"Far da Gesù sulla terra: prestare a Dio la nostra umanità affinché la usi per farvi rivivere il Figlio suo diletto"

 

La spiritualità collettiva:

comunione di beni e testimonianza

 

di Chiara Lubich

 

Nei precedenti temi sulla spiritualità collettiva o comunitaria Chiara Lubich ha approfondito i suoi 12 cardini, cercando di porre in rilievo, in ciascuno di essi, la sua specificità, cioè l’unità e la reciprocità. Continuando su questa linea, lei passa ora ad esaminarne gli aspetti concreti nei quali tale spiritualità si incarna. Qui parla dei primi due ambiti: l’economia e l’apostolato.

Come a tutti è noto, il Signore, attraverso il carisma dell’unità, non ha avuto intenzione di suscitare solo una spiritualità nella Chiesa, ma anche un’Opera a cui fu poi dato il nome di Movimento dei focolari o Opera di Maria. Ora, per avere un’Opera, occorre senz’altro un’anima (la spiritualità comunitaria appunto), ma è altrettanto necessario un ordinamento, una struttura. Ed il Signore ha pensato pure a questo. Era – a quanto ricordo – il 1954.Ormai la nostra spiritualità risultava pressoché completa. Ed una cosa ci era chiara: noi dovevamo essere un altro Gesù. Già nel 1946 si scriveva, infatti, in un appunto: "L’anima deve mirare ad esser al più presto un altro Gesù... Far da Gesù sulla terra. Prestare a Dio la nostra umanità affinché la usi per farvi rivivere il Figlio suo diletto".1 Ma come si poteva realizzare ciò? Il battesimo e i sacramenti ci avevano fatti tali. Occorreva però la nostra corrispondenza che poteva riassumersi in una parola: amare. Nell’amore si riassume la legge cristiana. Se si ama, si è altri Gesù. E si è Gesù in tutto quanto si fa. La nostra vita, dunque, doveva essere amore. Se avessimo voluto definirci nel nostro dover essere, avremmo dovuto dire: "Noi siamo l’amore", proprio come Dio è Amore. E se l’amore era la nostra vita, l’amore doveva essere la nostra regola.

 

Come l’arcobaleno

Ed ecco un’idea, forse un’illuminazione. L’amore è luce, è come un raggio di luce, che, quando attraversa una goccia d’acqua, si spiega in arcobaleno, dove si possono ammirare i suoi sette colori. Tutti colori di luce, che a loro volta si spiegano in infinite gradazioni. E come l’arcobaleno è rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto, l’amore, la vita di Gesù in noi, avrebbe avuto diversi colori, si sarebbe espressa in vari modi, diversi l’uno dall’altro. L’amore, ad esempio, porta alla comunione, è comunione. Gesù in noi, perché Amore, avrebbe operato la comunione. L’amore non è chiuso su se stesso, ma è di per sé diffusivo. Gesù in noi, l’Amore, sarebbe stato irradiazione d’amore. L’amore eleva l’anima. Gesù in noi avrebbe innalzato la nostra anima a Dio. Ecco l’unione con Dio, ecco la preghiera. L’amore risana. Gesù, l’amore nel cuore, sarebbe stato la salute della nostra anima. L’amore raccoglie più persone in assemblea. Gesù in noi, perché Amore, avrebbe riunito i cuori. L’amore è fonte di sapienza. Gesù in noi, l’Amore, ci avrebbe illuminato. L’amore compone in uno i molti, è unità. Gesù in noi ci avrebbe fusi in uno. Sono queste le sette principali espressioni dell’amore che avremmo dovuto vivere. Esse stanno ad indicarne un numero infinito. Ebbene: queste sette espressioni dell’amore ci sono apparse subito la norma della nostra vita personale ed avrebbero costituito anche la regola della nostra Opera nel suo insieme e, più tardi, delle sue varie diramazioni. Ed essendo l’amore principio di ogni espressione, di ogni aspetto, essendo sempre Gesù che vive in noi in ogni manifestazione della nostra vita, essa avrebbe avuto una meravigliosa unità. Tutto sarebbe sgorgato dall’amore, tutto avrebbe avuto radice nell’amore, tutto sarebbe stato espressione della vita di Gesù in noi. E ciò avrebbe reso l’esistenza dell’uomo attraente, affascinante. Non certo poco interessante e piatta, perché fatta di pezzi giustapposti e slegati fra loro (con il tempo per il pranzo che non ha nulla a che fare con quello della preghiera, il momento dell’apostolato relegato a quell’ora destinatagli, e così via).No: qui sarebbe sempre stato Gesù a pregare, a fare apostolato, a lavorare, a mangiare, ecc. Tutto sarebbe stato espressione sua. Lo Statuto dell’Opera ed i regolamenti delle sue varie diramazioni, hanno riportato queste varie espressioni dell’amore, della vita di Gesù in noi, come nostra regola e sono stati approvati così dalla Chiesa. Quest’anno vorremmo cominciare a riesaminare gli aspetti della nostra vita – i suoi sette colori, se così si può dire – per vedere, tra il resto, se anch’essi portano in sé quel di più che abbiamo notato nei punti della nostra spiritualità, se sono espressione cioè di una vita comunitaria. Consideriamo i primi due.

 

Il primo aspetto

Il primo: l’amore porta alla comunione, è comunione. I nostri Statuti, giacché riguardano l’intera Opera con tutte le sue vocazioni, religiose e laiche, inglobano sotto il primo aspetto la comunione dei beni, il concetto che nell’Opera si ha dell’economia, del lavoro, e quindi quello della povertà.

 

La comunione dei beni

Nel Movimento si vive la comunione dei beni. Sappiamo, certamente, che altri nella Chiesa hanno realizzato e realizzano questa comunione, ma in genere erano e sono persone scelte, con una chiamata particolare, come religiosi nei monasteri o nei conventi. Qui è la società che la realizza, qui sono anche i laici, come lo erano i primi cristiani. E per attuarla ci si specchia nella comunione dei santi e si vive sul modello della Trinità, dove vale l’Omnia mea tua sunt, tutto il mio è tuo. Nell’Opera c’è chi, ad esempio, fa una completa comunione dei beni. Sono i focolarini e le focolarine vergini, che portano in focolare il loro intero stipendio e consegnano tutto il loro eventuale capitale e beni immobili, con testamento, a favore dei poveri, soprattutto attraverso le attività formative, apostoliche e caritative del Movimento. Poi c’è chi dona il proprio soprappiù. Dice san Girolamo: "Di tutto ciò che, nel vestire o nel mangiare, supera il necessario, tu sei debitore", e aggiunge Paolo: "Qui non si tratta (...) di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza" (2 Cor 8,13).La comunione dei beni si è sempre attuata fin da quando il Movimento era ancora nascente. Ricordo che è iniziata in seguito ad una mia lettera, su questo argomento, fatta leggere a tutta la comunità, che riportava l’esempio dei primi cristiani. La risposta era stata immediata e concreta. Si metteva in comune quanto si poteva mese per mese: disponibilità e necessità, registrando ogni cosa. Così si continuò a fare nel Movimento nel suo insieme. Poi, quand’esso si distinse in sezioni, branche e Movimenti a largo raggio, ogni diramazione la praticò in se stessa. E così è tuttora. Il di più di questo aspetto è presente nel modo di usare i beni e il denaro nell’Opera: in genere non dona il proprio o il soprappiù ognuno singolarmente, ma lo si determina insieme e lo si mette in comune cominciando dai bisognosi della propria branca.

 

Il lavoro

Premetto che la prima risorsa per vivere in quest’Opera non è il lavoro, ma è la Provvidenza di Dio che interviene. Essa è sempre abbondante e copre anche metà delle necessità dell’Opera. Nel Movimento è costante esperienza che se si cerca il regno di Dio e la sua giustizia, il resto viene in soprappiù (cf Mt 6,33). La seconda risorsa è il lavoro. Nel Movimento si mette il lavoro al giusto posto, gli si dà molta importanza. Ha rilievo anche perché la maggior parte dei membri dell’Opera sono lavoratori, come lo erano Gesù, Giuseppe e Maria nella casetta di Nazareth. Giacché si ama e si è così altri Gesù, il lavoro è considerato dal Movimento come Lui lo pensa:– Possibilità anzitutto di fare con esso la volontà di Dio, di essere quindi sempre rivolti al Padre. – Lo si vede come una grande chance per realizzarsi.– Dà la possibilità di agire come concreatori. – Lo si scopre, inoltre, come possibilità di servire Gesù nella comunità. – Ed infine permette che si possa dividere il guadagno, che il lavoro porta, con chi non ne ha. Il lavoro così considerato dà un alto senso alla vita ed è continuo motivo di gioia, perché il dare porta gioia. Alcuni Ordini religiosi, come sappiamo, sottolineano il lavoro. San Benedetto, per esempio, con il suo motto "Ora et labora". E quale pare a noi la differenza? Per altre Famiglie religiose il lavoro non sempre ha tutti i significati sopraelencati. Può sembrare a volte un correttivo dell’orare, del pregare, o, semplicemente, una necessità per poter vivere. Gesù però nella sua vita privata non ha fatto tanto il consacrato a Dio, che si ritira in un convento. Gesù ha fatto il lavoratore. Nel Movimento si ha, quindi, un concetto del lavoro simile, se non uguale, a quello che aveva Gesù. Si sa che nel lavoro si può essere apprendisti o lavoratori esperti; per esso ci si può dunque specializzare; si devono conoscere varie leggi del lavoro. C’è della fatica nel lavorare. C’è la puntualità da osservare. C’è il guadagno, la rendita da amministrare... Tutto ciò e più deve curare il membro del Movimento per essere un vero lavoratore. Amore al lavoro, dunque.

 

Il distacco

Bisogna però contemporaneamente essere anche distaccati dal proprio lavoro, perché Cristo domanda il distacco pure dai campi. Ma qui si attua una promessa di Gesù: se si lascia padre, madre, moglie, figli e campi... si riceve il centuplo in questa vita e la vita eterna (cf Mt 19,29).E giacché nel Movimento si vive così, ci si trova di fronte a un centuplo, a un capitale che non può mancare. Questo capitale, effetto della Provvidenza di Dio per aver posposto e lasciato tutto per Lui, è stato da noi chiamato capitale di Dio. Di fronte ad esso abbiamo compreso che erano necessari tre atteggiamenti: ravvivare lo spirito della povertà; non vivere certamente di rendita; decidere che l’Opera non possa possedere altro se non i beni di uso diretto.

La povertà. Strettamente legata all’aspetto della comunione dei beni, dell’economia e del lavoro è la povertà, che tutti cercano di vivere e di cui i membri consacrati fanno voto o promessa. I regolamenti delle varie diramazioni specificano i vari modi di attuare la povertà, che va vissuta ad immagine di Gesù povero, che chiama un’amministrazione di beni sempre trasparente e altre norme. La povertà nel Movimento non è fine a se stessa, ma è effetto della carità. Perché si ama, si dà e si rimane poveri, solo con ciò che occorre. Ma per i membri dell’Opera la povertà è anche puntello alla carità; aiuta la carità.

 

L’economia di comunione

In questo campo, ultima nata è l’economia di comunione che, con i suoi utili, deve integrare la comunione dei beni. Essendo di recente fondazione, essa è, in genere, conosciuta nei suoi canoni e nei suoi effetti. Abbiamo trovato nei Dialoghi della Divina Provvidenza di Caterina da Siena, che Dio le dice a proposito di ecclesiastici poco osservanti in questo campo: "(...) delle cose temporali io ti dissi che se ne deve fare tre parti: l’una per le loro necessità (ciò che per noi ricorda gli utili per l’azienda); l’altra per i poverelli; la terza per utilità della Chiesa (ciò che richiama le strutture per un’opera che è Chiesa)"2. È forse una conferma.

 

 

Il secondo aspetto: l’irradiazione

L’irradiazione più comunemente si dice apostolato. L’argomento è vastissimo. Ci limiteremo a cogliere qua e là negli scritti dei primi anni delle indicazioni. Ma, già leggendone qualche pagina, si capisce che quello che disse Giovanni Paolo II per la spiritualità, vale anche per l’apostolato: "La prima scintilla ispiratrice è stata l’amore"3. Sì, è stato l’amore, una scintilla che si è accesa, ha diffuso luce attorno ed è esplosa in incendio. L’amore irradia, l’amore stesso dà testimonianza. So che si afferma: "L’amore è l’anima dell’apostolato". Ma non è solo così: l’amore è il primo apostolato, l’amore al prossimo come espressione dell’amore di Dio. Ogni membro dell’Opera non è chiamato solo ad evangelizzare sulla linea dell’"andate e predicate a tutte le genti...". Anche quando la parola entra in azione, non deve esser solo un’esposizione della fede cattolica. Essa ha da essere sorretta dalla testimonianza (dall’amore), e corredata dall’esperienza. Così è stato dei primi cristiani, così è ora.

 

Amore, non proselitismo

Da una lettera del 1948 si capiscono due cose: come l’amore è il motore dell’apostolato e come l’apostolato è costitutivo della vita cristiana. In una lettera a delle giovani è scritto:"(...) tutta (la città) cada nella fornace dell’Amore del Cuore di Gesù. Sorelle mie, Gesù gode al sapere che altre sorelle si sono unite a voi, ma nello stesso tempo piange perché voi avete fatto poche conquiste al Suo Cuore. Perdonate se vi dico questo! Dovrei prima di tutto rimproverare me, ma lasciate che vi dica il mio pensiero! Non ditemi che i (vostri concittadini) sono duri, ecc., ecc. Non è vero: tutto vince l’amore! È l’amore che manca nel nostro cuore! E noi troppo spesso crediamo che amare Dio significhi (soltanto) frequentare ambienti religiosi, pregare a lungo, fare ore di adorazione. Non è solo questa la religione...!È (anche)cercare la pecorella smarrita, è farsi tutto a tutti! È amare praticamente, dolcemente, fortemente, tutte le persone che ci stanno accanto come se stessi e desiderare per esse ciò che si desidera per noi. (...)Di queste anime il Signore ha urgente bisogno: di anime di fuoco...E quante poche ne trova...Amiamo... Allarghiamo la cerchia dell’unità al maggior numero di anime possibile. Questo è amor di Dio!"4. Nel 1954, dopo essersi per alcun tempo concentrati nello stendere la struttura essenziale dell’Opera e quindi fuori un po’ dall’apostolato, ecco cosa ci si scriveva:"(...) si sta avvicinando l’ora in cui dobbiamo rilanciare nel mondo il nostro Ideale (...) come un incendio. Perché ciò sia, è necessario però ripristinare nel nostro animo quella vita così fruttuosa, che avevamo i primi tempi, quando conquistavamo a Dio moltissime persone, solo perché desideravamo esprimere al Signore il nostro amore. Questo disinteresse era la calamita che attirava molti, per cui attorno a noi si formava la comunità. Ricordate?"5. Nel 1956 la nostra corrispondenza era già diretta ad altre nazioni dove iniziava il Movimento. Qui si scrive in Francia: "Carissime francesi, le vostre letterine mi hanno portato la vostra gioia per la giornata tenuta a Grenoble. (I nostri) sono tornati pieni di gaudio (...). Mi dissero che sembrava loro di rivivere i primi tempi dell’Ideale (dieci, tredici anni fa) quando le prime focolarine vivevano in Piazza Cappuccini. Questa cosa mi ha fatto immensamente contenta, perché ho pensato così: se dieci anni fa non c’era quasi nulla ancora in Italia, ma solo un gran fuoco a Trento, ed ora l’Italia è (qua e là) seminata da (questo) Ideale (...), fra qualche anno (sarà così) in (...) Francia (...).Io sono certa, perché non siete voi la forza del nostro Movimento ma Gesù fra voi ed Egli compie cose grandi. Certo però che Gesù si serve di voi. E perciò vi scongiuro, col cuore in mano, di amarLo alla pazzia! (...)La Francia deve cadere nella rete di Gesù. Dio lo vuole: venga il Suo Regno, venga, venga! Voi siete piccole, povere, piene di difficoltà: ma appunto per questo Dio opererà. Così ha fatto con noi, così farà con voi"6.

 

Amore radicato nel dolore

Per meglio diffondere il nostro Ideale, poi, si faceva moltissimo calcolo del dolore. "Carissima, sono stata tanto contenta della tua lettera: vi ho sentito l’anima di colei che Gesù ha chiamato a seguirlo nel suo abbandono. Approfitta della solitudine in cui ti ha lasciata per trovarti sola con Lui solo: ma poi esci subito ad adempiere il suo volere, che è di portare un incendio nel mondo (...).Se sei sulla croce, attirerai tutti a te... a Gesù. (...)"7. Si raccomandava poi (a riprova che, se la nostra è una spiritualità collettiva, è anche personale) preghiera e mortificazione per riuscire allo scopo. "Carissime responsabili di zona, il Centro ha deciso che voi personalmente visitiate, portando in ogni anima l’incendio dell’amor di Dio, tutta la zona (...).Mentre svolgete quest’opera, siate ardentissime nella preghiera e nell’unione con Dio, affinché questo compito così delicato possa esser fatto in profondità con ottimi risultati e le persone possano rendere il massimo per la Gloria di Dio. Tenetevi lontane e mortificate dal mondo che vi circonda. Mai tanto bene conosceremo quello che succede, e si deve sapere, come quando saremo unite a Dio solo e perdute completamente nel nostro Ideale"8. Il fuoco che Gesù ha portato è l’amore e l’amore conquista. È del 1955 questo brano: "Fuoco sono venuto a portare...". Ma perché fuoco? Perché Lui è fuoco; perché Cristo è Dio e Dio è amore!(Ma) il fuoco c’è quando consuma qualcosa, quando conquista. Un amore che non conquista si spegne! Quindi non può lusingarsi una persona di aver Cristo in sé, se questo fuoco non brucia, se questo fuoco non conquista"9.

 

Apostolato fatto in unità

Il tipico apostolato del Movimento poi sta soprattutto nello svolgerlo in unità: "Che siano uno, affinché il mondo creda"...Ed è in questa necessaria ed obbligatoria unità, per chi segue questa spiritualità, che sta il di più della nostra irradiazione o, se così si vuole, del nostro apostolato. Di più, perché ciò non è generalmente richiesto a chi vuol essere un apostolo. Troviamo scritto: "Immedesimarsi con Gesù, essere altro Gesù... E ciò per tutti quelli che ci stanno accanto, senza accettazione di persona. (...) E poi, non appena il nostro spirito ha fatto breccia in un’anima, legarla a sé perché Gesù sia vivo fra noi, e in Lui trovare la forza per conquistare altre anime al perfetto amore di Dio"10.C’è un episodio che è rimasto impresso nel fondo del nostro cuore. In esso è il segreto della nostra irradiazione, il punto da cui occorre partire. Così è riportato in un discorso del 1962: "(...) andavo per le strade di Einsiedeln, e vedevo passare tante persone di vari Ordini religiosi. Erano così belli quei diversi vestiti di suore, di padri, sullo sfondo di una natura splendida. E ho capito lì che veramente i fondatori hanno avuto un’ispirazione per vestire i loro successori in quella data maniera. (Fra gli altri) mi facevano un’impressione particolare le piccole sorelle di Foucauld. Passavano in bicicletta, avevano una faccetta vivissima con quei fazzoletti da lavandaie; il viso vivo ricordava alla mia anima quella frase che riguardava il fondatore Foucauld, il quale – così si disse – ha gridato il Vangelo con tutta la sua vita. Infatti quelle suore sembrava dicessero: "Beati i poveri di spirito, beati quelli che piangono, beati...".Non erano le beatitudini che il mondo vorrebbe, era lo scandalo del Vangelo. Mi è venuto dentro, allora, un grande desiderio di dare anch’io, anche esternamente, la mia testimonianza.(Ma) (...) non mi veniva la risposta. A un dato punto mi incontro con una mia compagna – la Natalia – e le dico: "Sai (...), ho visto che quelle suore fanno apostolato su di me e non a parole, ma con la loro divisa..., e desideravo che anche noi lo potessimo fare; ma da che cosa possono conoscere Dio da noi? Ah – faccio io – ‘da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri’. L’amore reciproco era dunque la nostra divisa. Il morire nella carità reciproca per noi è il nostro (tipico) apostolato"11. Se poi facciamo uso anche della parola e "guai a noi se non evangelizziamo" (anche così), se poi con gli anni abbiamo sentito l’urgenza e la vocazione, vorrei dire, di predicarla persino dai tetti, se facciamo discorsi, se li moltiplichiamo per il bene di molti, così come permettono i moderni mezzi di comunicazione, tutto ciò deve venire dopo.

 

Anche le strutture evangelizzano

E non solo le persone pur unite hanno il dovere di irradiare, ma anche le strutture, cominciando dal focolare. Da questa irradiazione poi esso stesso acquista nuova vita. In uno scritto degli anni ‘50 si trova: "Il focolare è formato di persone che si uniscono a far vita comune unicamente per realizzare fra loro e attorno a loro il Testamento di Gesù: "Padre, che tutti siano uno". Nella loro reciproca carità (...) esse si tramutano in Gesù, in amore, ed il focolare diviene veramente Fuoco: tutto Fuoco. Cosicché se un fratello passa per il focolare (...) e non è dal focolare bruciato fino al punto da farlo partire luminoso e acceso ed in pace come i focolarini, vuol dire che quel focolare è spento.(E) un focolare spento fa male, non è che non faccia nulla. Mentre un focolare acceso fa il proprio dovere: il bene"12. Il focolare è, dunque, un mezzo potente di apostolato. E questo vale oggi per ogni nostra forma comunitaria: dai nuclei dei volontari alle unità gen, dai centri alle cittadelle, dai presbitèri ai conventi, alle cellule d’ambiente, ecc. E nel 1956 era in corso un’altra struttura seppur temporanea: una delle Mariapoli sulle Dolomiti: un gioiello, un divino brillante, un mezzo celeste d’irradiazione. Ma anche un luogo per ritemprarsi spiritualmente, per poter continuare poi ad irradiare. Si legge in uno scritto del tempo, in cui già si prevede la Mariapoli permanente:"(...) Della ‘Mariapoli’ hanno parlato molti e hanno parlato bene. Era logico: la Città di Maria (...) non poteva non esercitare un fascino particolare, con effetti alle volte straordinari. Santa Caterina dice (però) che una cosa la si conosce bene conoscendola nella sua realtà, ma meglio ancora conoscendo di essa il contrario"13. Ecco cosa scrivevo: "Quando partì il "grosso" dei cittadini mariapoliti (...) lassù tutto sembrava finito. Ancora quel cielo azzurro, quei prati verdi, quelle Pale di S. Martino maestose, quelle case, quelle vie, quella chiesa: tutto bello ancora, sì, ma mancava Maria, mancava la Sua Città, la Sua famiglia, fatta di figli d’ogni genere (...), di persone tanto unite a Dio, in una vita innocente, o appena tornati sotto lo sguardo della Mamma, da lungo attesi e felici ormai come tutti. Vi assicuro che ho cercato di non guardarmi mai indietro nella vita, da quando conosco il nostro Ideale, ma quelle strade vuote, quella vallata piena di sole, che aveva (però) l’apparenza d’un cadavere, mi faceva (ripensare) quel sogno dolce di due mesi d’incanto mariano e forse non guardavo indietro, ma guardavo in su, e inconsciamente pregavo Maria di perpetuare quaggiù questa Sua città. Certo dobbiamo fare di ogni città una Mariapoli, ma (può essere che il Signore voglia) che in un posto si glorifichi perpetuamente Maria con la vita sempre accesa, un posto ove ci si può rifugiare per ritemprarsi, come il soldato torna a casa dalla caserma, un anticipo di Cielo quaggiù mentre siamo Chiesa militante, dove si riprenda forza per tornare a lottare affinché avanzi il Regno di Dio e della Sua Chiesa nel mondo: una Mariapoli permanente. Che la Madonna ci faccia questo dono"14. Un anticipo di Cielo... Forse è così: la Mariapoli permanente di Loppiano è stata definita: un video-clip del Paradiso. Ed ora di questi video-clips del Paradiso Maria ne ha costruiti e ne sta costruendo una ventina. Ecco alcuni spunti dei primi due aspetti che restano e resteranno fondamentali.

Chiara Lubich

 

  1. C. LUBICH, Scritto, L’Unità, 2 dicembre 1946.
  2. S.CATERINA DA SIENA, Dialoghi della Divina Provvidenza, Ed. Cantagalli, Siena 1980, p. 251.
  3. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2, 1984, p. 223-225.
  4. C. LUBICH, Lettera, Trento, 4 novembre 1948.
  5. ID., Lettera, Roma, 3 novembre 1954.
  6. ID., Lettera, Roma, 13 dicembre 1956.
  7. ID., Lettera, Roma, 22 aprile 1955.
  8. ID., Lettera, Roma, 16 giugno 1955
  9. ID., Discorso, I sette colori, Vigo di Fassa, 19 agosto 1955.
  10. ID., Lettera, Ostia, 18 aprile 1950.
  11. ID., Discorso alle focolarine, I primi due aspetti, Grottaferrata, 25 dicembre 1962.
  12. ID., Scritto, Il focolare.
  13. ID., Lettera, 22 settembre 1956.
  14. Ibid.

 

 

La provvidenza Il mistero della provvidenza materiale nella vita cristiana è sempre stato tra i più insondabili. Esso manifesta la paternità di Dio, come c’è stata rivelata da Gesù. Tutti siamo afflitti dalle preoccupazioni materiali: i padri e le madri di famiglia per poter arrivare alla fine del mese, i dirigenti di organizzazioni civili e religiose per contenere le spese nell’ambito dei preventivi, e così via. E non di rado si scatenano sconvolgimenti e mutamenti tra le nazioni per trovare nuovi assetti economici. In genere, nel piano delle cose economiche, quello che si tiene presente è la "fredda legge" della competizione. L’economia - si dice - è come la fisica o la matematica: ha i suoi cicli determinati, ha le sue previsioni e i suoi ineluttabili dissesti e le sue crisi. Poco si può cambiare, viene insegnato in tanti libri di economia. Mai, in un libro, troviamo invece la vera legge proclamata da Gesù, che dovrebbe regolare gli eventi economici: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù" (Mt 6, 33). In questa legge scopriamo il mistero del congiungimento del divino e dell’umano. Le leggi economiche hanno un loro valore, ma se non si tiene conto che esiste la divina provvidenza, che regola anche i fatti economici, non si riuscirà mai a capire il perché di tanti grandiosi avvenimenti. Oltre la terra esiste il cielo, e il cielo ha promesso di intervenire ad aiutare noi, piccoli esseri della terra, se cercheremo di guardare ad esso. Questa non è una favola: è l’esperienza quotidiana di tante famiglie cristiane, è l’esperienza della chiesa, dei fondatori degli Ordini, degli apostoli della carità materiale e dei carismatici di ogni tipo. Dio interviene nei fatti umani ogniqualvolta noi lo desideriamo, adeguando la nostra vita al vangelo. È un’esperienza che tutti possiamo fare.

Pasquale Foresi