Mass media e unità del mondo

Diceva Heidegger che il compito di una persona che realmente pensi, è trovare una stella nel cielo dello spirito e restarle fedele per sempre. Dal canto suo, von Balthasar rilevava che i grandi carismi contengono nuovi sguardi nel centro della rivelazione. Infatti può bastare una grande idea, una sola intuizione fondamentale sul significato dell’universo, per darci una chiave d’interpretazione della realtà, e a partire da quella trovare rinnovate letture dei problemi umani e nuove spinte per trasformare la vita.

Com’è noto, il carisma del Movimento dei focolari è centrato sull’unità – in tutta la sua ricchezza teologica ed antropologica – colta come cuore del Vangelo e del progetto di Dio sull’umanità. Una tale prospettiva è capace di offrire nuovi lumi in tutti gli ambiti della condizione umana: personale, intersoggettiva, sociale.

Lo si è verificato per l’ennesima volta nel recente incontro realizzato presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo presso Roma per operatori nei mezzi di comunicazione sociale. Unità era la "parola magica" che apriva la comprensione di tutto quanto lì si diceva, dalle tematiche affrontate alle esperienze offerte, dalle motivazioni ideali alle proposte concrete che si prospettavano per il futuro. In poche parole, i mezzi di comunicazione concepiti non solo a servizio della dignità e felicità umane, ma finalizzati alla crescita dell’unità dell’umanità, vista come una sola famiglia allo stesso tempo unica e rispettata in tutte le sue legittime diversità.

Si sa che chi opera in questo campo va incontro a continue pressioni: a causa degli interessi economici, ideologici, di potere o pubblicitari, delle esigenze di audience, delle leggi del mercato… Eppure in coloro che parlavano si avvertiva, accanto alla coscienza della realtà concreta e ardua dei media in cui lavorano, una ventata d’aria rinnovata, una freschezza ideale, una capacità nuova di stabilire rapporti, di saper ascoltare per riuscire a comunicare, di cercare, consapevolmente, di far crescere quanto di positivo e di nobile c’è nell’umanità. Persuasi che il mondo unito, che i mezzi di comunicazione devono contribuire a realizzare, non è semplicemente globalizzazione, ma rete di rapporti veri e positivi, comunione mondiale di civiltà, dove l’essere umano sia più importante dei mezzi.

Insomma, sembrava di trovarsi di fronte a semi (in alcuni casi, vere seminagioni) di cultura nuova, di uno stile di vita basato sul più genuino amore fraterno. Ci si trovava di fronte a professionisti, alcuni di alto livello, nei quali si avvertiva dimestichezza nell’esprimere i valori profondamente umani del cristianesimo in un linguaggio, all’occorrenza, laico ed universale.

Certo, quelle centinaia di persone lì radunate non pretendevano di avere ormai un influsso decisivo sui mezzi di comunicazione mondiali. Erano ben consci dei limiti delle loro esperienze. Eppure, mentre li si ascoltava, ci si poteva domandare: da dove viene loro tanta convinzione?

Sicuramente dalla certezza profetica che offre un carisma potente dello Spirito. E dalla sicurezza che non è la dimensione ma l’autenticità di un’esperienza ciò che la rende valida e moltiplicatrice. Ma c’era anche dell’altro.

Diversi anni fa Chiara Lubich diceva ad un gruppo di giovani del Movimento, parlando dei mezzi di comunicazione: "Bisogna avere un po’ di pazienza per imparare… Preparatevi bene e poi con Gesù in mezzo, senza paura, trasmettete. Ma ve lo ripeto, preparatevi bene, perché è "maledetto chi fa male l’opera di Dio"". Dietro a queste parole si colgono delle indicazioni fondamentali.

La prima – più volte ripetuta nel corso dell’incontro – che ciò che è più importante per far crescere il Regno di Dio attraverso i media, oltre all’efficacia dei mezzi, la qualità dei programmi e la competenza di coloro che vi lavorano, è la vita che va comunicata attraverso di essi. Infatti, "il primo mezzo di comunicazione, il più valido, siamo noi stessi – aggiungeva Chiara in un’altra occasione –. Noi dobbiamo essere Parola di Dio, Vangelo vivente… Quando c’è Lui in noi e in mezzo a noi allora anche i mezzi servono, altrimenti non servono a niente".

Un’altra è la necessità della pazienza storica. Una pazienza attiva, che si dà da fare con la maggiore intelligenza ed efficacia possibili. Ma che sa aspettare i tempi di maturazione con perseveranza, senza scoraggiarsi mai. Non per niente Chiara ha sempre dato come modello massimo della comunicazione la vita stessa della Trinità, ma allo stesso tempo, come misura per poter realizzare, per quanto è possibile nella storia, una tale realtà, Gesù abbandonato: solo lui "attua l’unità e riempie ogni vuoto".

Con tali parametri, quel certo martirio che spesso richiede la pazienza, può fare scoprire, com’è stato detto recentemente da qualcuno, che "la pazienza è la sorella minore della speranza". E di speranza ce n’era tanta in quell’incontro, come si potrà avvertire dal materiale che siamo riusciti a raccogliere nel presente numero.

Enrique Cambón