Essere Chiesa

È da poco uscito l’ultimo libro di Chiara Lubich dallo scultoreo titolo “Il grido”. All’interno, un sottotitolo ne precisa il contenuto: “Gesù crocifisso e abbandonato nella storia e nella vita del Movimento dei Focolari dalla sua nascita, nel 1943, all’alba del terzo millennio”. Una dedica precede il testo e ne svela l’intimo movente: “Come una lettera d’amore a Gesù abbandonato”.

Non è la prima volta che Chiara scrive del mistero dell’abbandono di Cristo. In un precedente volume aveva riferito della scoperta di Lui come il “Dio di oggi” e delle successive comprensioni su “come amarlo”. In questo nuovo scritto va oltre e, con il coraggio del poi, consegna al pubblico la singolare testimonianza di una storia che abbraccia oltre 50 anni di vita.

Dei moltri risvolti, profondi e attuali, del libro vorremmo metterne in risalto uno in particolare. Come ha rilevato G. M. Zanghì in una recente intervista, l’autrice «esprime il suo straordinario amore non solo per Dio, ma anche per la Chiesa».

È la “storia di un’anima”, che colpisce per il fatto che qui la personale testimonianza va mano nella mano con una forte esperienza di Chiesa, una storia grande e, per certi versi, tremenda, certamente toccante, ma soprattutto carica di luce per il modo in cui, con puntuale racconto, evidenzia quanto sia ardua la via che conduce a diventare, fino in fondo, Chiesa.

Penso sia bene, a questo proposito, lasciare la parola a Chiara stessa:

«Iniziava... per noi – racconta – uno studio lungo e approfondito. Era una cosa semplice e doverosa per la Chiesa, ma per noi significava sospensione e insicurezza... quasi insopportabile. Per capire questo, bisogna sapere cos’era per noi la Chiesa... La Parola “Chi ascolta voi ascolta me” (Lc 10, 16), riscoperta nel Vangelo sin dal nascere del Movimento, ci aveva rivelato che cos’era veramente la Chiesa, chi i suoi rappresentanti. Era un’unica cosa con Dio. E  noi, solo in Lei e attraverso di Lei, eravamo uniti a Dio» (pp. 61-63).

«Se noi pure – prosegue Chiara –, come tutti quelli che s’impegnano in una vita di fede radicale, dovevamo passare attraverso delle prove – e di queste sentivamo il bisogno –, esse non dovevano essere dissimili da quelle che aveva sperimentato il nostro leader: Gesù abbandonato. Egli aveva provato l’abbandono da parte di Colui che chiamava Padre, Abbà, da Lui tanto amato. A noi queste prove dovevano venire, in qualche modo, attraverso chi ci rappresentava il Padre sulla terra, o la Madre: la Chiesa, che tanto amavamo, e nella quale e per la quale volevamo spendere la vita.

«Ma come Gesù – conclude l’autrice –, dopo quella prova che lo fece in quel grido quasi un altro Padre, salì al Padre, alla sua destra, così noi, finita la prova, ci siamo sentiti formati “Chiesa”» (pp. 65-66).

Esperienza singolare, senza dubbio. Eppure in essa si staglia quella che è, in definitiva, la porta d’accesso per diventare in pienezza “anima-Chiesa”. Inseriti nel nuovo popolo, noi ci troviamo coinvolti non soltanto – secondo la prospettiva del Vaticano II – in quel dinamismo di comunione che ha la sua fonte e il suo modello ultimo nella vita della SS. Trinità, ma siamo pure chiamati a rivivere – nel piccolo o nel grande – tutta la parabola dell’esperienza del Figlio incarnato nel rapporto col Padre: dalla grazia della figliolanza alla notte dell’abbandono, fino alla gioia traboccante della risurrezione.

Sta qui la radice e la piena realizzazione dell’ecclesialità. «Se siamo cristiani – ha sottolineato recentemente Chiara, parlando ad un folto gruppo di sacerdoti –, non esistiamo per noi stessi, esistiamo per gli altri... Dobbiamo innestarci gli uni negli altri come le Persone della Trinità perché siamo membra del Corpo mistico, chiamati a vivere questo corpo. Ma, per innestarci l’uno nell’altro, la possibilità è solo Gesù abbandonato»: un amore che trae la sua misura dall’Abbandonato.

È a partire da un essere Chiesa vissuto con questa profondità che ai nostri giorni si possono aprire orizzonti innovativi per la teologia (cf. l’intervista a Giuseppe Maria Zanghì). E si schiudono nuove prospettive per l’evangelizzazione e prima ancora per la promozione della comunione ecclesiale, come mostrano le testimonianze che abbiamo raccolte.

Ma è soprattutto a partire da un essere Chiesa vissuto con questa profondità che si accende potente quella speranza che il card. Poupard nella prefazione al volume di Chiara ha espresso così:

«All’annuncio della “morte di Dio” che pareva dominante negli ultimi due secoli, corrisponde oggi l’annuncio di una nuova alleanza, di una rinnovata ed approfondita amicizia giacché attraverso il Cristo abbandonato e crocifisso, “finestra” aperta fra Dio e l’uomo, come la definisce Chiara, il Padre guarda noi e noi possiamo ritornare a contemplarlo e a gioire della sua presenza».

Hubertus Blaumeiser