Dialogo con i lettori

 

«Sta esplodendo il commercio elettronico grazie all'avvento di Internet sui mercati finanziari. Il mondo dell’economia sta cambiando volto. Si parla tanto di New Economy. Di che si tratta? L’esperienza dell’“Economia di comunione”, promossa dal Movimento dei focolari, quale incidenza potrà avere?».

(Giampietro Baldo – Castello Tesino – Trento)

Comunione
e solidarietà

L'espressione New Economy è entrata relativamente da poco nel vocabolario economico, e viene usata in accezioni diverse, e, non di rado, in modo poco preciso. Ciò che possiamo individuare come lo zoccolo duro della Nuova Economia mi sembra sia lo spostamento che si sta verificando nei sistemi economici dalla produzione di “merci” verso la fornitura di beni e servizi ad elevato contenuto di conoscenza (si pensi ai prodotti informatici). L’esplosione del commercio elettronico (e-commerce) è una conseguenza molto evidente di questo cambiamento.

Quali le conseguenze? Si creano nuove figure professionali, ricercatissime, ma anche un crescente numero di nuovi analfabeti, i cosiddetti illitterates del computer. E con ciò la tendenza verso una crescente polarizzazione e radicalizzazione del mercato del lavoro: da una parte un’élite di super-specialisti super-pagati, e dall’altra una crescente massa di disoccupati. Saremo in grado di inventarci nuove figure di lavoratori? Qui il ruolo dell'istruzione, della scuola, e più in generale della cultura, sarà decisivo.

Certamente si intravvedono anche dei pericoli. Riuscirà la globalizzazione dell'economia e della finanza ad offrire nuove chances ai più poveri?

Per ora possiamo solo constatare che il dislivello tra Paesi ricchi e poveri sta aumentando in questi ultimi anni di globalizzazione, e che delle sue opportunità hanno goduto principalmente i Paesi che stavano meglio prima che la globalizzazione esplodesse.

Occorre dire che la Nuova Economia apre anche altri scenari, meno cupi. Oggi, grazie al commercio elettronico, qualunque impresa, che in qualsiasi parte del globo possieda un modem e poche centinaia di dollari per una pagina web, può entrare nel mercato globale e competere con le grandi multinazionali.

È una grande e inedita opportunità per le piccole e medie imprese, anche nei paesi poveri. Se non avremo un capitalismo popolato solo da anonime mega-corporations (come si pensava solo qualche anno fa), questo lo si dovrà anche alle opportunità offerte dalla Nuova Economia.

Ma da dove ripartire per un agire economico finalizzato al bene comune?

La sfida etica è cruciale. Personalmente però credo che la dimensione etica debba fiorire dall’interno di questi mondi: ormai le discipline e i diversi ambiti della vita umana hanno raggiunto una propria autonomia, che rende molto difficile il dialogo con istanze e richiami etici esterni a quei mondi.

In questo senso credo vada ripensato anche il ruolo della dottrina sociale della Chiesa, che sempre più dovrà arrivare in questi mondi attraverso l’impegno civile di laici, per tradurre quei valori dentro il linguaggio e i metodi tipici di quei mondi: economisti, politici, imprenditori cristiani che rinnovino dal di dentro teoria e pratica economica. Mi sembra questo un terreno fertilissimo, con prospettive di grandi speranze.

Abbiamo segnali positivi che questo processo è già iniziato e il dato di maggior ottimismo proviene da un altro movimento in continua crescita, anch'esso globalizzato, e cioè quello dell’economia civile: esperienze che nascono dal basso, dalla società civile, e che stanno avendo un crescente peso anche nelle politiche e negli orientamenti macroeconomici. Si pensi al ruolo delle ONG (organizzazioni non governative)  nel recente meeting di Seattle.

All'interno di questo movimento di economia civile c'è un sottoinsieme che mi sembra particolarmente significativo, e cioè quello costituito dalle cosiddette “imprese sociali”, imprese appunto che, restando a tutti gli effetti nel mercato, lo “utilizzano” per creare solidarietà e comunione.

Penso ad esempio a molte cooperative sociali, e – per rispondere alla domanda – all'Economia di comunione: un’esperienza  nata dieci anni fa dall'ispirazione di Chiara Lubich e che oggi coinvolge 761 imprese nei cinque continenti. Le imprese che aderiscono all'Economia di comunione sono infatti normalmente imprese for-profit.

Il binomio non-profit/for-profit non mi sembra in grado di catturare la peculiarità di tali esperienze. Nel caso dell’economia di comunione, per esempio, gli utili realizzati dalle imprese sono messi “in comunione” e sono divisi una parte per affrontare il problema della povertà, un’altra per promuovere una nuova cultura ed un’altra ancora per l’autofinanziamento delle imprese.

Ciò che mi sembra molto interessante e nuovo in queste imprese sociali è il superamento di una logica dicotomica dell'azione, poiché in esse c'è una forte spinta a voler coniugare il meglio della logica e della cultura dell'impresa e del mercato con la logica della comunione.In quest’ottica si può essere imprenditori sociali etici sia occupandosi di anziani e malati, sia producendo frigoriferi e computer.

Un aspetto nuovo di questi ultimi due-tre anni è che l'esperienza delle imprese sociali, dell'Economia di comunione in modo particolare, sta attirando l'attenzione anche degli studiosi, che cercano di dare fondamento e dignità scientifica a quest'esperienza e alla sua logica: cercare di trarre dall'Economia di comunione spunti per una “Teoria economica di comunione”1.

Ormai studiosi di diverse branche dell'economia leggono quest'esperienza con i loro strumenti, e – a partire dai fatti – offrono interessanti prospettive di superamento dell'attuale impostazione della scienza economica, che mal si presta a descrivere esperienze “a movente ideale”.

Ci si può chiedere se queste esperienze non siano che mere “utopie”. Io sono ottimista, e credo che l'economia civile, le imprese sociali, l'Economia di comunione, non siano “utopie” (nel senso etimologico del termine), e neanche esperimenti destinati a restare marginali, ad occupare una nicchia di soggetti particolarmente altruisti.

Su quale base fondo il mio ottimismo? Ci può essere utile guardare semplicemente e correttamente alla storia. Se infatti guardiamo la storia economica dell'umanità in modo miope, restringendo lo sguardo solo agli ultimi due secoli, allora dobbiamo affermare che la regola nella prassi economica sia il tornaconto personale, e la comunione sia l'eccezione.

Ma se invece osserviamo la storia, allargando lo sguardo attraverso i secoli, e se arriviamo fino alle culture non occidentali, come quelle africane o asiatiche, allora le cose in parte si capovolgono, e ci accorgiamo che spesso la regola è la comunione, come sanno bene gli antropologi. È questo passato (e presente) che deve farci essere ottimisti.

Luigino Bruni