Una “casa” per i sacerdoti

Tanti nostri lettori ricordano con gratitudine la figura di Toni Weber, che per tanti anni ha lavorato per la formazione dei sacerdoti prima in Brasile, poi nella Scuola sacerdotale internazionale in Italia e infine in quella delle Filippine per il mondo asiatico. Crediamo di fare cosa gradita pubblicando questo suo scritto.

Visitando i sacerdoti nei posti dove svolgono il ministero, mi rendo conto dell’importanza di incarnare l’amore in tutti gli aspetti della vita. Questo spesso è mancato nella loro formazione. E quanto è necessario per una testimonianza anche umana del Vangelo! Economia, apostolato, preghiera, casa, vestito, cibo, studio, programma della giornata, vita di famiglia tra i sacerdoti, devono essere armonizzati secondo la sapienza del vangelo. Altrimenti il prete vive improvvisando e non gli serve a niente nemmeno la teologia.

Maturità umana

Oggi più che mai è urgente aiutare i sacerdoti nella loro formazione. Il 90 per cento dei giovani che si sposano non sono preparati, perché non hanno la maturità umana o cristiana; ma la stessa cosa direi per i candidati al sacerdozio: tanti diventano sacerdoti e non sono pronti per esserlo. So bene qual è la preoccupazione di un vescovo, di un rettore di seminario, di un vicario generale: vedendo la mancanza di sacerdoti, vogliono assicurare la vita pastorale, per cui ordinano persone che in altre circostanze non accetterebbero.

D’altra parte, mi accorgo che nell’esperienza che facciamo alla Scuola sacerdotale, tutta puntata sulla vita di comunione – e per farla i partecipanti vengono liberamente –, è più facile discernere i problemi di vocazione, di celibato, di capacità di creare una comunità, e via dicendo. Nella vita di comunione, se è autentica, vengono a galla problemi che altrimenti mai sarebbero affrontati e risolti.

Ora quanti sono i preti che hanno avuto una formazione alla comunione? Magari sono stati preparati per la pastorale, per organizzare attività parrocchiali, per predicare, per confessare o celebrare la messa, per pregare... Più trascurate la catechesi e le conoscenze pedagogiche e psicologiche. Ma ancora molto meno s’impara a vivere veramente in comunione. Mentre se esistesse una vera formazione in questo campo, i sacerdoti avrebbero una maggiore maturità umana e, per riflesso, ci sarebbe una fioritura di vocazioni e si avrebbero grandi frutti nella pastorale.

Una vita unificata

La vita d’unità, infatti, tocca e trasforma progressivamente tutti gli aspetti della vita nelle sue dimensioni personali e sociali. Sappiamo che la vita cristiana è normalmente espressa in vari settori con obblighi e azioni da compiere durante la nostra giornata. Per esempio, c’è un tempo per lavorare e un tempo per riposare, un tempo per pregare e un tempo dedicato all’apostolato, e così via.

Se ci rendessimo conto che, in realtà, in tutte le nostre attività c’è una sola cosa da fare: amare Dio, allora si opererebbe in noi e attorno a noi una rivoluzione, perché noi andremmo al lavoro o alla preghiera, al pranzo o a fare sport per amore, per amore a Dio e al fratello. La nostra vita, così unificata, diventerebbe luminosa e affascinante.

Una famiglia come gli apostoli con Gesù

Come si può esigere dal prete che lasci tutto: padre, madre, fratelli, campi, se non gli si offre una nuova famiglia in una vita di comunione fra sacerdoti? Gesù non ha agito cosi! Sì, ha chiesto ai suoi di lasciare tutto per seguirlo, ha sradicato gli apostoli dal loro ambiente naturale, dalle loro famiglie, ma contemporaneamente ha offerto loro una vita a corpo, una nuova famiglia che si attuava nella convivenza quotidiana con lui.

La piena disponibilità a lasciarsi portare dove mai si vorrebbe andare o si sarebbe sognato di andare, si conquista attraverso l’esperienza di una vita di comunione fraterna, dove si sperimenta libertà interiore dai condizionamenti culturali, familiari e locali.

Urge far crescere questa comunione fraterna tra i sacerdoti, e in senso tanto concreto: dai soldi alla salute, dalla vita spirituale allo studio, creando tra loro legami più forti, più vitali e più profondi di quelli di una famiglia naturale. Sacerdoti, in altre parole, che vivendo uniti tra loro, vedono attuarsi le parole del Maestro: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Urge moltiplicare nelle diocesi simili nuclei, che sono ben altra cosa che una vita in équipe a scopo funzionale; gruppi che sono fermento per realizzare un vero corpo sacerdotale col vescovo, spiritualmente e materialmente. È di conseguenza che aumenta la disponibilità per qualunque forma di servizio in qualsiasi posto sulla terra.

Per questo ho sempre sentito un’esigenza fortissima di aiutare i preti a trovare una casa, ad avere un posto dove vivere in famiglia. Mi sembra, infatti, che se uno non ha una casa, necessariamente va incontro a tanti problemi.

L’ottobre scorso abbiamo fatto un ritiro in Corea, con l’aiuto di Lazzaro You, un sacerdote del posto. È stata una cosa meravigliosa! I sacerdoti erano 85 e l’unica preoccupazione nostra è stata quella di fare ogni cosa in unità, affinché Gesù fosse presente. Il commento del vescovo, alla fine, è stato: «Non ho parole per dire cos’è stato questo ritíro!». Noi eravamo contenti nel vedere quei sacerdoti così gioiosi, felici, perché prima i rapporti non erano così facili in quella diocesi. «Finalmente siamo di nuovo a casa!», dicevano. Erano a casa, sì, perché ora c’era Gesù fra loro nel presbiterio, fra loro e con il vescovo. È questa la forza più travolgente, più rivoluzionaria per la nostra realizzazione personale e per la fecondità del nostro lavoro.

Toni Weber