Una concezione nuova della corporalità, che non altera affatto la visione della realtà fisica e biologica ma, al contrario, la illumina e la valorizza

L’amore risana

Meditando questo scritto ci pare di poter dire che la visione cristiana della vita in tutti i suoi aspetti ritorna alle sue origini bibliche più autentiche perché, ponendo al centro l’amore, la libera dall’influsso esercitato sul cristianesimo dalla cultura greca che, per valorizzare lo spirito, spesso portava a trascurare il corpo. Qui tutto l’essere umano, anche la sua componente corporale, è opera prima del Creatore e lo svolgersi delle varie fasi dell’esistenza, anche quelle più dolorose, è un camminare verso la pienezza della vita.

Lanno scorso abbiamo preso in considerazione la nostra vita spirituale, e in particolare quella riguardante ciascuno di noi come persona. E, sapendo che ogni aspetto del nostro vivere, conforme il carisma che ci è stato dato, è un’espressione della carità, dell’amore, che ci è infuso nei cuori dallo Spirito Santo, abbiamo dato a quel tema il titolo: "L’amore eleva".

Approfondendo in esso i vari momenti giornalieri, che portano il nostro cuore verso Dio (la preghiera, la meditazione, l’unione con Lui), abbiamo tentato di spiegare come noi possiamo, per essi, venire purificati, nutriti, elevati, perfezionati, santificati.

Quest’anno ci proponiamo di ripensare il quarto aspetto, ulteriore effetto dell’amore da noi vissuto: quello non tanto riguardante la vita della nostra anima, ma quella del nostro corpo. E il titolo del nuovo tema è: "L’amore risana".

Il quarto è un aspetto, quindi, attinente alla vita fisica, alla salute, a tutto il decorso della vita umana, che comprende anche le malattie e la morte, come pure la risurrezione; ed ha a che fare anche con il creato, di cui l’uomo è la sintesi.

E, poiché vocazione di tutta l’Opera è l’amore, tutti i momenti della vita umana, e oltre, sono vissuti da noi nell’amore e come amore.

Di ogni aspetto della nostra vita ideale sono raccolte nello Statuto generale, nei vari regolamenti e in diversi Vademecum – ora intitolati: "Come un arcobaleno" –, le principali idee, patrimonio che pensiamo donato dallo Spirito Santo al nostro Movimento, perché la sua vita sia conforme al piano di Dio. Per approfondirle occorre, quindi, coglierle lì.

Qui, in una breve conversazione, potrò solo dare il senso delle cose, così come sono viste e si cercano di vivere fra noi.

Mi avvalerò, come sempre, di spunti, idee, sottolineature, pensieri, illuminazioni avute nel tempo, sin dall’inizio.

Ma quale importanza, in genere, diamo noi cristiani al nostro corpo?

Ce lo dice Paolo VI: "(...) il corpo umano (...) è sacro. (...) Sì, il divino vi abita; (...) La vita umana è impregnata del pensiero di Dio. L’uomo è la Sua immagine. Di più: quando la grazia santifica l’uomo, il suo corpo non è soltanto lo strumento dell’anima e il suo organo, è anche il tempio misterioso dello Spirito Santo. (...) È come dire – continua Paolo VI – che una concezione nuova della carne umana si apre davanti ai nostri occhi; (...) che non altera affatto la visione della realtà fisica e biologica; al contrario, la illumina. La riempie di un’attrattiva nuova, (...) che supera l’attrattiva sensibile e quella estetica, che pure sono così reali e così forti, e molte volte così malvagie e fatali; un’attrattiva che, potremmo dire, mistica; un’attrattiva nuova, che né il piacere, né la bellezza suggeriscono, ma che l’amore del Cristo ispira"1.

Della salute

Il nostro corpo è un dono di Dio. Nel mondo è curato persino troppo alle volte e non certo per questo motivo.

Ma quante volte è trascurato da noi persone al servizio di Dio, anche se consacrate!

Eppure la vita che conduciamo, ad esempio, nel Movimento è stata regolata assai bene dallo Spirito Santo. Lo dicono, appunto, i nostri Statuti e i regolamenti. Ma quanta fatica si nota nell’applicarli. L’attivismo è sempre in agguato e vuole imperare. Ed è la salute che ha la peggio.

Consola, ma non giustifica, il fatto che gli stessi santi, non di rado, si sono rovinati la salute, come sant’Ignazio di Loyola, anche se ciò gli fu di lezione per ordinare bene la vita dei suoi figli.

Il non dar la necessaria cura al corpo porta necessariamente ad uno squilibrio fra quello che si dà allo spirito, e si è consumato di cervello e di anima, e quello che si dà al corpo, trattato spesso come un povero asino che si accontenta solo di tanto in tanto.

Questi pensieri, nella nostra storia, sono stati spesso oggetto di preoccupazione per se stessi e per gli altri. Ecco cosa dice questo brano di diario di tanti anni fa.

"Oggi ho capito che queste vacanze debbono essere proprio tali. Così mi sembra le desideri la volontà di Dio (...).

Vorrei però facessero altrettanto i focolarini che riposano. Organizzarsi la giornata riempiendola di ciò che fa bene alla salute: dimenticare (in certo modo) il Movimento; mantenere vive (...) e meglio fatte le pratiche di pietà; poi passeggiate lunghe, ginnastica, remate sul lago, se c’è, giocate all’aperto o alla sera attorno al tavolo; vedere qualche documentario o film sani e distensivi.

Tutto ordinato con un sonno abbondante e senza orari troppo fissi; relax anche giornalieri e mangiare bene. Il tutto perché (...) a noi Dio domanda (...) di tener bene questo corpo finché Lui vorrà, pronti ad offrirglielo alla chiamata"2.

Ma ciò che aiuta più di ogni altra cosa la salute è la vita sempre ordinata. Così hanno sempre pensato i vari fondatori.

Nella Regola dei Giuseppini del Murialdo si trova scritto: "La serenità della vita comunitaria è favorita (...) da una saggia organizzazione che assicuri ad ogni confratello tempi di preghiera, di lavoro, di studio e di sollievo".

E noi abbiamo i sette aspetti che ci ordinano la vita.

Della malattia

Nel Movimento per quanto riguarda i suoi membri ammalati si ha questo pensiero.

Quando qualcuno non sta bene, dobbiamo cercare tutti i modi, tutti i mezzi per guarirlo, perché la salute dei membri è un patrimonio dell’Opera.

Nello stesso tempo, a chi è ammalato è chiesto il distacco dalla salute. Non solo. Egli è incoraggiato a vedere nella malattia e nella morte addirittura dei doni di Dio, perché espressione della sua volontà e quindi amore di Dio. Quando s’affaccia una qualche malattia noi siamo invitati a credere e a dire che tutto è amore, amore di Dio, ricordando santa Teresa di Lisieux che, allorché ebbe il primo sbocco di sangue, non sottolineò quel malanno, ma disse: "È arrivato lo Sposo".

Ma, se la malattia e la morte sono amore di Dio, quale particolare significato esse hanno?

Per noi le malattie sono espedienti, in mano alla Provvidenza di Dio, per cavare, dalla massa informe del nostro io, la figura di Gesù, Gesù.

Siamo sempre stati attratti perciò dalla spiegazione che san Vincenzo de’ Paoli dà delle malattie. "Succede a noi – dice – come a un blocco di marmo con il quale si vuole fare una bella statua della Vergine. Che dovrà fare lo scultore per portare a termine l’idea che ha in mente? Dovrà impugnare il martello e togliere via da quel blocco tutto il superfluo. E per fare ciò comincia a colpire il blocco dall’alto, con ben assestati colpi..., tanto che direste che vuol spaccare tutto. Ma, dopo che ha tolto via il grosso, impugna un martello più piccolo e poi ancora lo scalpello per incominciare a modellare la figura in tutti i suoi particolari, e poi ancora altri strumenti sempre più delicati per dare alla statua quella perfezione che ha in mente.

Dio usa la stessa tecnica anche con noi. Prendiamo una figlia della carità o un missionario. Prima che Dio li tragga dal mondo, vivono nella grossolanità e nella brutalità, come grossi blocchi di marmo. Ma Dio vuol farne delle belle statue e per questo comincia a lavorarli e a colpirli dall’alto con forti colpi di martello (...)

Chi non sa vedere che le apparenze delle cose (nelle prove spirituali o fisiche) potrà dire che questa figlia è sfortunata; ma, se uno sa scorgere il disegno di Dio, vedrà che tutti questi colpi non sono vibrati che per dare una forma a quella bella idea"3.

Nel Movimento si ha poi un proprio concetto dell’ammalato, degli ammalati.

È scritto in un altro diario dell’aprile ’68:

"Noi, nel lavoro, nei trionfi... che quest’Opera esuberante e fiorente porta, siamo tentati alle volte di vedere nelle persone in sofferenza casi marginali da curare, da visitare, ma possibilmente da aiutare perché tornino al più presto all’attività, quasicché sia questo il primo nostro dovere, il centro della nostra vita.

E invece no: quelli che fra noi soffrono, giacciono ammalati, muoiono sono gli eletti. Sono essi al centro della gerarchia d’amore del Movimento. Essi quelli che più fanno, più operano"4.

E in altro momento si scrive: "Si vedranno negli ammalati delle ostie viventi, che uniscono il loro patire a quello di Cristo, dando così il migliore contributo allo sviluppo dell’Opera e della Chiesa"5.

Anche Papa Giovanni XXIII era di quest’idea. Scriveva ad un Vescovo a riposo: "Ora il tuo compito è mutato (nei confronti della Chiesa): devi per essa pregare. E ciò non è meno importante dell’agire".

I fondatori

È bello e anche interessante accostarsi in questo momento a qualche regola di vita di altre famiglie religiose, per vedere come lo Spirito Santo è costante nel suggerire ai vari fondatori norme simili alle nostre.

Nella Regola di san Benedetto, ad esempio, leggiamo al cap. XXXVI: "Degl’infermi si deve aver cura prima di tutto e a preferenza d’ogni altra cosa (...)"6.

Nella Regola non bollata di san Francesco sta scritto: "E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore e che quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sano o malato, poiché tutti coloro che Dio ha preordinato alla vita eterna, li educa con i richiami stimolanti (...) così come dice il Signore: ‘Io quelli che amo, li correggo e li castigo’"7.

È amore quindi la malattia, è tutto amore quello che fa soffrire, anche per san Francesco come per noi.

Nel Movimento poi le malattie, col loro carico di sofferenze, sono viste come prove di Dio, per la prova finale: il passaggio all’Altra vita.

Si scriveva negli anni 60:

"Dio, facendosi uomo, quindi mortale, nacque su questa terra per morire.

Ed è questo il senso della vita: vivere come il chicco di grano il cui destino è morire e marcire per la vita vera ed eterna. (...)

Dobbiamo vedere le malattie che ci colgono come gradini preparati dall’amore di Dio per scalare la vetta, prove per ‘la prova’: piccolo stato d’ostie, non perfettamente consumate, per il ‘consummatum est’ completo che tutti attende.

Così: mortali col Mortale per risorgere con Lui ed iniziare una Vita che non avrà termine.

Signore, che il fare la tua volontà sia l’incenso che t’offriamo in questa ‘Messa’ che prepariamo"8.

Ed è noto lo scritto intitolato: "La Sua, la nostra Messa". Parla del dolore. Forse è utile – in questo tema – riportarne una parte perché si può leggere, anche qui, il senso che hanno per noi malattie e sofferenze:

"Se tu soffri e il tuo soffrire è tale
che t’impedisce ogni attività,
ricordati della Messa.
Nella Messa Gesù,
oggi come allora,
non lavora, non predica:
Gesù si sacrifica per amore.
Nella vita
si possono fare tante cose, dire tante parole,
ma la voce del dolore,
magari sconosciuta agli altri,
del dolore offerto per amore,
è la parola più forte,
quella che ferisce il Cielo.
Se tu soffri,
immergi il tuo dolore nel suo:
di’ la tua Messa; (...)
e lascia scorrere il tuo sangue
a beneficio dell’umanità:
come Lui!
La Messa!
Troppo grande per essere capita!
La sua, la nostra Messa"
9.

Dell’anzianità

C’è un brano di tanti anni fa in uno dei nostri libri di spiritualità che fa capire anche il concetto che nel Movimento si ha per quella specie di malattia naturale che è l’anzianità.

"Agli occhi di Dio, sarà più bello il bambino che ti guarda con occhietti innocenti, tanto simili alla natura limpida e tanto vivi, o la giovinetta che splende come la freschezza d’un fiore appena aperto, o il vecchio (...) quasi inabile a tutto, in attesa forse soltanto della morte?

Il chicco di grano, tenue più d’un filo d’erba, aggrappato ai chicchi fratelli componenti la spiga, che attende di maturare e svincolarsi, solo e indipendente (...) è bello e pieno di speranza!

È bello però anche quando, ormai maturo, è scelto fra gli altri, perché migliore, onde, sotterrato, dar vita ad altre spighe. (...)

È bello, è l’eletto per le future generazioni delle messi.

Ma quando sotterrato, avvizzendosi, riduce il suo essere in poca cosa, più concentrata, e lentamente muore, marcendo, per dar vita ad una pianticella, diversa da esso, ma che di esso contiene la vita, forse è più bello ancora.

Bellezze varie.
Eppure una più bella dell’altra.
E l’ultima la più bella.

Dio le vedrà così le cose?

Quelle rughe che solcano la fronte della vecchietta, quel camminare curvo e tremolante, quelle brevi parole piene d’esperienza e di sapienza, quello sguardo dolce di bambina e donna insieme, ma più buono dell’una e dell’altra, è una bellezza che noi non conosciamo. (...)

Io penso che Dio veda così le cose e che l’appressarsi al Cielo sia di gran lunga più attraente che le varie tappe del lungo cammino della vita, che in fondo serve solo per aprire quella porta"10.

Della morte

Non è per far pensieri neri – noi diciamo – ma d’oro, che pensiamo alla morte. (...)

Più si apprezza e si approfondisce il dolore, più capiamo anche che la morte è l’ultima offerta di noi ‘sacerdoti regali’, qui sulla terra, quindi il culmine della nostra vita"11.

C’è anche gioia pensando alla morte. A volte nel Movimento la si vede come san Francesco: sorella morte.

"La morte significherà – si trova scritto – se la misericordia di Dio ce lo concederà, vedere Maria, vedere Gesù. Come allora mettere lutto attorno a quel passaggio anche se (...) avviene nella cruda realtà d’una lunga o breve agonia o comunque nello sfacelo del guscio umano della nostra vita? (...)

Che il Signore ci tenga sveglia questa visione nell’anima e accresca questa gioia. Nulla con essa potrà più far paura. Anzi! La morte sarà la dolce amica attesa"12.

E ancora: pensiamo che chi vede la morte è piuttosto chi sta al di qua di colui che muore, che lo vede morire. Ma chi muore ha l’avventura di vedere la vita, perché la morte è l’incontro con Cristo.

È una verità di fede che subito vedremo Gesù: una verità che dà una consolazione immensa. San Paolo parla del suo "desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo" (Fil 1, 23).

Parla quindi di un’esistenza con Cristo che succede direttamente alla morte senza attendere la risurrezione finale (cf 2Cor 5,8). Dunque è vero che – in certo modo – la morte non è: essa è l’incontro col Signore.

Ma alla morte occorre prepararvisi prima che succeda.

Fare come Gesù, che è vissuto per la sua "ora".

Anche ciascuno di noi ha la sua "ora".

Occorre porla in cima ai nostri pensieri, come è in cima alla nostra esistenza quaggiù.

E pregare per essa, all’Ave Maria, per esempio, dove sempre si dice: "Prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte".

Perciò, mentre siamo ancora sani, dobbiamo vivere in quell’attesa, scegliendo fin da adesso lo stato d’animo più consono: "Sei tu, Signore, l’unico mio bene".

Ed offrire quell’"ora" per gli scopi che Gesù ci ha affidato.

Se così faremo, non ci sorprenderà più nulla.

Della risurrezione

Ma, alla fine, risorgeremo. Risusciteremo perché Gesù è risorto. Risorgeremo in forza dell’Eucaristia di cui ci saremo nutriti durante la vita: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6, 54).

E Lui, Gesù, è la risurrezione stessa: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11, 25).

Noi siamo legati a Lui che si è messo come primo fratello a capo di tutti noi per andare verso il Padre.

E come risorgeremo?

Risorgeremo con il nostro corpo, non con un altro, perché noi siamo una persona, come dice Giovanni Paolo II, irripetibile, con un’anima e con un corpo che formano questa persona13. Risorgeremo con il nostro corpo, ma tutto diverso, spiritualizzato, come il corpo di Gesù risorto. E saremo, se Dio vuole, felici in Paradiso.

Quando qualche amico o parente parte per l’Aldilà, spesso lo si dice ‘scomparso’, lo si pensa perduto.

Ma non deve essere così per noi. "La sua vita è mutata, ma non tolta"14.

L’amore che il nostro fratello ci portava, l’amore vero perché radicato in Dio, rimane, perché tutto passa; passano persino, con la scena di questo mondo, la fede e la speranza, ma la carità resta (cf 1Cor 13, 8). E Dio non è così poco generoso con noi da toglierci ciò che Lui stesso, nel fratello, ci aveva donato.

Quel fratello, quei fratelli continuano ad amarci con una carità che, adesso, non subisce oscillazioni. (...)

No, non sono perduti i nostri fratelli. Essi sono di là, come fossero partiti di casa per portarsi in un altro luogo.

Essi vivono nella patria celeste e, attraverso Dio, in cui sono, possiamo continuare ad amarci a vicenda, come il Vangelo insegna15.

La risurrezione e il cosmo

Parlando ancora della risurrezione si presenta, a volte, nel Movimento, questo pensiero singolare riguardante l’habitat dell’uomo e cioè il cosmo.

Gesù che muore e risorge è certamente la causa vera della trasformazione del cosmo. Ma, dato che Paolo ci ha rivelato che noi uomini completiamo la passione di Cristo e che la natura attende la rivelazione dei figli di Dio, può essere anche che Gesù attenda pure il concorso degli uomini, cristificati dalla sua Eucaristia, per operare il rinnovamento del cosmo.

Se l’Eucaristia è causa della risurrezione dell’uomo, non può essere che il corpo dell’uomo, divinizzato dall’Eucaristia, sia destinato a corrompersi sotterra per concorrere alla risurrezione del cosmo? Si potrebbe quindi dire che in forza del pane eucaristico l’uomo diventa "Eucaristia" per l’universo, nel senso che è, con Cristo, germe di trasfigurazione dell’universo.

La terra ci mangerebbe, quindi, come noi mangiamo l’Eucaristia, non per trasformare noi in terra, ma la terra in "cieli nuovi e terre nuove". È un pensiero nostro.

Nel Movimento è molto sentita anche la cura del luogo dove sono deposti i loro corpi, destinati alla Risurrezione. Le Parole di vita, che hanno illuminato la loro esistenza, vengono scolpite sulle loro tombe. E le persone del Movimento, visitando il cimitero e leggendole, si edificano.

Vogliamo poi che i nostri cimiteri siano belli come giardini. Cosicché quelle tombe parlano. Sappiamo di qualcuno che, passando da una all’altra, e vedendovi l’amore che continua, ad un dato punto ha pianto.

Il cosmo durerà, subirà una trasformazione, ma durerà e ci sarà in eterno. Quindi va già guardato così: le galassie, i tramonti, i fiori, i pini, i prati, il cielo vanno guardati pensando: questa cosa resterà. E anche le cose che sono fattura dell’uomo resteranno, tanto più se sono fatte per amore, perché allora sono già purificate, sono fatte da Gesù dentro di noi o fra noi; e le cose fatte da Gesù durano.

E come sarà il Paradiso? Sarà come la terra, ma trasformato: non si sa se succederà come una specie di catastrofe e poi una nuova terra e cieli nuovi, oppure se sarà una trasformazione di essa. Noi propendiamo per pensare ad una trasformazione di questa stessa terra, di questi stessi cieli.

Questi pensieri portano a dar valore anche all’ecologia che nel Movimento è particolarmente sentita. Occorre che manteniamo bene questa terra, per rispetto, dato che anche lei ha una sua funzione nel futuro.

Una sola famiglia

Nel nostro Movimento si pensa che tutti noi, graziati dallo Spirito Santo d’un suo carisma, che è come un sangue nuovo e comune che ci lega, siamo e rimarremo sempre una sola famiglia, di cui qualche membro è già partito, una famiglia sempre in attesa di riunirsi.

Condividiamo infatti ciò che scrive don Alberione, fondatore dei paolini:

"Congregavit nos in unum Christi amor. Un medesimo amore ha raccolto i nostri cuori intorno al Cuore di Gesù Cristo. Così è di ogni Istituto religioso, il quale non si scioglie per la morte; perciò la Congregazione può avere membri nella Chiesa trionfante, altri nella Chiesa purgante, altri nella Chiesa militante. Tutti con un solo vincolo: la carità. (...)

I nostri fratelli della Chiesa trionfante danno aiuto ai fratelli della Chiesa purgante ed ai fratelli della Chiesa militante. I fratelli della Chiesa purgante danno gloria ai fratelli della Chiesa trionfante, mentre pregano per i fratelli della Chiesa militante ed aspettano aiuti dagli uni e dagli altri. I fratelli della Chiesa militante suffragano i fratelli della Chiesa purgante e chiedono aiuto ai fratelli della Chiesa trionfante e della Chiesa purgante. (...)

La Congregazione si consolida e perfeziona con la morte. Come fratelli in diverse condizioni; ma uniti ancora nel fine: gloria a Dio, pace agli uomini"16.

Scrivevo il 25 dicembre 1973 ai focolarini questo brano che vale tuttora:

"Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: ‘Siate una famiglia’.

Vi sono fra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali? Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola o con l’esempio. Non lasciate mancar loro, anzi accrescete attorno ad essi, il calore della famiglia.

Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Patite con loro. Cercate di comprendere fino in fondo i loro dolori. Fateli partecipi dei frutti della vostra vita apostolica affinché sappiano che essi più che altri vi hanno contribuito.

Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere voi al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all’ultimo istante.

C’è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godete con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l’animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti.

C’è qualcuno che parte? Lasciatelo andare non senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti dov’è destinato.

Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, né spirituale, né apostolica, allo spirito di famiglia con quei fratelli con i quali vivete.

E dove andate per portare l’ideale di Cristo, per estendere l’immensa famiglia dell’Opera di Maria, niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia... è (...) la carità vera, completa.

Insomma, se io dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse: ‘Amatevi a vicenda... affinché tutti siano uno’".

Ed ora, aggiornati alla nuova volontà di Dio espressaci dalla Chiesa nel Santo Padre Giovanni Paolo II la vigilia della Pentecoste 1998 in Piazza San Pietro, direi: allargate questo spirito di famiglia a tutti i Movimenti e Comunità ecclesiali esistenti; offrite il vostro amore a tutte le famiglie religiose che con noi rappresentano l’aspetto carismatico della Chiesa; non esitate a porgerlo generosamente a Cristo che vive in tutti coloro che rappresentano l’aspetto istituzionale di essa, perché la "Chiesa-comunione" sia una realtà nel Terzo Millennio. E non dimentichiamo quelli che stanno fuori la Chiesa, nel mondo, per il quale Gesù è venuto, e noi siamo chiamati ad incendiare.

Conclusione

Il carisma dell’unità del Movimento ci ha sempre orientato, per quanto riguarda tutti gli aspetti della nostra vita, a pensare – per così dire – alla grande. E cioè a considerare, ad esempio, la salute non solo fisica, ma anche quella spirituale, non solo personale ma anche collettiva.

Infatti noi leghiamo a questo argomento realtà spirituali come la presenza di Gesù in mezzo a noi e la Santissima Eucaristia.

Gesù in mezzo a noi perché la perfetta salute dell’anima nostra sta nella sua presenza fra noi. La nostra tipica spiritualità esige che si raggiunga la salute spirituale non da soli. Come uomini e come cristiani siamo noi stessi solo in relazione con altri. È il rapporto, l’amore ai prossimi che ci fa pienamente noi stessi e cioè Gesù, un altro Gesù. Per questo, per dirci sani spiritualmente e cioè completi, perfetti, realizzati, nella pienezza della gioia, dobbiamo amare gli altri fino a far in modo che Gesù sia in mezzo a noi.

Leghiamo, inoltre, quest’aspetto alla Santissima Eucaristia non solo perché è causa della nostra risurrezione, in cui troveremo perfezionata e perpetuata la salute fisica e spirituale, ma anche perché è per essa che diveniamo concorporei e consanguinei con Cristo; è essa che ci trasforma tutti nel Cristo che riceviamo, che ci fa Cristo ed è con ciò la nostra salute spirituale.

Iniziamo allora il nuovo anno ideale in tutto il Movimento con nel cuore la nostra e l’altrui salute fisica e spirituale, a gloria di Dio e per il bene di molti.

Chiara Lubich

0

1. Insegnamenti di Paolo VI, I(1963), p.141.

02. C. LUBICH, Diario, 4-8-1968.

03. M. AUCLAIR, La parola a San Vincenzo de’ Paoli, Roma 1971, p. 289-290.

04. C. LUBICH, Diario, 11-4-1968.

05. ID., Statuti generali dell’Opera di Maria, art. 52.

06. Regole monastiche antiche (a cura di G. TURBESSI), Roma 1978, p. 442.

07. Fonti francescane, Padova 1980, p. 109.

08. C. LUBICH, Tutto è incominciato, in Scritti Spirituali/1. L’attrattiva del tempo moderno, Roma
1997, p.246-247.

09. ID., Scritti Spirituali/1, cit., p. 47.

10. ID., Forse più bello ancora, in Scritti Spirituali/1, cit.
pp112-113

11. ID., Pensieri d’oro, in Scritii Spirituali/2. L’essenziale di oggi, Roma 1997, p.177.

12. ID., Diario, 14-6-1968.

13. Cf GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Roma 1985, p. 79.

14. Prefazio della Messa dei defunti.

15. Cf C. LUBICH, Diario, 13-12-1968.

16. G. ALBERIONE, Mese di esercizi spirituali, Capo IX – Istruzione IX.