L’abbandono di Gesù: misura dell’amore, chiave dell’unità

 

Cosa opera Gesù abbandonato

di  Chiara Lubich

 

Sta arrivando nelle librerie l’ultimo volume di Chiara Lubich, “Il grido”, su Gesù abbandonato, punto cardine della spiritualità dell’unità. È un testo – ci sembra – che, per intensità mistica e profondità di pensiero, farà storia. Ne anticipiamo ai nostri lettori un brano centrale, al quale fa riferimento tutto il contenuto di questo numero.

Gesù abbandonato era anche Colui che ricomponeva l’unità fra noi, ogniqualvolta si fosse incrinata.

Solo nell’unità, dove è Gesù in mezzo, avevamo trovato la pienezza della vita. Fuori di essa il vuoto. Ed ecco allora l’antidoto: Lui.

Chi stava nel focolare, ferito per l’abbandono del fratello, comprendeva di essere in uno stato d’animo simile al suo e si sforzava di godere di questo dolore. Non solo, ma vedeva nel fratello un altro Gesù abbandonato da amare.

E l’amore ristabiliva l’unità.

Se quelli che hanno dato inizio al Movimento non avessero avuto Lui nelle prove della vita, l’unità non ci sarebbe, a meno che Dio non avesse voluto suscitarla uguale in altri posti.

Gesù abbandonato ha vinto in noi ogni battaglia, le più terribili. Ma occorreva essere pazzi d’amore per Lui, sintesi di tutti i dolori del corpo e dell’anima; medicina quindi di ogni dolore dell’anima e sollievo di ogni dolore del corpo1. Quando arrivava lo si abbracciava d’impeto, e vi si trovava la vita.

Fa perfetti nell’unità

Gesù abbandonato era colui che ci faceva perfetti nell’unità.

Gesù nel suo testamento aveva detto: «Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità» (Gv 17, 23).

Se Gesù era in me, se Gesù era nell’altro, se Gesù era in tutti, saremmo stati, in quell’attimo, perfetti nell’unità.

Ma – ripeto – perché Gesù fosse in noi dovevamo amare Gesù abbandonato in tutti i dolori, i vuoti, i fallimenti e le tristezze della vita.

Se Gesù era in me e negli altri, incontrandoci, ci riconoscevamo l’uno nell’altro e ci sentivamo fratelli. E la grazia ci spingeva a vivere questo ideale con decisione e perseveranza proprio perché la perfezione dell’unità non venisse mai meno.

Fa diventare madri e padri di anime

Inoltre, vivendo così, attorno a noi si moltiplicavano le conversioni. Era presente nella nostra anima la Parola: «Senza spargimento di sangue non c’è perdono» (Eb 9, 22). E anche senza spargimento di lacrime non ci sono capovolgimenti di anime.

Vedevamo che quella luce, quella gioia, quella pace particolari, fiorite dal dolore amato, colpivano e scioglievano anche le persone più difficili. Si sperimentava che, inchiodati in croce, si era madri e padri di anime. La vita in unità con Gesù abbandonato aveva quindi come effetto la massima fecondità.

Più amavamo Gesù abbandonato e più comprendevamo qualcosa del mistero dell’unità operata da Gesù in croce.

Ci eravamo messe come tanti legni incrociati per essere accesi e bruciati da Gesù fra noi. Il calore mantenuto e accresciuto si era diffuso, così che molte persone, venute a contatto con noi, erano convinte d’aver trovato Dio.

Si è andata cosi formando, fin dai primi mesi, la comunità con Cristo in mezzo a tutti. E le persone andavano assimilando lo spirito di Gesù. Le sue parole decidevano il nostro modo di agire. Ogni quindici giorni se ne viveva una in profondità.

E le promesse evangeliche da esse rivelate si avveravano alla lettera.

«Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33). Così si faceva. Ed Egli stesso metteva mano agli affari nostri, penetrava persino i più piccoli pensieri o desideri e li soddisfaceva.

Il Vangelo, tutto il Nuovo Testamento, ci nutriva l’anima. E le parole di Dio – come la Chiesa le interpreta – venivano a suggellare, oltre che a ispirare, la nostra azione.

«Non fatevi chiamare maestri» (Mt 23,10). E per noi solo Gesù fra noi era maestro, padre, guida.

Nuove luci su Gesù abbandonato

Mentre la nostra vita si andava rievangelizzando, l’amore a Gesù abbandonato si approfondiva.

Comprendevamo che Gesù abbandonato è il modello di quelli che amano Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, degli “innamorati” di Dio. Infatti Gesù abbandonato ama Dio proprio quando Dio l’abbandona.

Gesù abbandonato è il modello di chi deve fare l’unità con i fratelli. Infatti io non posso entrare in un altro spirito se il mio è ricco. Per amare un altro fratello devo farmi costantemente tanto povero di spirito da non possedere se non amore. E l’amore è vuoto di sé. Gesù abbandonato è il modello perfetto di un povero di spirito: è così povero che non ha nemmeno Dio, per così dire. Non lo sente.

Gesù abbandonato è il modello di rinnegamento e di mortificazione. Egli infatti non è solo mortificato in ogni senso esterno, perché crocifisso, ma anche mortificato nell’anima. Nell’anima rinuncia a ciò che ha di più caro: la sua unione con Dio. È la rinuncia a se stesso di un Uomo-Dio.

È il modello perfetto di colui che perde la propria anima in Dio. Modello delle persone, per esempio, che devono rinunciare alle proprie idee, non solo, ma anche alle ispirazioni della grazia, per sottometterle ai propri superiori.

È modello, quindi, di vera unità con chi ci rappresenta Dio. Come Gesù e il Padre sono una cosa sola, così ogni persona col proprio superiore deve essere una cosa sola.

Gesù abbandonato è colui che dà luce a chi spera contro ogni speranza.

È il modello di colui che confida: Abbiate fiducia – aveva detto –: «Io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33).

Infatti nessuno ebbe una fiducia più grande di lui che, abbandonato da Dio, si fidò di Dio, abbandonato dall’Amore si affidò all’Amore.

Gesù abbandonato è il modello di chi vuole dar gloria a Dio.

Infatti egli nell’abbandono, annullando completamente se stesso, dice che Dio è tutto.

Gesù abbandonato è il modello dei «morti che muoiono nel Signore» (Ap 14, 13). Infatti egli è misticamente morto e come tale muore anche fisicamente in Dio.

Dice l’Apocalisse: «le loro opere li seguono» (Ap 14, 13).

E l’opera di Gesù è stata quella di aver dato al Padre tanti figli, rigenerandoli con la propria vita.

Gesù abbandonato
vive tutto il Vangelo

Se prendessimo in rilievo ogni esortazione di Gesù fatta nel Vangelo, vedremmo che egli le ha vissute tutte in quel momento.

Gesù abbandonato rivive in sé, in quell’attimo, il «chi non pospone padre, madre e perfino la propria vita» (cf. Lc 14, 26).

Gesù abbandonato può ripetere in sé tutte le beatitudini.

In Gesù abbandonato splendono in maniera unica le virtù: la fortezza, la pazienza, la temperanza, la perseveranza, la giustizia, la magnanimità...

Gesù nell’abbandono appare solo uomo: mai quindi è stato così vicino all’uomo come in questo momento e mai perciò l’ha amato tanto. E, nello stesso tempo, mai è stato così vicino al Padre2; è per amor suo che muore, e muore in quel modo.

Se dunque nell’amore di Dio e del prossimo sono «la legge e i profeti» (Mt 7, 12), Gesù qui ha adempiuto pienamente ogni desiderio e comando di Dio.

Gesù abbandonato è dunque la via diritta alla santità perché provoca l’unità col Santo.

Bastava dunque guardare a Lui, vivere come Lui ogni momento e avremmo fatto tutto.

Si è fatto cosi. Ogni cosa si è semplificata.

Un periodo luminoso

Ci si sforzava in pratica di vivere il nulla di noi perché Egli vivesse in noi. E anche il nulla di noi perché Egli trionfasse fra noi.

Un giorno del 1949, su questo nulla, alla santa Comunione, amata e riscoperta come vincolo d’unità, Igino Giordani3 ed io abbiamo chiesto a Gesù di unire, come Lui sapeva, le nostre anime.

E si è sperimentato – per una grazia speciale – cosa significava essere una cellula viva del Corpo mistico di Cristo: era essere Gesù, e come tali in seno al Padre.

E «Abbà, Padre!» (Rm 8, 15; Gal 4, 6) è fiorito sulle nostre labbra.

La religione, in quel momento, ci è apparsa nuova. Ci è sembrato che essa consistesse nel mettersi accanto a Gesù, nostro fratello, nell’amare il Padre.

Così è iniziato un periodo luminoso, particolare, in cui, fra il resto, ci è sembrato che Dio volesse farci intuire qualche suo disegno sul nostro Movimento.

Abbiamo capito meglio anche molte verità della fede, e in particolare chi era per gli uomini e per il creato Gesù abbandonato, che tutto aveva ricapitolato in sé.

L’esperienza è stata così forte da farci pensare che la vita sarebbe stata sempre così: luce e Cielo.

La realtà, invece, che ne è seguita, è stata quella di ogni giorno.

Seconda scelta
di Gesù abbandonato

Nel brusco risveglio di ritrovarci – per così dire – in terra, uno solo ci ha dato forza di vivere ancora: Gesù abbandonato, presente nel mondo che dovevamo amare, quel mondo che è tale proprio perché non è Cielo.

E in una seconda scelta, più cosciente, più consapevole di Colui che ci aveva chiamato a seguirlo, è sgorgata dal mio animo la nota decisione:

 

«Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato; non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.

Perciò il suo è mio e null’altro.

E suo è il Dolore universale e quindi mio.

Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.

Ciò che mi fa male è mio.

Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno..., in una parola: ciò che non è Paradiso. Poiché anch’io ho il mio Paradiso, ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi, di... tutto ciò che è Lui e Lui è il Peccato, l’Inferno.

Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione con lo Sposo mio onnipotente – lontani.

Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.

Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita».

 

Ho scritto che «Lui è il peccato, l’inferno»4.

Dice P. Evdokimov: «Lo Spirito Santo non lega più il Figlio al Padre e il Figlio costata la rottura, l’abbandono; ed è la solitudine all’interno della Trinità, la sofferenza di Dio, l’inferno di Dio...»5.

Per H. U. von Balthasar Gesù abbandonato è e non è l’inferno: «(...) la tenebra dello stato peccaminoso viene certamente esperita da Gesù, in una maniera che non può essere identica con quella che i peccatori (che odiano Dio) avrebbero dovuto esperire (... ), è tuttavia più profonda e più oscura di questa, perché essa si svolge all’interno della profondità della relazione delle ipostasi divine, inimmaginabile a ogni creatura.

Si può quindi sostenere altrettanto bene che l’abbandono di Dio in Gesù è il contrario dell’inferno, e che è esattamente l’inferno (Lutero, Calvino), addirittura la sua estrema intensità»6.

Chiara Lubich

 

 

 

 

1)   K. Rahner dice: «A me pare il Crocifisso le abbia passate in rivista tutte quante, allorché sulla croce esclama senza ideologie pietistiche: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”..., sottintendendo tacitamente, e con animo generoso: “Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio” (Lc 23, 46)» (La grazia come libertà, Alba 1970, p. 267).

2)   A Caterina da Siena, dopo una grave tentazione, vinta con supremo sforzo di volontà, apparve Gesù crocifisso: «”Figlia mia Caterina – le disse – vedi quanto ho patito per te? Non ti rincresca, dunque, di patire per me...”. Ma lei: “Signore mio, dov’eri quando il mio cuore era tribolato da tante tentazioni?”. E il Signore: “Stavo nel tuo cuore”» (G. Joergensen, Santa Caterina da Siena, Torino 1941, p. 49).

3)   Igino Giordani, deputato, scrittore, giornalista, è ora considerato nel Movimento confondatore per l’apporto da lui dato in vari modi al Movimento.

4)   Anche il teologo ortodosso O. Clément scrive: «Attraverso la sua umiliazione, la sua passione, la sua morte di maledetto, il Cristo lascia entrare in sé tutto l’inferno, tutta la morte della condizione decaduta, fino all’accusa terribile dell’ateismo: Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”» (Riflessioni sull’uomo, Milano 19752, p. 147).

5)   P. Evdokimov, La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, Roma 1969, p. 109.

6)   Teodrammatica, IV, cit., p. 313.      
Scrive J. Ratzinger: «Il grido di Gesù in croce è designato da Ernst Käsemann come una preghiera scaturente dall’inferno, come il rilancio del primo comandamento nel deserto dell’apparente assenza di Dio» (Introduzione al cristianesimo, Brescia 1969, p. 241).