NuoveVocazionie vita di comunione

 

a cura della segreteria internazionale del movimento gens

 

Buone notizie! Le vocazioni sacerdotali sono in aumento. Secondo l’Annuario Statistico della Chiesa, pubblicato poche settimane fa, il numero dei seminaristi diocesani degli anni di filosofia e teologia ha raggiunto i 70564, con un aumento di 521 nel corso del 1997-98. Da tener presente la distribuzione geografica di questa crescita. Sono in attivo l’America Latina, l’Asia e l’Africa, oltre che l’Europa centro-orientale. Il Nordamerica, l’Oceania e l’Europa dell’Ovest assistono invece ad un costante calo che in alcuni casi si presenta addirittura drammatico.

È su questo sfondo che assumono rilievo alcuni fatti. Citiamo innanzi tutto il caso di due seminari che negli anni scorsi hanno risentito pesantemente della mancanza di vocazioni: quello di Lucerna in Svizzera (diocesi di Basilea) e quello di Hasselt in Belgio. Se nel primo, nell’ottobre ’99, si sono presentati sei nuovi seminaristi, nel secondo, su un totale di 13 studenti, cinque sono entrati nello scorso anno. Fa pensare il fatto che, in quest’ultimo caso, quattro dei neo-seminaristi provengano dai nuovi Movimenti.

Cambiamo scena. Siamo in Italia, nelle Marche. Regione anch’essa caratterizzata da una certa penuria di vocazioni. Racconta un giovane diventato sacerdote in settembre: «Da tempo pensavo che, al momento dell’ordinazione, dovessi chiedere una grazia, con la certezza che Dio l’avrebbe esaudita. Così ho celebrato la prima messa con l’intenzione che quest’anno qualcuno della parrocchia entrasse in seminario. Nei giorni successivi, un giovane ha espresso il desiderio di donarsi a Dio e due settimane dopo ha iniziato gli studi in seminario. Passato qualche mese, un giovane della parrocchia in cui presto da un anno servizio come responsabile vicariale della pastorale giovanile, è entrato anch’egli in seminario per l’anno propedeutico».

E andiamo nel nord della Germania che sta vivendo, attualmente, una stagione difficile dal punto di vista vocazionale. Uno degli studenti lascia il seminario e chiede alla diocesi di poter diventare operatore pastorale laico. Prima di venir accolto, dovrà fare un tirocinio di un anno. Domanda allora di essere assegnato ad una parrocchia dove ci siano sacerdoti che facciano vita comune. S’imbatte così in due sacerdoti focolarini. Per mesi condivide la loro vita, sperimenta grande attenzione e rispetto. Finché si avvicina l’ordinazione sacerdotale di due suoi ex-compagni. È per lui un momento difficile, di travaglio. La mattina del giorno dell’ordinazione, a sorpresa, si presenta tutto radioso a tavola. «Ritornerò al seminario», dice. E spiega: «Vedere quanto è normale la vostra vita mi ha fatto coraggio».

Buone notizie, per davvero!

 

 

Cittadelle diTESTIMONIANZA

 

Sono quasi una ventina le cittadelle dei Focolari, sparse nei cinque Continenti, cui accorrono migliaia di persone per vedere come sarebbe la società se a base di ogni cosa si mettesse il comandamento dell’amore. In questi ultimi mesi è venuta in evidenza la forte rilevanza che queste realizazioni-pilota possono avere anche nell’ambito della pastorale vocazionale e nella stessa formazione sacerdotale.

Quattro giorni pieni di sorprese  a Loppiano (Italia). È nel 1964 che, nei pressi di Firenze, inizia l’avventura di Loppiano. Cresciuta come il granello di senape, questa cittadella, che offre a persone delle più varie vocazioni la possibilità di conoscere ed approfondire la spiritualità dell’unità, conta attualmente 850 abitanti. Come vera città, è dotata non soltanto di abitazioni, ma anche di scuole, aziende, strutture ricreative...È in questa cornice che dal mercoledì della Settimana Santa alla domenica di Pasqua si sono ritrovati 27 giovani aperti al sacerdozio. Significativa la loro provenienza: in gran parte da Paesi che, in termini vocazionali, destano piuttosto preoccupazione: Francia, Belgio, Svizzera, Germania... Il loro obiettivo: vivere con Loppiano il Triduo pasquale. Più in concreto: immergersi nelle varie espressioni di questa città del Vangelo, condividendone la vita per alcune giornate, dal lavoro quotidiano alle celebrazioni liturgiche, ai momenti di relax. Tutto si è svolto nella luce dei misteri di quei giorni: amore e servizio reciproco che trova il suo emblema nella lavanda dei piedi; rapporto a tu per tu con Gesù che, con la sua offerta in croce, invita ad una nuova e totalitaria risposta d’amore; piena disponibilità ai disegni di Dio, come è stata vissuta in maniera esemplare da Maria, mistero su cui viene spontaneo meditare nel Sabato Santo; gioiosa accoglienza dei doni di vita e di luce che si sprigionano dal Cristo Risorto. Per quattro giorni questi misteri hanno rivelato tutto il loro fascino e la loro carica vitale, perché non si sono soltanto meditati e celebrati, ma soprattutto vissuti, con l’aiuto anche di un breve motto per ogni giorno: “(amare) per primi”, “per te, Gesù”, “eccomi”, “vedere in tutti Gesù”.

La reazione dei giovani ha superato ogni attesa: un coinvolgimento pieno che, entro poche ore, ha fatto di gente tra loro estranea un blocco solo e da lì in poi ha fatto andare le cose “come da sé”. Da sé si è riscoperto il dono dei sacramenti, dell’adorazione. Da sé questi giovani hanno sentito che nella vita una sola scelta conta: quella di Dio. Spontaneamente hanno avvertito la necessità di dare carta bianca a Gesù. E sono partiti con il proposito di infuocare il loro ambiente con queste scoperte.Molto ci sarebbe da dire su quei giorni: sulle meditazioni con cui è iniziata ogni giornata, sulle ore di lavoro manuale, sugli interventi-testimonianza di persone di varie vocazioni, sulla visita al Campo Santo della cittadella, fortissimo incontro con cristiani per davvero “realizzati”.Ma lasciamo la parola ai giovani stessi: «Giorni di luce che non dimentico più» (un belga). «Ti parlo in verità. Devi credermi, voglio andare in profondità, senza aspettare. Dobbiamo parlare» (un francese). «Grazie a te, Signore per questo luogo, dove respiro Dio» (un altro francese). «Si è potuto toccare quasi con mano questo Gesù in mezzo. Così dovremmo vivere anche in seminario» (uno svizzero). «Un giorno in questo santuario d’amore vale più che mille altrove» (dal testo di una canzone che due giovani partecipanti hanno composto ad hoc).«Quando siamo arrivati in diocesi – racconta l’accompagnatore del gruppo francese – tutti hanno aiutato a lavare la macchina prima di renderla alla famiglia che ce l’aveva prestata». E conclude: «Alla fine, la macchina – come tutti noi – era più bella di quando siamo partiti».

 

Esercizi nello stile della Chiesa-comunione Recife (Brasile).

Dall’8 all’11 marzo, 36 seminaristi maggiori di tre diocesi del Nordest del Brasile, assieme ai loro formatori, hanno vissuto i loro esercizi nella Mariapoli Santa Maria, la nascente cittadella dei Focolari in quella regione. L’idea di svolgere il ritiro annuale insieme ed in quel posto era sorta durante un incontro dei tre vescovi con i responsabili delle rispettive case di formazione, con l’intento di avviare un cammino in comunione fra i seminaristi. Inizialmente si pensava ad un ritiro in stile più classico, portato avanti da un solo predicatore. Ben presto però, di comune accordo, si è deciso di optare per una formula più comunitaria e si sono coinvolti per le varie meditazioni oltre a qualche sacerdote anche alcuni focolarini e focolarine. La Parola, l’Eucaristia, la volontà di Dio, il fratello, Maria, sono stati i temi fondamentali, trattati con costante riferimento alla vita concreta. Ai seminaristi è molto piaciuto questo approccio: «Cose semplici che abbiamo bisogno di sentire», hanno commentato. Ed hanno messo in luce il carattere di testimonianza: «Loro parlavano di quello che vivono».

«Secondo il desiderio degli studenti – ci ha scritto uno dei formatori –, il programma prevedeva sia momenti di silenzio che momenti di dialogo per favorire la reciproca conoscenza. Così, dopo ogni meditazione, non c’era ombra di albero, nei dintorni della casa, dove non si trovasse un seminarista impegnato in un personale colloquio con Dio. Negli incontri di gruppo, invece, ma anche nel lavaggio dei piatti, si creava con immediatezza la comunione. La Messa quotidiana, assieme agli abitanti della cittadella, faceva la sua parte, immergendo tutti in una realtà di Chiesa-famiglia. Alla fine – prosegue il racconto – tutti eravamo avvolti da un’atmosfera di divino, che è culminata nella Messa conclusiva nella quale si avvertiva fortemente la presenza dello Spirito Santo».Alcuni commenti ad esercizi conclusi:«È stato veramente un momento santo, nella mia vita». «Un’esperienza inedita, un luogo ideale per incontrare Gesù ed il fratello nella condivisione e nell’amore». «Credo che abbiamo generato comunione e nella comunione si rivela la Trinità. Ho scoperto quanto la vita comunitaria e la preghiera siano importanti per compiere la volontà di Dio».

 

 

Il popolo di Dio ha bisogno di vedere sacerdoti che si amano, e fanno a gara nello stimarsi tra di loro. È questa la prima condizione perché possano amare quanti sono loro affiadti. È questa una forte testimonianza perché i giovani guardino a loro come a possibili modelli da imitare. Con l’aiuto di Dio, la penuria di vocazioni si potrà guarire quando veramente la Chiesa apparirà trasparente nella sua testimonianza, credibile nel suo annuncio, ardente nell’amore fraterno.           

 

Giovanni Paolo II
(O.R. 13-14.12.’99)

 

 

A chi guardano i giovani, che Dio può aver chiamato allo stesso compito, per capire come sarà il loro avvenire al servizio di Dio e degli uomini? Sono sacerdoti uniti, col regno di Dio in mezzo a loro e tutte le conseguenze che esso comporta, coloro che possono dimostrare quanto è vera la risposta di Gesù a Pietro: «chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o moglie o figli o campi per il mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna».


Chiara Lubich
Aula Paolo VI, 30.4.’82)

Notizie Flash

Nella posta, alcune notizie che ci hanno fatto piacere.Dal Burundi, i focolarini ci scrivono:«Vogliamo ringraziarvi delle Notizie dal mondo dei seminari (che là arrivano in versione francesce; n.d.r.) tanto apprezzate fra i sacerdoti e i seminaristi. Sono un mezzo che ci aiuta a tenerci collegati. Attualmente ne distribuiamo un centinaio di copie». Dall’Honduras, un gruppo di seminaristi ci comunica quest’esperienza di uno di loro: «Il lavoro pastorale che mi è stato assegnato quest’anno, è un po’ difficile. Mi sarebbe piaciuto di più lavorare in un altro campo. La riflessione di Chiara, pubblicata sull’ultimo notiziario (quello di gennaio; n.d.r.), mi ha aiutato ad accogliere con gioia quanto mi è stato proposto».In Spagna, un sacerdote manda le notizie a vari seminaristi che ne sono molto contenti. Fra questi, uno ha scritto: «È stata una “boccata di aria fresca”, in un momento che è per me un po’ duro».

 

Febbre di esami

La stagione degli esami, come si sa, nei seminari è sempre un momento delicato. Dilagano il nervosismo e l’isolamento e... addio comunione. Radicati nella Parola di Dio, si può però anche superare questa diffusa febbre e vivere quel momento in modo diverso. Ci ha scritto un seminarista latinoamericano: «Oggi ho fatto l’esame De universa theologia. Tutto bene, in conclusione. Ma il percorso è stato arduo. Ad un certo punto due professori, istaurando una specie di competizione tra loro, sembravano voler mostrare quanto sapevano ed hanno cominciato a porci domande su argomenti che non c’erano nelle tesi. Ho ricordato in quel momento un pensiero che mi aveva accompagnato durante la preparazione. L’avevo scritto su un cartellino e messo sulla mia scrivania: “studiare per innamorarmi di più di Dio”. Mi ha fatto capire che, alla fine, non importava né il voto né questa scorrettezza: importava amare. Ho quindi cominciato ad ascoltare i professori con attenzione. E notando come uno dei due era molto arrabbiato, con qualche battuta di buon umore ho fatto capire che non serbavo nei suoi confronti nessun risentimento. Così l’esame si è concluso tra una risata generale ed anzi i professori mi hanno ringraziato. Ero contento di aver superato bene l’esame. Ma soprattutto mi sono reso conto che esso in realtà non era il mio “ultimo esame”, ma solo un allenamento per quello definitivo, il più importante, per il quale sappiamo già le domande: ero nudo, ero forestiero, ero malato...».Alcuni seminaristi che studiano a Roma raccontano: “Anziché vivere davanti agli esami un po’ nella trepidazione, abbiamo vissuto nell’attesa di un incontro coi professori. Portare a loro la materia era espressione di reciprocità: risposta a quanto loro ci avevano donato. In questo clima di libertà, veniva spontaneo instaurare un rapporto profondo. E sono successi tanti fatti sorprendenti, come, ad esempio, quando uno di noi ha fatto l’esame di pedagogia. La professoressa gli ha chiesto come fare perché i rapporti fra i membri di una famiglia aiutino ciascuno a realizzarsi, ed egli ha risposto con tante esperienze concrete sull’amore reciproco. La professoressa ne è rimasta entusiasta ed, uscendo alla fine dall’aula, ha detto agli studenti: Fategli un applauso perché ha fatto un esame molto bello!”.