Tutti, sempre, ovunque

di mons. Lazzaro YOU HEUNG-SIK, Vescovo di Taejon (Corea del Sud)

Quando un mese fa ho trovato tante difficoltà con un sacerdote, mi sono ricordato di d. Silvano: «Se egli fosse al mio posto – mi sono chiesto –  come si comporterebbe?». Ciò mi ha aiutato a mantenere la calma e ad amare quel sacerdote fino in fondo, ascoltandolo a lungo senza pregiudizi. C’era stato il pericolo di un conflitto con lui e invece è nato un nuovo rapporto. è in questo modo che d. Silvano vive in me, sempre e più di prima.

L’ho incontrato per la prima volta circa 35 anni fa, quando ero seminarista e facevo il servizio militare in Corea. Era venuto a visitare i sacerdoti diocesani che erano in contatto col Movimento dei focolari. Quanto a me, avevo appena iniziato a vivere la spiritualità dell’unità. D. Silvano, con il suo sorriso, ha impresso nel mio cuore un marchio indimenticabile. Secondo le caratteristiche della nostra cultura che è fortemente influenzata dagli insegnamenti di Confucio, l’età e la posizione sociale creano una grande distanza e un simile divario esiste anche fra i sacerdoti e i seminaristi. Su questo sfondo, tutti i modi di agire di d. Silvano risultavano così pieni di amore e gentili da suscitare in me una spontanea ammirazione per lui e per la spiritualità dell’unità.

D. Silvano in quell’occasione mi ha invitato a venire alla Scuola sacerdotale a Frascati, vicino a Roma, dove s’imparava a vivere la comunione fraterna fra sacerdoti e seminaristi provenienti da tutte le parti del mondo. L’esperienza di questa Scuola mi ha formato come sacerdote uomo di comunione.

Negli otto anni della mia formazione a questa Scuola e dei successivi studi, d. Silvano era sempre il mio più grande fratello, maestro e padre. Grazie al suo invito ho potuto vivere in comunione fraterna e svolgere lo studio della teologia sulla base di una vita vissuta secondo il Vangelo assieme agli altri. Quanto sono stato fortunato e amato da tanti! Posso dire che sto vivendo tutto il mio ministero sacerdotale, e adesso quello vescovile, alla luce di quanto ho imparato in quegli anni.

Ricordo che in un’occasione speciale, sentendomi tanto amato da parte di d. Silvano, ho voluto salutarlo in modo “mirabile” secondo il costume coreano: mi sono quindi prostrato al pavimento davanti a lui. Sorridente come sempre, egli divenne rosso in faccia. Non sapeva come reagire a questo mio gesto. Quando gli ho spiegato che questo saluto si rivolge alle personalità più alte, mi ha detto: «Lazzaro, siamo fratelli, perciò siamo pari per sempre». In quella circostanza ho capito che l’amore del Vangelo supera anche la cultura.

Dopo la messa della mia ordinazione sacerdotale, prima che deponessi la casula, d. Silvano mi ha regalato una catenina con una piccola croce d’oro. Mettendomela al collo, mi ha detto: «Questo è il tuo sposo per sempre. Tu devi amare sempre il tuo sposo, Gesù sulla croce. Oggi è il giorno del tuo sposalizio». Così mi ha stampato nel cuore per sempre che vivere il mio sacerdozio è vivere come Gesù sulla croce. Da allora porto sempre con me questa piccola croce dorata. Non l’ho mai tolta. E il mio “sposo” mi aiuta sempre fino ad oggi. Grazie, d. Silvano!

Dopo aver conseguito a Roma la laurea in teologia, prima di tornare in diocesi, sono stato da d. Silvano per salutarlo. Gli ho raccontato come avevo vissuto alla luce della spiritualità dell’unità durante quegli otto anni. Lui mi guardava con tanto  amore e con un sorriso. Era anche egli molto felice! Gli ho chiesto allora una parola che mi potesse servire da guida per il futuro. Mi ha detto due cose: 1) vieni a Roma ogni anno; 2) tu sai come devi vivere: fa’ quello che devi fare.

Ho trovato tante difficoltà per realizzare la prima delle due consegne, ma sono riuscito a ritornare ogni anno a Roma dove trovavo il Santo Padre e Chiara Lubich. Mettere in pratica la seconda parola-guida (“tu sai come devi vivere…”) significava vivere sempre, ogni momento, di fronte a Dio e fare la sua volontà. Non era facile, ma ho cercato sempre fino ad oggi di andare avanti vivendo la volontà di Dio su di me.

Come vescovo della Chiesa cattolica sono considerato una persona molto importante nella società in Corea. Incontro numerose persone nell’arco della giornata: la maggioranza sono cattolici, ma ci sono anche personalità dell’alta società del Paese. Mi impegno ad ascoltare bene e a vedere Gesù in ognuno, cercando di stabilire rapporti di comunione fraterna con tutti. È successo così che un dirigente della polizia dopo un incontro mi ha detto: «Non ho mai pensato di dire a lei fatti così personali, ma sentendo il suo grande amore per me, le ho comunicato cose che non avevo mai detto a nessuno. Vorrei ritornare da lei con la mia famiglia».

Vivo in un Paese in cui il cristianesimo è minoritario e in via di sviluppo. Trovo tanta difficoltà a inculturarlo nella vita della società coreana. Vedo che la comunione fraterna è la risposta che il mio popolo attende con ansia, perché sta soffrendo tanto a causa della divisione del Paese. Per essere un cristiano autentico in Corea, bisogna essere una persona aperta verso tutti, chiunque s’incontri lungo il giorno, e non soltanto nell’ambito della Chiesa cattolica, ma anche nei rapporti con i fratelli di altre Chiese, con i fedeli delle altre religioni e con i non credenti. D. Silvano era un maestro in questo, perché amava tutti, senza alcuna condizione, sempre e dovunque.