In una società secolarizzata Dio si testimonia nell’unità

 

Dall’isolamento a nuove forme di comunione

di Wilfried Hagemann e Paul Christian

 

La Germania negli ultimi cento anni ha attraversato molte tempeste. La spaventosa ascesa alla dittatura del Nazionalsocialismo, gli orrori della seconda guerra mondiale, la divisione tra Est e Ovest, il sistema comunista con il suo controllo capillare della vita pubblica e privata dei singoli nella Repubblica Democratica Tedesca, la rivoluzione studentesca del 1968 nell’Ovest. Sono solo alcuni degli avvenimenti che hanno scatenato un massiccio processo di secolarizzazione sradicando esteriormente ed interiormente molte persone dai valori su cui basavano la loro vita. La riunificazione della Germania nel 1989/90 ha mostrato che i cristiani attivi nella società sono di gran lunga una minoranza. Tutta questa situazione ha lasciato tracce profonde, colpendo in modo particolare il clero.

La Chiesa tedesca in cifre

Nella Germania dell’Est, nei cosiddetti nuovi stati federali, la situazione dei sacerdoti, ma anche dei cristiani in generale, è ancora molto difficile, perché manca una prospettiva di fede che faccia capire come andare avanti. Fino al 1945 il territorio che costituiva la Repubblica Democratica Tedesca era quasi esclusivamente evangelico e, con una radicalità forse unica in Europa, in esso si è sviluppata in maniera impressionante la secolarizzazione.

Per questo l’80% della popolazione è lontana dalla Chiesa. Basta dire che su 100 bambini solo 5 vengono battezzati; di questi il 2,5% sono cattolici e 2,5% evangelici. Qui i cattolici vivono in diaspora e in molti centri abitati non c’è neanche un cattolico attivo. Una diocesi dell’Est ha al massimo 300.000 cattolici, ma in un territorio che per la sua estensione normalmente in occidente comprenderebbe tre diocesi.

Nell’Est, per fortuna, a causa del numero limitato dei sacerdoti (120-200 per diocesi), questi hanno un rapporto molto personale con i vescovi. Ma il costante diminuire del numero dei partecipanti alla liturgia domenicale e l’assenza dei giovani pesa molto sul clero. La stragrande maggioranza della gioventù si è trasferita nella Germania dell’Ovest in cerca di lavoro. Rimane il gruppo degli anziani. Il numero dei bambini che ricevono la Prima Comunione oscilla tra 0 e 15 e quello dei matrimoni tra 0 e 5 all’anno.

Il sociologo E. Neubert parla di una catastrofe della Chiesa in questa parte della Germania. Ciò che ci è stato trasmesso di Chiesa nel 1990 dalla RDT è una diffusa distruzione. A Berlino Est solo l’1% dei giovani appartiene alla Chiesa e questo processo di erosione va avanti. Senza i soldi occidentali anche al tempo del governo comunista la Chiesa come organizzazione sarebbe crollata.

Il teologo E. Tiefensee costata: "Nel giro di due generazioni i cambiamenti sono stati drammatici. Nel 1946 l’82% della popolazione della Germania Orientale si dichiarava evangelico, il 12% cattolico; nel 1960 ancora il 60% evangelici e l’8% cattolici; nel 1990 si parla solo di 26% di evangelici e di 6% di cattolici. I numeri  mostrano in un periodo relativamente breve il regresso dei cristiani e il decuplicarsi di coloro che non si riconoscono in alcuna confessione religiosa. Anche oggi non si vede una svolta in questa tendenza. Definire ciò come una catastrofe della Chiesa non è un’esagerazione".

Anche nella Germania dell’Ovest la situazione non è per nulla rosea, perché il 15% non appartiene ad alcuna confessione, il 45% si dicono evangelici e il 40% cattolici, ma la maggioranza non è praticante. In questi ultimi decenni si è accentuata la crisi dei sacerdoti e sono stati molto numerosi gli abbandoni del ministero anche dopo appena uno o due anni di ordinazione.

La sofferenza dei preti

I sacerdoti oggi si sentono come buttati allo sbaraglio in un Paese dove ai cristiani sono state strappate le radici stesse della fede. E coloro che ancora credono vivono in forte minoranza e hanno grosse difficoltà a mantenere il collegamento con la sorgente della fede. E non di rado questo appassire della vita cristiana viene attribuito ai sacerdoti – nascostamente ma anche espressamente – provocando sensi di colpa. Spesso il prete si domanda: «Cosa faccio di sbagliato? Sono un fallito? Cosa dovrei fare? Come andrà a finire?».

Molti si confrontano con queste domande in situazioni che non offrono speranze, anzi con la prospettiva di un inarrestabile peggioramento. Anche se in alcuni prevale l’esperienza frustrante dell’essere sottovalutati, la cosa più notevole è che la maggioranza si sente sovraccarica di impegni e delusa per lo scarso successo. Questa impressione viene continuamente rafforzata dalle necessità crescenti che costringono molti sacerdoti a prendersi cura di più parrocchie, a causa della mancanza sempre crescente di vocazioni. Anche qui il malcontento della popolazione si sfoga sul sacerdote che non può portare avanti una linea pastorale come in passato, anche perché le sue forze sono già assorbite dalla parrocchia principale.

Una speranza

Cosa fare per aiutare i sacerdoti in questa situazione? Volgendo uno sguardo d’insieme sulle diocesi, si può notare che negli ultimi 20 anni è sempre più cresciuto tra loro il desiderio di comunione. Ciò appare dal fiorire di molte comunità sacerdotali come Jesus Caritas, Schönstatt, Comunità Emanuel, Movimento dei focolari, ma anche da diverse forme di pensare e agire insieme di sacerdoti che non appartengono ad alcuna comunità particolare. Ed è una tendenza trasversale tra le generazioni.

Inoltre questo desiderio, espresso anche in forme di vita comune, non è ostacolato dalle diocesi con la vecchia motivazione che il parroco deve risiedere permanentemente in mezzo ai parrocchiani; al contrario si fanno molti sforzi per renderlo possibile. I vescovi tedeschi in una lettera sul ministero sacerdotale scrivono: «Di fronte a queste difficoltà, ma anche tenendo conto che la comunione deve suscitare una particolare testimonianza del Vangelo, si consiglia uno stile di vita comunitario per i sacerdoti... Dovremmo riflettere più intensamente sui diversi modi di una vita comune che, come abbiamo visto, vengono caldamente raccomandati anche dal Concilio Vaticano II. Anche l’appartenenza a comunità sacerdotali fa parte di questo ambito. In effetti, ogni prete, se non se la sente di inserirsi in una comunità sacerdotale, dovrebbe almeno cercare regolarmente di mantenersi in contatto con uno o due altri confratelli, anche a costo di coprire lunghe distanze».

La nostra esperienza

Per i sacerdoti aderenti al Movimento dei focolari ha una grande importanza vivere in comunità o incontrarsi settimanalmente per un’intera giornata. Avere il tempo per raccontarsi la propria vita, vedere insieme alla luce del Vangelo i progetti pastorali di ognuno, trovare il tempo per il riposo in comune: tutto ciò si rivela fonte di rinnovamento profondo e regolare. Inoltre l’essere inseriti in un Movimento ecclesiale nel quale molti laici vivono il cristianesimo in maniera altrettanto intensa è di grande sprone.

In Germania sono sempre più numerosi questi punti di vita communis, come qui si usa chiamare. Le case parrocchiali dove tre, quattro o cinque sacerdoti vivono insieme, si sviluppano velocemente. Anche i vescovi ricorrono volentieri a queste case quando vogliono dare un po’ di respiro a sacerdoti in difficoltà. Molti di essi, infatti, pur non considerandosi direttamente appartenenti al nostro Movimento, vengono volentieri in queste case e trovano nello spirito della comunità nuovo coraggio per andare avanti. È normale che in tali comunità vengano accolti anche sacerdoti ammalati o in pensione.

Nelle grandi città si sta sviluppando l’abitudine della mensa comune. Sacerdoti che abitano in diverse località non troppo distanti si incontrano per il pranzo in una delle parrocchie. La spiritualità dell’unità fa scoprire sempre nuove forme per coltivare la comunione. La meta non è tanto lo star bene insieme, bensì una sempre nuova apertura verso il Cristo risorto presente tra coloro che si riuniscono nel suo nome.

Ma vivere in comunione, oggi così necessario per la stessa sopravvivenza, non è semplice. Le forti tendenze all’individualismo e alla privatizzazione presenti nella società sono di ostacolo alla comunione, all’apprendimento di un tale stile di vita. Proprio per questo gli incontri regolari e l’apertura reciproca sono di grande aiuto non solo per il sostegno che ognuno riceve, ma anche perché quando tutto sembra fallire, si ripete l’esperienza dei discepoli di Emmaus: Gesù fra loro spiega il senso della storia, riaccende i cuori, aiuta a dirigere lo sguardo verso Dio e mette ordine nelle attività pastorali. Il sacerdote allora riesce a definire la propria identità in base all’essere e all’essere insieme, più che in base al lavoro e ai successi nella pastorale.

Gli incontri settimanali, che cominciano già la sera prima, donano continuamente nuovi orientamenti sia per la comunione delle nostre esperienze evangeliche come pure per l’aggiornamento su quanto lo Spirito opera nella vita della Chiesa anche attraverso il carisma dell’unità. Questo continuo rinnovamento e la freschezza interiore che proviene dall’esperienza della presenza di Gesù tra noi, ha avuto conseguenze sulla nostra pastorale in genere ed anche nei nostri contatti con i parroci evangelici.

Ma non ci scambiamo solo le esperienze spirituali. Anche nell’ambito finanziario cerchiamo di costruire la famiglia tra noi, vedendo la nostra economia con l’occhio della condivisione. In questo modo il pericolo di una certa ricchezza nei sacerdoti tedeschi scompare. Cerchiamo di trascorrere insieme anche le vacanze.

Ed è bello vedere che persino i sacerdoti anziani mantengono la loro freschezza, perché in questo stile di vita sono continuamente stimolati. Anche studenti di teologia trovano posto fra noi, sperimentando così la famiglia che possono scegliere nel futuro.

Lo stile di comunione si diffonde

Nella regione Sud-Ovest della Germania i sacerdoti che seguono la spiritualità dell’unità si sono posti la domanda di come si possa trovare un equilibrio tra lavoro e spiritualità, tra unione con Dio e attività pastorali. Dietro questa domanda c’è il problema che il lavoro quotidiano del prete minaccia continuamente la sua vita spirituale e quella della sua comunità fino a soffocarla. Ne è venuto fuori che il lavoro pastorale deve essere ordinato e strutturato in modo nuovo, ma che dei cambiamenti sono possibili solamente se i sacerdoti si mettono insieme, perché spesso il singolo non ha abbastanza resistenza e decisione. Così è nata l’idea di un “cantiere per il futuro”, dove imparare a progettare l’attività pastorale in una Chiesa in cambiamento. “La Chiesa che cambia – dove andiamo?”. Tempo di cambiamento non vuol dire solo che qualcosa crolla, ma anche che qualcosa di nuovo nasce. Che cosa vuol dirci oggi lo Spirito di Dio, per aiutarci a spianare la strada a ciò che verrà? Partendo da queste domande sono state sviluppate quattro linee che possono dare un orientamento nell’attuale situazione di cambiamento.

La Chiesa del futuro, come quella delle origini, sarà segnata:         
– dalla parola vissuta, anima di un’autentica celebrazione eucaristica;         
– dal sacerdozio regale come sostanza del popolo di Dio che è la Chiesa;   
– dalla vita comune con la presenza del Risorto più che da una pietà individualista;  
– dall’impegno dei laici per la trasformazione del mondo più che dalla ricerca e difesa di privilegi per le strutture ecclesiastiche.

Il “cantiere per il futuro” si è sviluppato con successo a Speyer, mentre a Paderborn è sorta l’iniziativa communio che, sulla stessa scia, vuole offrire ai sacerdoti interessati la possibilità di capire come essere in missione nel mondo secolarizzato di oggi.

Qui i convegni di più giorni si sono svolti nell’accademia diocesana di Schwerte ed hanno affrontato i seguenti temi:

– Lungo respiro e forza interiore per essere sacerdoti in una fase di transizione (R. Lettmann, vescovo di Münster).

– Il Signore si dà ai suoi, mentre essi dormono. Istruzioni per gli “operai del cantiere” (Joachim Wanke, vescovo di Erfurt).

– “Oh Signore, siamo così pochi”. Parole di conforto ai pochi operai di una grande messe (L. Averkamp, arcivescovo di Amburgo).

– Perché sono diventato prete? Identità sacerdotale e mandato pastorale (Peter Klasvogt, rettore del Seminario a Paderborn).

Anche a Münster è stato fatto un convegno dal titolo: “La Chiesa in una società in movimento e il ministero dei sacerdoti”, mentre nella cittadella ecumenica di Ottmaring il tema del convegno era “Il dialogo della vita”.

Qualcosa dunque si muove e si ravvivano le speranze.

Un decano di una diocesi, dopo aver partecipato, per incarico del suo vescovo, ad un corso per managers di industrie per conoscere come questi dirigono le imprese, rinnovano le strutture e le rendono dinamiche in vista di nuove mete, ha posto al decanato queste domande: «Cosa vuole Dio da noi cristiani e cristiane in questa città, in questo decanato? Quali sono i prossimi passi che sacerdoti e laici dobbiamo fare per portare il Vangelo a tutte le persone che vivono in questa regione? Come investire in maniera più sapienziale le poche persone e le poche forze che abbiamo?».

Esaminando e riassumendo le risposte si è constatato che i sacerdoti che hanno un’esperienza di comunione non erano rimasti soli e scoraggiati a guardare un mondo che cambia ma, al contrario, avevano già messo in atto tutti i mezzi a disposizione per fare delle loro parrocchie comunità vive e per creare tra i sacerdoti delle rispettive diocesi iniziative di rinnovamento basate appunto sulla comunione. Non sono pochi i sacerdoti e i laici che, toccati da questo modo di essere, trovano la forza per ricostruire pazientemente, ma con una meta ben precisa, la Chiesa viva come la vuole il Concilio Vaticano II.

Cosa fanno i vescovi?

Per essere vicini ai loro sacerdoti nella situazione determinata da così tanti fattori, i nostri vescovi stanno cercando di costruire un dialogo personale e strutturale. La diocesi di Paderborn, ad esempio, ha fatto nel 1998 un’inchiesta per cominciare con loro questo dialogo, per capire i loro bisogni concreti, anche pensando alla formazione dei futuri sacerdoti. Delle 1000 schede distribuite, ne sono tornate compilate 316. Alla domanda quale sia per i sacerdoti il motivo portante e la sorgente della forza nel loro ministero, la risposta più frequente è stata questa: amicizia e spiritualità vissuta... Le risposte, insomma, trasmettono l’impressione che si debba dare assoluta priorità alle esigenze delle premesse strutturali e personali di fraternità vissuta, se si vuole dare aiuto ai preti di oggi.

È interessante anche il fatto che il 25% dei sacerdoti esprimano esplicitamente il desiderio della vita communis. Proprio di fronte alla mancanza di chiarezza nella società secolarizzata, che pretende dal sacerdote una maggiore flessibilità, si sente il bisogno di “isole di stabilità”, luoghi in cui si è socialmente “a casa” e spiritualmente ben radicati.

La disponibilità dei vescovi nell’aiutare concretamente i sacerdoti che vogliono iniziare un’esperienza a vita comune è aumentata decisamente negli ultimi anni. Il fatto che le parrocchie vengono ristrutturate e ridisegnate in territori più vasti viene incontro a questa esigenza e rende più facile, o addirittura offre l’occasione, a diversi sacerdoti di poter vivere insieme.

La formazione dei futuri presbiteri

Come logica conseguenza di tutto ciò, ci sembra che questa strada debba essere sempre più presa in considerazione nella formazione dei futuri sacerdoti. La formazione alla capacità di comunione, la preparazione ad una cooperazione concreta tra le parrocchie e tra le persone che ricoprono incarichi fanno parte oggi della formazione standard dei sacerdoti.

Oggi da noi è obbligatorio accompagnare e aiutare i gruppi dei diaconi e dei giovani sacerdoti. Inoltre cresce la disponibilità e si sente la necessità di forme comunitarie di spiritualità. Si riscopre anche il valore del colloquio spirituale, della lectio divina, della preghiera quotidiana personale e comunitaria. Ed è così in quasi tutte le diocesi.

La nuova immagine di sacerdote che, attraverso circostanze spesso drammatiche, lo Spirito ci spinge a scoprire, è quella di una persona non solo esperta nella comunione con Dio, ma anche impegnata nel costruire una vita di comunione con il presbiterio diocesano.

Solo così egli riuscirà più facilmente a immunizzarsi contro la mentalità efficientistica del rendimento e del successo, tipica della nostra società, e trovare proprio nella comunione quelle forze spirituali che salvaguardano dalle facili alienazioni del “mondo”.

 

 

Wilfried Hagemann e Paul Christian