tutti gli altri ed io ero semplicemente il loro parroco.

Verso la fine del mio mandato cominciò a mancare il consenso da parte dei miei parrocchiani e il mio entusiasmo andava spegnendosi a causa di critiche e divisioni. Quell’ideale di unità, che tanto mi affascinava, non si era incarnato nella comunità, perché non era calato nella mia vita.

La parrocchia cominciò così

Un giorno il cardinale Poletti, allora vicario di Roma, mi disse che aveva bisogno di un parroco di mezza età che andasse  a fondare una comunità parrocchiale in un quartiere in costruzione nell’estrema periferia Nord di Roma, oggi Colle Salario.

Il cardinale mi voleva bene come un padre, mi guardò e mi disse: «Fatti una passeggiata, va’ a vedere!». E mi indicò il punto preciso su una carta topografica. Andai. Trovai palazzi in costruzione e alcuni già ultimati ed abitati, e poi cantieri in azione e altissime gru in movimento su tutta la zona.

Mi fermai in un prato a pregare: affidai alla Madonna tutta quella vita che stava nascendo e tornai contento dal cardinale a dirgli il mio sì. Prendemmo in affitto un locale di 185 mq sotto un palazzo di 15 piani. Vi ricavammo la chiesa, la sala, la cucina, l’ufficio e una piccola camera da letto. Nasceva la parrocchia di San Giovanni della Croce. E quella chiesetta-negozio è stata la sede della nostra comunità per 13 anni. Infatti solo alla fine del 2001 abbiamo avuto la nuova bellissima chiesa.

In quei primi anni la Madonna è stata sempre presentissima, accompagnando la nascita e la crescita della comunità, prendendosi cura anche della mia vita di sacerdote.

Ho cominciato a frequentare i focolarini  regolarmente ogni settimana. Mi sembrava di essere tornato un bambino che andava a scuola e imparava a vivere il Vangelo nella vita quotidiana. Soprattutto imparavo l’arte di amare.

Ogni mattina mi alzavo “per andare ad amare”. Mi portavo alle fermate dello scuolabus per augurare la buona giornata ai bambini e alle mamme che li accompagnavano. Più volte al giorno ero al supermercato per incontrare la gente: nella fila alla cassa facevo nuove conoscenze, proponevo a qualche mamma di fare la catechista, aiutavo qualche persona anziana a portare la spesa a casa. Così si andava formando la comunità.

Un giorno è venuta da me una famiglia: erano focolarini. Mi hanno detto che volevano mettersi a disposizione, per qualsiasi bisogno. Stranamente, non ho chiesto nulla, neanche di fare il catechismo, e ce n’era tanto bisogno. Mi interessai di loro, della loro casa, del loro lavoro. Egli faceva il fotografo: gli offersi subito di fare il servizio fotografico per le prossime prime comunioni.

Proprio mentre andavamo insieme in macchina a celebrare, appunto, le prime comunioni dei nostri bambini in una grande chiesa al centro di Roma, presa in affitto per la circostanza, Pino, il fotografo, mi disse: «Vedi, Enrico, noi ora andiamo a questa celebrazione, tu a fare il parroco e io il fotografo. Ma se noi ci vogliamo bene in Gesù e andiamo lì soltanto per amare tutte quelle persone che incontreremo, allora noi possiamo avere Gesù vivo tra noi. E sarà lui a dare senso a tutto quello che facciamo. Che ne dici?».

Rimasi sbalordito. Un laico mi proponeva di sperimentare per la prima volta tutto il mistero che sta sotto quella frase del Vangelo: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»! Dissi il mio sì a Pino. Ed ebbi l’impressione come di aver celebrato un sacramento. Oggi a me sembra che da quel momento in parrocchia, oltre alla presenza eucaristica, c’è stata anche, in modo sempre crescente, questa particolare presenza del Risorto.

Altre persone man mano si sono unite a noi per vivere insieme questa nuova spiritualità. Amare, essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro, fare la volontà di Dio nell’attimo presente: io in parrocchia, tu in famiglia, lui sul lavoro e poi tutti insieme a raccontarci le nostre esperienze, pronti a ricominciare ogni volta che non siamo riusciti a mettere in pratica quella parola del Vangelo.

Dio prepara i collaboratori

Dopo qualche tempo sono arrivate varie altre persone. Qui sono presenti Fabio e Diana, con i loro due bambini: Alessio di 13 e Veronica di 9 anni; Claudio, sposato con Marisa da 22 anni e con due figli: Fabrizio di 20 anni e Silvia di 17; e Mauro, sposato con Antonella da 12 anni e con due figlie: Giulia di 10 e Alessia di sette anni. Vi diranno brevemente il loro cammino.

Fabio: Ho ricevuto un’educazione cristiana tradizionale fin da piccolo ma, fatta la cresima, non sono andato più in chiesa. Quando è arrivato il momento di sposarci ci siamo posti il problema del rito religioso o civile. Per far contenti i miei genitori, io desideravo sposarmi in chiesa.

Diana: Invece i miei genitori non erano credenti ed io mi rifiutavo di credere in un Dio-giudice, come me l’avevano presentato a scuola. In fondo, però, desideravo sposarmi in chiesa, perché il rito civile mi sembrava troppo freddo. E così abbiamo fatto.

Fabio: I primi anni di matrimonio sono stati un po’ difficili. Ci volevamo bene, ma il nostro rapporto non era profondo. Sorgevano continue incomprensioni e litigi. Un giorno tornando a casa trovai Diana che piangeva disperata. Bisognava fare qualcosa e ci siamo detto: «Proviamo ad andare in chiesa». E abbiamo cominciato a frequentare la chiesa-negozio: un piccolo locale, con gente che si accalcava e tanti bambini fin sotto l’altare.

Affascinati dalla vita di comunione

Per la prima volta abbiamo sentito dire che Dio è Amore, ci ama personalmente, ci accetta così come siamo; non è nascosto da qualche parte, ma vuole essere qui tra noi e, se ci amiamo nel suo nome, egli si fa presente. E questo può avvenire non solo in chiesa, ma ovunque, anche in famiglia.

Domenica dopo domenica, queste parole ci sembravano sempre più vere, perché vedevamo che la gente si voleva bene ed era contenta. Stavamo scoprendo un volto nuovo della Chiesa, così diverso da quello che pensavamo, e siamo entrati a far parte del “gruppo della Parola di vita”, avendo intuito che da lì nasceva quella vita che tanto ci attraeva.

Poi abbiamo conosciuto il focolare, le Mariapoli e gli incontri con altri gruppi parrocchiali che stavano facendo la nostra stessa esperienza, e ci siamo resi conto che dietro quella vita, c’era tutto un popolo nuovo, del quale ora anche noi facevamo parte.

Diana: Ogni volta che tornavamo da quegli incontri, sentivamo di voler vivere e donare tale vita in parrocchia: e questo è tuttora il nostro desiderio. Lo facciamo soprattutto attraverso i gruppi della Parola di vita, che attualmente sono tre.

Quando c’incontriamo, non facciamo uno studio o dei bei discorsi sul Vangelo. Non ne siamo capaci. Prendiamo semplicemente una frase compiuta come “ama il prossimo tuo come te stesso”, “amate i vostri nemici”, “chiedete e vi sarà dato”, e ci impegniamo a metterela in prattica.

Questo è ora il nostro stile di vita nel quotidiano. A volte ci si riesce, a volte no. Non ha importanza. Ci aiuta molto poi ritrovarci insieme e comunicarci le esperienze per attingere forza e ricominciare. Così pian piano vediamo che il Vangelo è vero, è praticabile ed è per tutti. È una scuola di vita, una nuova evangelizzazione.

Notiamo, infatti, che i parrocchiani pian piano cambiano, perché l’ideale della santità entra nel vissuto di tanti. Questo cammino di santità collettiva richiede una conversione di mentalità anche nelle persone già impegnate nella vita della Chiesa.

La presenza di Maria

Claudio: Con mia moglie Marisa ho frequentato da sempre la parrocchia e ci siamo fatti coinvolgere in tanti servizi. Tutti e due siamo nel Consiglio pastorale. Io mi occupo della Caritas e faccio tanti lavoretti di sistemazione nella nuova sede parrocchiale.

Per cinque anni, insieme a Marisa ho frequentato il gruppo della Parola di vita. Ci piaceva questo modo di vivere insieme il Vangelo e di scambiarci esperienze con altre coppie, ma non volevamo comprometterci con il Movimento dei focolari. Finché l’anno scorso abbiamo deciso di andare alla sorgente di questa vita. Ora siamo ben contenti di incontrare i focolarini e le focolarine che vengono in parrocchia ogni mese per donarci questa spiritualità dell’unità.

Marisa: Io sento la parrocchia come la mia casa, la mia famiglia. Non risparmierei tempo né fatica per qualsiasi servizio che mi venga chiesto. È per questo che non intendevo entrare in un Movimento ecclesiale. Convinta che chi è impegnato pienamente in parrocchia non dovrebbe appartenere ad un qualsiasi Movimento, ho sempre difeso questa mia libertà, anche se l’incontro della Parola di vita stava diventando sempre più il punto di riferimento della mia vita spirituale.

Infine ho capito che era Dio a chiamarmi su questa via. E me ne ha dato alcuni segni. Prima di tutto mi sono detta: «Ma da dove viene questa vita di comunione e questo spirito di accoglienza che distingue la nostra parrocchia?». E ho dovuto riconoscere che esso ha avuto la sua fonte nella spiritualità dell’unità dei focolarini.

Un altro segno. Nell’anno del Rosario, ho riscoperto Maria. Prima non avvertivo la sua presenza. Partecipando ad una manifestazione sul tema “Maria trasparenza di Dio”, mi hanno colpito le parole di Chiara Lubich che ci invitava ad essere nel mondo un Rosario vivente, una corona formata da tante piccole Maria. Mi sono sentita chiamata anch’io a far parte di questo “Rosario vivente”.

Ma il tocco di grazia, mi è venuto durante un pellegrinaggio a Medjougorie, quando una notte scendevamo da un monte dove eravamo saliti a pregare. Un giovane di un altro gruppo si era smarrito e ci chiese se poteva unirsi a noi. Eravamo tutti un po’ impacciati ad intavolare un discorso con lui, un po’ per diffidenza ed un po’ per rispettare il silenzio della preghiera. Poi ci siamo divisi ognuno per la sua strada, senza sapere come lui avrebbe ritrovato la sua. Mi è rimasto un amaro nell’anima. E allora ho compreso che a me non basta essere unita a Dio nella preghiera. La mia via per andare a Dio è il fratello; e in quella circostanza, era quel giovane smarrito: se lo avessi amato fino in fondo, avrei sentito l’unione con Dio, non l’amarezza.

La Parola vissuta ci evangelizza

Diana: Questo modo di vivere il Vangelo, spesso, va oltre la parrocchia, intesa come luogo d’incontro, e si ripercuote nelle famiglie e negli ambienti di lavoro.

Flora per esempio ci ha raccontato che il marito, prima era contrario che lei venisse agli incontri, ma poi si è accorto di un certo cambiamento della moglie e perciò ora è contento che lei venga in parrocchia. E qualche volta viene anche lui.

Federica, la figlia di Rita, ora viene anche lei all’incontro della Parola di vita, perché si è incuriosita nel vedere la mamma più serena e più disposta ad amare.

Fabio: Da tre anni abbiamo cominciato ad educare in questa spiritualità di comunione anche i bambini ed i ragazzi. Ogni anno in parrocchia abbiamo oltre 100 bambini che fanno la prima comunione. Dopo la prima eucaristia, i nostri sacerdoti propongono due forme diverse di oratorio per continuare il cammino di formazione cristiana fino alla cresima. Uno dei due  è il nostro “Gruppo Arcobaleno”. Sono per ora 65 ragazzi a parteciparvi e siamo 10 animatori.

Cosa facciamo? Ogni settimana svolgiamo due ore di tante belle attività, compreso il catechismo. Alla base di tutto mettiamo l’arte di amare, così come ce la propone il Vangelo. E costatiamo che l’arte di amare è per tutti: bambini, ragazzi e adulti. Ma ognuno la impara con metodi diversi. I bambini hanno un modo molto simpatico. Anche Alessio, quando era più piccolo, l’ha imparata così. Vuoi dirci, Alessio, come fanno i bambini dell’oratorio?

Alessio: Ogni bambino ha un dado a sei facce che chiamiamo “dado dell’amore”. Su ogni faccia c’è un aspetto dell’arte di amare: amare tutti, farsi uno, vedere Gesù nell’altro, amare il nemico, ecc. Al mattino ogni bambino a casa sua tira il dado e si impegna durante il giorno a mettere in pratica quell’aspetto dell’arte di amare. Poi, quando si incontrano all’oratorio, ognuno racconta come è andata, e se c’è stata qualche bella esperienza. Anche Veronica ce n’ha raccontata una, veramente bella.

Veronica: Un giorno ero a scuola e durante l’intervallo siamo andati in giardino. Una mia amichetta che ha delle difficoltà motorie ha starnutito e si è sporcata i capelli. La maggior parte dei miei amici non se ne sono neanche accorti, ma io ed Irene stavamo giocando con lei quando è successo questo e volevamo aiutarla.

Irene non aveva il coraggio di pulirle i capelli, però mi ha dato un fazzoletto ed io non ho avuto nessuna difficoltà a farlo, perché il dado diceva “vedi Gesù nell’altro”, perché l’ha detto Lui: «Quello che avete fatto ai più bisognosi lo avete fatto a me».

Diana: Siamo oltre 60 gli adulti che viviamo la spiritualità dell’unità e facciamo parte del “Movimento Parrocchiale”. I nostri gruppi non hanno delle attività a se stanti, ma ciascuno partecipa alla vita della parrocchia: chi fa il catechismo, chi tiene la segreteria, chi è animatore dell’oratorio, chi affianca il parroco nel corso di preparazione al matrimonio, chi si dedica alla manutenzione della casa parrocchiale, chi cura le pulizie, chi la cucina dei sacerdoti.

Cerchiamo di essere un po’ come il sale, che si scioglie nei vari settori della vita comunitaria e dona quel tocco in più di amore umano e soprannaturale, che pian piano genera un clima di famiglia e spesso attira anche i lontani. A questo proposito abbiamo una bella esperienza di Mauro.

«Qualcosa mi attraeva»

Mauro: Sono sposato con Antonella da 12 anni e abbiamo due figlie. Amo moltissimo tutte e tre! Nel passato frequentavo poco la chiesa, perché non vi trovavo che nozionismo dottrinale.

Ho sempre creduto in Dio, ma avevo con Lui un rapporto a senso unico: pregavo, ma da lui pretendevo soltanto. La mia vita era una gara per affermare il mio io. Ho sempre ricercato la giustizia, quella mia, cioè le mie ragioni e il mio punto di vista al primo posto e spesso non discutibili.

Circa tre anni fa ho avuto delle delusioni nel lavoro e nelle amicizie. Tutto questo ha coinciso con l’inizio del catechismo della prima delle mie figlie, Giulia. L’accompagnavo in parrocchia e tutte le volte che parlavo con persone della comunità percepivo nel loro modo di parlare e nei loro occhi qualcosa che mi attraeva. Non riuscivo a capire cosa fosse, perché troppo preso forse dalle cose di questo mondo.

Intanto, spinto dalla curiosità, decisi di entrare in qualche modo nella vita della comunità e, per mettere in donazione qualcosa di me, mi inserii nel coro parrocchiale. Ebbi così l’occasione di conoscere meglio tante famiglie.

E tornai a pormi la domanda: «Cosa spinge questa gente a fare con tanta gioia tutte queste attività?  Avranno degli interessi personali?». Ma dentro di me cominciava ad affiorare un’intuizione: «E se fosse amore!».

Andando avanti me ne convinsi profondamente. Sì, è amore, quell’amore che avevo sognato sin da bambino e che non avevo trovato, perché non ero in grado di vedere ciò che il buon Dio faceva per dimostrarmelo.

Oggi non faccio fatica a riconoscere che ero “cieco e sordo” all’Amore. Per me e per la mia famiglia è iniziata una vita nuova. Sì, perché anche mia moglie Antonella e le nostre bambine condividono questo cammino. Ormai ci sentiamo parte viva della Chiesa.

Vengono a vedere... l’amore in atto

Fabio: Anche se il nostro quartiere è situato all’estrema periferia della città, ogni tanto viene da noi qualche gruppo per conoscere la nostra comunità e per uno scambio di esperienze.

Arrivano dalla Svizzera, dalla Svezia, dalla Francia, dal Brasile, dal Messico e, naturalmente, dall’Italia. Vengono a Roma, certo, per visitare le cose belle della città, soprattutto per vedere il Papa; ma a volte desiderano incontrare una comunità viva della diocesi di Roma. E noi cerchiamo di accontentarli, raccontando la nostra esperienza e mangiando insieme una pizza. Si crea subito con loro un rapporto di fraternità, nonostante a volte la difficoltà della lingua.

Essi in genere ci raccontano le attività che svolgono nella loro comunità; noi non parliamo tanto delle nostre attività, ma dell’amore reciproco che cerchiamo di avere tra noi, come principio di ogni azione pastorale. E questo, spesso, li lascia meravigliati.

Un fatto recente è stata la visita dopo Pasqua di ca. 25 giovani sacerdoti di Firenze con il loro arcivescovo, il card. Ennio Antonelli. Sono rimasti molto contenti nel conoscere la vita di comunione tra i nostri sacerdoti e l’armoniosa collaborazione in parrocchia di diversi Movimenti ecclesiali.

Varietà di Movimenti

Don Enrico: Oltre al Movimento dei focolari, nella nostra comunità, ci sono anche la Comunità di Sant’Egidio, il Cammino neocatecumenale ed altre espressioni di vita associata di più piccole dimensioni, ma sempre importanti. Sono carismi che contribuiscono alla nuova evangelizzazione e rendono più bella la comunità.

E i parrocchiani sono liberi di seguire questo o quel cammino, o soltanto il cammino comune, sempre valido e aperto a tutti. In questo modo ciascuno in parrocchia trova la sua casa. Anche i rispettivi Movimenti hanno piena libertà di formare le persone nella loro spiritualità secondo modi e tempi propri. E, man mano che le persone maturano, si mettono a disposizione nei vari ambiti pastorali secondo il proprio carisma e in comunione con i loro responsabili.

Noi dei Focolari andiamo comprendendo sempre meglio qual è il nostro specifico nella parrocchia. Chiara Lubich ci ha detto che dobbiamo “essere Maria” a servizio di tutta la comunità parrocchiale. “Essere Maria” vuol dire amare ed accogliere tutti, mettere amore dove non c’è amore, costruire la vita di comunione, essere apostoli del dialogo.

E anche gli altri ci riconoscono questo ruolo. Il responsabile del Cammino neocatecumenale, parlando delle difficoltà che a volte si incontrano in qualche parrocchia, ha detto: «A Colle Salario non abbiamo nessuna difficoltà: siccome il parroco è focolarino, egli accoglie tutti».

Tra i Movimenti presenti in parrocchia c’è armonia: si aiutano tra loro, gioiscono reciprocamente per lo sviluppo dell’uno e dell’altro. Nei tempi in cui avevamo il problema della ristrettezza dei locali, la Comunità di Sant’Egidio ci ospitava  nella sua sede per l’incontro della Parola di vita. Ora che abbiamo tanta disponibilità di locali, la Comunità di Sant’Egidio si riunisce ogni settimana in parrocchia e una volta al mese celebra una messa domenicale con le sue caratteristiche espressioni liturgiche e con un proprio sacerdote.

Il mese scorso, la nostra messa domenicale è stata trasmessa in diretta da una rete televisiva nazionale. L’abbiamo preparata insieme, distribuendo letture, preghiere e testimonianze, ai membri dei vari gruppi parrocchiali e dei vari Movimenti. Ci sono pervenute tante telefonate da varie parti d’Italia. Dicevano: «Grazie della vostra messa, è stata bellissima». Un altro: «Si vede che siete una comunità viva e che vi volete bene». E un altro ancora: «Quanto desidero che i giovani del mio paese possano incontrare una comunità come la vostra!».

Con il Vescovo di Roma

Recentemente, la nostra comunità parrocchiale è stata in visita dal Papa. Queste visite delle parrocchie romane sono precedute, come si sa, da un incontro privato del parroco e dei viceparroci col Santo Padre.

Pranzare col Papa è una grazia che lascia il segno. Così è stato per noi. Il Santo Padre, già informato sulla vita della parrocchia da una previa relazione scritta, ci chiedeva continuamente sui vari aspetti pastorali e soprattutto si mostrava interessato alle nostre storie personali, alla nostra vita di comunione e alla presenza dei diversi Movimenti nella nostra comunità.

Il sabato seguente, nel corso dell’omelia rivolta alla nostra e ad altre due parrocchie confinanti, il Papa ci ha incoraggiati a continuare in questa nostra esperienza di comunione, dicendo tra l’altro: «una comunità par-rocchiale all’interno della quale viene rispettata la diversità dei ministeri e dei carismi, mostra il suo volto di famiglia accogliente».

a cura della redazione

 

 

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1)     I tre sacerdoti sono: don Enrico Gemma del Movimento dei focolari; don Paolo Benetton del Cammino Neocatecumenale (Redemptoris Mater); don GianMarco Merlo dei Figli della Croce (Casa di Maria). Il diacono permanente è il sig. Salvatore Bolla.

 

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1)     I tre sacerdoti sono: don Enrico Gemma del Movimento dei focolari; don Paolo Benetton del Cammino Neocatecumenale (Redemptoris Mater); don GianMarco Merlo dei Figli della Croce (Casa di Maria). Il diacono permanente è il sig. Salvatore Bolla.