Riposare, quando è il momento, ha lo stesso valore, la stessa sacralità del pregare

 

Mi sento stanco, anzi sfinito...

Questo sacerdote italiano della diocesi di Mondovì (Cuneo) è da più di vent’anni in Brasile e lavora a Miguel Roxo, una delle località socialmente più a rischio nell’hinterland di Rio de Janeiro, nella famigerata "Baixada Fluminense". Per andare incontro soprattutto ai ragazzi di strada, abbandonati a se stessi e spesso vittime degli "squadroni della morte", ha messo su la "Casa dos meninos da rua". Un lavoro estenuante che può far crollare la salute di chiunque.

Come fa un prete ad assentarsi?

È difficile sopravvivere in mezzo a problemi, conflitti e tensioni in questa dura realtà della "Baixada Fluminense". Il corpo perde colpi e la testa non riesce più a funzionare. Il medico mi ordina almeno un mese di riposo assoluto. Da solo non riesco a prendere questa decisione. Ho accettato di predicare il ritiro ai sacerdoti della diocesi di Itaguai, tra poco devo riprendere a dar lezioni in seminario, non posso lasciar solo Giovanni nel lavoro della parrocchia di san Giuda Taddeo e poi qui in casa stiamo attraversando una fase delicata e difficile. Come si fa ad assentarsi per un mese?

I miei collaboratori si rendono conto della mia situazione e la comunicano per telefonano ai miei amici sacerdoti, Francesco e Giovanni. Questi non perdono tempo. Me li vedo arrivare la sera stessa e mi aiutano a decidere di partire la mattina seguente per un mese di riposo secondo le indicazioni del medico, mettendo da parte i miei impegni. Ci penseranno loro a sistemare ogni cosa.

Cerco di resistere, ma inutilmente. "Tu adesso devi riposare e basta!", mi dicono con decisione. La Parola di vita che cerchiamo di porre in pratica in questo periodo è: "Beata tu che hai creduto…". Anch’io devo credere a Gesù che mi parla attraverso i fratelli, devo credere al loro amore e mi arrendo a quello che Dio vuole da me.

Intanto qualcuno ha già preparato la mia valigia e mi conduce all’aeroporto con destinazione a San Paolo, dove mi attende Andrea che mi porta alla casa dei sacerdoti nella Mariapoli Araceli, una delle cittadelle del Movimento dei focolari. Qui respiro subito il clima di famiglia.

Anche Andrea ha bisogno di riposo e il suo collega Antonio insieme al seminarista Michele assolveranno ai suoi impegni in parrocchia e noi due partiamo per Lindoya, una cittadina all’interno dello Stato di San Paolo, dove un vescovo amico ha messo a nostra disposizione una casetta. Ottimo clima, buona cucina e l’amore di tante persone.

Dopo qualche giorno Antonio ci telefona per assicurarsi che stiamo veramente bene e ci ricorda che per noi in questo mese "passeggiare, alimentarci, dormire senza orari è la stessa cosa che celebrare l’eucarestia". Ora lo capisco: Gesù è sempre lui sia quando dorme che quando predica, quando mangia e quando opera miracoli. Ma è necessario che te lo dica qualcun altro!

Gesù in mezzo è la salute

Cerchiamo di vivere bene, direi che facciamo con solennità anche le piccole cose, e mi accorgo che la presenza di Gesù tra noi non è una pura dottrina teologica, ma una realtà. Nella presenza sua che ci avvolge, si riposa veramente. È la prima volta in vita mia che faccio le vacanze così. La comunione tra noi è così profonda da poterci comunicare gioie e dolori e vedere tutto nella luce.

Andrea mi aiuta molto con la sua gioia semplice ed esplosiva. Facciamo insieme la meditazione, la preghiera del breviario e del rosario; concelebriamo l’eucarestia. Quando passeggiamo egli ha un passo un po’ più svelto, ma si accorge che non riesco a seguirlo e allora rallenta e prende il mio ritmo. Egli prepara la colazione e la cena, io faccio le compere e lavo i piatti. Il pranzo invece lo troviamo già pronto.

La parrocchia è senza parroco, ma c’è una piccola comunità di suore che la porta avanti. Noi concelebriamo ogni giorno e c’è sempre un bel gruppetto di persone. Non facciamo l’omelia, ma raccontiamo brevemente come cerchiamo di vivere il Vangelo in questi giorni. Ci ascoltano con interesse e poi commentano: "Ma voi siete preti sereni, liberi e spargete intorno tanta gioia!". In chiesa il giorno precedente la nostra partenza, una suora ha commentato con la gente: "Abbiamo vissuto una vera settimana santa!".

Torniamo all’Araceli ed io penso di ripartire subito per Rio de Janeiro, ma i miei amici si rendono conto che una settimana anche se bellissima non è un mese come prescritto dal medico. Se tornassi a casa, mi immergerei nei problemi e in pochi giorni brucerei la vitalità riacquistata. Antonio mi invita a continuare il mio riposo. Credo di nuovo all’amore del fratello. Egli ha proprio ragione, perché ogni tanto la mia testa non regge e corro il rischio di perdere l’equilibrio e non poter più lavorare.

Guardando a Gesù sulla croce nel suo abbandono comincio a sperimentare il valore del "non fare", del dolore offerto per amore. Vengo a sapere che un seminarista, Cesare, della Fazenda da Esperança ha avuto un incidente ed è in pericolo di vita. Offro a Gesù la mia vita per lui: egli è giovane e deve vivere. Dopo qualche giorno è fuori pericolo.

Buone notizie invece mi arrivano da Rio. Ad Itaguai il ritiro lo hanno fatto senza predicatore: i sacerdoti hanno scelto su cosa meditare e chi doveva proporre ogni meditazione. È cresciuta tra loro la corresponsabilità e soprattutto la comunione fraterna e Gesù ha parlato come faceva con i dodici. Anche Giovanni mi comunica che in parrocchia va tutto bene: i laici hanno preso in mano tante cose che prima pesavano sui sacerdoti. Buone notizie persino dalla Casa dei ragazzi. I responsabili che ho lasciato sentono l’opera come propria e da quello che mi dicono ho l’impressione che sono più maturi. Due di loro sono andati ad un ritiro nella Fazenda da Esperança e hanno sentito la chiamata di Dio per iniziare una vita di totale donazione. Ora sono convinti che solo "Gesù in mezzo alla comunità" può aiutare i nostri ragazzi a liberarsi dai traumi del passato per cominciare una vita nuova.

Sento in cuore una immensa gratitudine verso Dio per quello che egli sta operando e sento anche un po’ di vergogna perché nel passato tante volte mi sono mosso come se fossi io a dover risolvere da solo ogni cosa.

Il mese è passato, la salute sembra rifiorita, ma anche la mia vita è cambiata. Solo adesso mi rendo conto in quale buco nero mi stavo cacciando e certamente senza l’aiuto dei fratelli non ne sarei mai venuto fuori. Ora non posso più vivere come prima. Quel che sento anche gli altri me lo confermano. Da adesso il mio compito non sarà più quello di fare tante cose, di essere presente ovunque, ma di vivere innanzitutto la piena comunione con Dio e con i miei fratelli sacerdoti e laici e cercare di agire sempre d’accordo con loro. Nella casa dei ragazzi mi dedicherò soprattutto alla formazione dei responsabili per creare insieme a loro quel clima di famiglia, di cui non solo i ragazzi di strada ma ogni essere umano ha bisogno per la salute a tutti i livelli.

Renato Chiera