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L’uomo del dialogo

Voglio erigere una piccola stele a ricordo di un uomo silenzioso che ha terminato il cammino da pochi mesi, alla soglia degli ottant’anni.

Anzi, non sono io ad erigerla, perché l’hanno già eretta. Sono stati i suoi compagni di viaggio che ne hanno tracciato un ritratto sorprendente durante il rito funebre, concreto, autentico, rifinito: una parrocchiana cattolica e un sindaco, ora emerito, di "ideale filosofico" diverso.

Era nato nella Lorena, vicino alla frontiera tedesca. Entrato in seminario, fu uno dei seminaristi che durante la guerra del ’39-’45 vennero costretti a prendere la divisa dell’esercito tedesco e a combattere sul fronte russo. Al termine di questa esperienza disse: "Di ritorno dalla guerra, dove ogni giorno avevo rischiato la morte, ogni giorno di vita lo considero un puro dono di Dio".

Già prete, negli anni ’50 partecipa ad una Mariapoli in Belgio dove "ho incontrato delle persone – racconta – che il vangelo lo vivevano, mentre io lo predicavo soltanto". Come parroco non farà altro che essere fermento di unità, presenza di Gesù nel mondo industriale di Konaker, "città operaia spuntata dalla terra come un fungo".

Residui di disturbi contratti durante la guerra lo portano a poco a poco alla quasi cecità, tanto da costringerlo a sospendere il lavoro pastorale. Ne approfitta per partecipare alla scuola sacerdotale del Movimento dei focolari a Grottaferrata dove, stranamente, la vista migliora, così che il vescovo gli affida un’altra parrocchia, rurale questa volta.

"Sì, lei era fermento di unità – testimonierà con calore l’intelligente parrocchiana, Christiane Charpentier – perché ci ha trasformati da ‘categorie’ di persone in persone intere, e tutto il suo lavoro è consistito nel fare incontrare uomini e donne di buona volontà per costruire una città nuova, dove la dignità della persona e la libertà di ciascuno venivano rispettate.

"Abbiamo vissuto un’esperienza eccezionale; abbiamo formato una comunità con un senso di solidarietà, con relazioni umane qualificate, belle e sincere.

"Lei ha vinto la sfida di far vivere insieme operai e ingegneri, medico e farmacista, commercianti e contadini, bambini e giovani e adulti e anziani in un reciproco rispetto. Il Vaticano II l’ha colmato di gioia e di speranza: la persona prima di tutto.

"Assisi, quanto al rispetto reciproco tra le grandi religioni, noi l’abbiamo preceduta: musulmani, ebrei, cristiani non cattolici, ortodossi… ebbene, si era fatto qualcosa di concreto con quei pastori e pope dell’epoca.

"L’Europa da noi era già in cantiere: tedeschi, italiani, spagnoli, portoghesi, lussemburghesi e francesi, noi l’Europa la vivevamo ogni giorno sui posti di lavoro, a scuola, ovunque.

"Tra i Movimenti ecclesiali lei ha instillato il rispetto reciproco: Azione cattolica, J.O.C., Figlie di Maria, Scouts e Focolari non avevano che una parola d’ordine: "Amatevi gli uni gli altri per il bene di tutti e per la maggior gloria di Dio".

"Lei ci ha formati e ci ha trasmesso un’eredità bella ed esigente: essere, tra i nostri fratelli, segno dell’Amore di Dio per ognuno.

"Se ne è andato la domenica 12 luglio, giorno in cui il vangelo parlava del Buon Samaritano, di colui che si fa prossimo delle difficoltà umane, proprio quello che lei è stato, giorno dopo giorno."

Un altro dialogo non nominato prima è stato quello stabilito col sindaco del paese che dice con commozione:

"Lui era l’apostolo d’una fede inalterabile alla quale non poteva rispondere l’ideale filosofico che avevo io. Ma queste due vie parallele erano così vicine che potevamo camminare verso il medesimo orizzonte tenendoci per mano.

"Per ventisette anni abbiamo condiviso i nostri doveri, le nostre responsabilità. Eravamo, ciascuno a nostro modo, uomini di buona volontà. Ciò che avevamo in comune, ciò per cui ci sforzavamo di lavorare, era il bene delle persone; il percorso e l’orizzonte nostro era identico. Per questo abbiamo anche condiviso gli incontri che aveva con gli amici focolarini nelle Mariapoli, (…) dove riprendeva forza, gioia e vita.

"Ma la sua missione era più importante della mia, poiché toccava il bene delle anime e la loro maturazione attraverso un progresso continuo verso una certa perfezione a cui credeva profondamente.

"Il nostro lavoro comune era fatto di riflessione, di proposte discrete da parte sua. Quante miserie nascoste, nella gente, dietro una dignità piena di pudore! Quando lui sapeva che io, sindaco, potevo medicare una piaga che egli stesso non era in grado di guarire, me lo faceva sapere. Era una meravigliosa complicità che non potrò mai dimenticare (…).

"È stato malato per lungo tempo, ma ne parlava con serena tranquillità. Era una testimonianza della sua fede, fermo nella certezza che il suo Cristo non avrebbe potuto né ingannarsi né ingannarlo, perché era lui stesso la risurrezione e la vita." (Dietrich Raymond, sindaco emerito di Gosselming).

Si chiamava Paul Beckmann. Per il suo ministero aveva preso Maria come modello. È stata Lei a farne "l’uomo del dialogo" a trecentosessanta gradi.

Silvano Cola