Profezia e apertura

di Vera Araújo

Focolarina brasiliana e sociologa, Vera Araújo nell’ambito delMovimento dei focolari coordina il dialogo con i vari campi della cultura. È in questo contesto che, negli ultimi anni, si è trovata a collaborare con d. Silvano. Ma la loro conoscenza risale a tempi lontani.

Conobbi d. Silvano nella Mariapoli 1959, l’ultima che si è svolta a Fiera di Primiero, sulle Dolomiti. Facevo parte del primo gruppo di brasiliane che avevano conosciuto il Movimento l’anno precedente.

Era attorniato dai suoi ragazzi e la prima impressione che ho avuto di lui l’ho espressa con queste parole: «Non sembra un prete» che, per me, era il massimo elogio, dato il mio precoce anticlericalismo.

Successivamente ho avuto la possibilità di conoscerlo molto più profondamente in diverse occasioni.

Nel 1965 facevo parte del focolare di Barcellona, in Spagna. Avevamo conosciuto un gruppo di amici e amiche studenti di medicina. Erano giovani impegnati e subito aperti alla spiritualità del Movimento. A causa di alcuni equivoci, i rapporti sono diventati difficili e loro hanno scritto una lettera a Chiara, esprimendo le loro critiche, i loro dubbi…

Ero sola in focolare quando sento squillare il telefono. Era d. Silvano che si trovava all’aeroporto di Barcellona e mi chiedeva di raggiungerlo. Mi ha spiegato che, mandato da Chiara, era già stato da quel gruppo di studenti. Aveva parlato a lungo con loro: tutto si era chiarito e me li affidava.

Non so cosa si siano detti, ma quando ho incontrato quei giovani erano diversi, rasserenati, parlavano di d. Silvano con rispetto e ammirazione.

Oggi quei giovani costituiscono una comunità di consacrati medici dediti ai malati terminali. La loro spiritualità è fortemente impregnata dal carisma del Movimento dei focolari. Più volte sono venuti a Roma a trovare d. Silvano.

Sempre negli anni in cui mi trovavo in Spagna, ho passato un momento di profondo smarrimento. Non riuscivo a comunicare con nessuno e mi portavo dentro questo peso di dubbi e incertezze. Quell’anno tutte le focolarine dell’Europa si incontravano ad Ala di Stura, in Piemonte. Arrivando, ho incontrato subito d. Silvano e la sua accoglienza sempre sorridente e festosa mi ha dato il coraggio di chiedergli di parlare con lui. È stato un momento indimenticabile. La sua anima era una specie di tabernacolo che accoglieva la mia, così ferita. Non mi ha detto molte cose, ma quelle poche parole erano esatte, vere, come unguento che sana. Andando dopo in chiesa ho detto a Gesù: «È un vero sacerdote».

Non faceva cose straordinarie, era lui ad essere straordinario nell’ordinarietà, nella quotidianità.

Aveva la rara qualità di smorzare le situazioni tese o difficili con una parola, una battuta, una risata o, conducendo abilmente il discorso verso altri temi. Per anni ho ammirato questa sua qualità nella Scuola Abbà, mio vicino di posto.

Negli ultimi anni ho avuto modo di apprezzare la sua acuta intelligenza come coordinatore del gruppo di psicologia all’interno del Centro per il dialogo con la cultura, iniziato da Chiara nel 2001. La sua presenza fra tutti noi era portatrice di sicurezza, equilibrio ma anche di profezia e di estrema apertura al dialogo con la modernità e le sue sfide.