Una drammatica ipoteca non soltanto per i paesi poveri, ma per il futuro del mondo

"Cancellate il debito estero!"

"Nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale che pesa sul destino di molte nazioni" (Tertio millennio adveniente, 51).

Una situazione drammatica

GEN’S: Impegnarsi a superare la piaga del debito estero dei Paesi poveri è diventato da anni per la Chiesa cattolica ed altre Chiese cristiane, una priorità. Perché? Quale la situazione attuale e che importanza riveste per il futuro?

Nel mondo attuale nessuna nazione, tanto meno le più piccole, può pensare di fare a meno degli scambi commerciali con i Paesi più industrializzati, se non altro per acquistare le attrezzature mediche, i farmaci ed i pezzi di ricambio che non produce al suo interno: tutti prodotti da pagare in valuta forte di quelle nazioni, che si può ottenere in prestito solo se si mantengono gli impegni riguardo ai debiti del passato. Per questa ragione tutti i Paesi fanno ogni sforzo per onorare le rate di debito ed interessi, e se impossibile, per ottenere una dilazione del dovuto.

Ne consegue che la valuta forte ottenuta con le esportazioni viene indirizzata in modo prioritario a tali scopi, e non può essere invece utilizzata per migliorare le strutture sanitarie e di formazione che servirebbero per lo sviluppo della popolazione, in particolare delle nuove generazioni.

GEN’S: Com’è nato questo debito?

Il debito, in precedenza molto modesto, si è ingigantito negli anni settanta, quando le banche occidentali decidevano di finanziare a tassi di interesse minimi, ma legati a quelli internazionali, industrie, dighe, centrali nucleari, strade e metropolitane nei grandi Paesi del Sud. Paesi che esse consideravano affidabili perché ricchi di materie prime. Per fare questi finanziamenti usavano i petrodollari accumulati dai i Paesi in quegli anni grazie ai vertiginosi aumenti del prezzo del petrolio, e che avevano loro affidato.

Quando negli anni ottanta Reagan decideva di ridurre le tasse all’interno degli USA emettendo Buoni del Tesoro ad alto rendimento, i tassi di interesse internazionali crescevano moltissimo, proprio mentre crollavano i prezzi delle materie prime. Le grandi nazioni del Sud si trovavano così d’improvviso a dover pagare interessi molto elevati, in un periodo in cui le loro materie prime stavano perdendo valore.

Si trovavano in difficoltà ad onorare i loro impegni finanziari, anche perché spesso gli investimenti che avevano effettuato non producevano ricchezza, essendo più di prestigio che di reale utilità, quando non erano stati per armamenti o non si erano dispersi nella corruzione.

Atti criminali

GEN’S: Tanti fanno notare che, strozzare questi Paesi poveri, impedendo il loro sviluppo, per continuare ad erogare somme ingenti ai Paesi ricchi, a banche e istituzioni finanziarie internazionali, non solo costituisce un’ingiustizia etica, economica, sociale, ma sono "atti criminali" con dei risvolti giuridici che nessuno di loro riesce a far valere. Tra l’altro si fa presente che ormai il debito iniziale è già stato pagato attraverso le rate e gli interessi versati…

Purtroppo nei Paesi più poveri, come quelli africani, molti finanziamenti sono stati erogati in passato per guadagnare un Paese al proprio schieramento quando ancora esisteva la logica dei due blocchi al tempo della guerra fredda, e spesso essi sono stati sperperati in armi o sono finiti nelle mani dei pochi ricchissimi governanti locali.

Prestiti concessi quindi nell’ottica di interessi politici o economici del mondo industriale, cioè per l’interesse privato, anziché pubblico. Gli Stati indebitati potrebbero rivalersi sui propri governanti del passato che hanno accumulato grandi ricchezze, chiedendo la collaborazione dei Paesi in cui tali ricchezze sono state messe al sicuro.

Mi piace qui citare un prezioso opuscolo preparato dalla Conferenza episcopale italiana, dove si legge quanto segue.

"Secondo autorevoli economisti, il debito in realtà è già stato pagato: se si ricalcolano le cifre dovute e quelle pagate prendendo come unità di misura non il solo dollaro ma un "paniere" di più monete, l’ammontare degli interessi pagati supera spesso di svariate volte l’ammontare del capitale prestato. Forse non erano queste le intenzioni dei creditori, ma i Paesi poveri non si troverebbero molto peggio se allora si fossero messi nelle mani degli usurai. Il loro dramma è stato inoltre acuito dalla crescita dei prezzi di petrolio e derivati, a fronte di una stagnazione dei prezzi dei prodotti non petroliferi esportati dai Paesi più deboli e quindi impossibilitati a imporre una propria politica dei prezzi.

Tutto questo non è stato senza conseguenze: le istituzioni finanziarie internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale) hanno operato affinché, nonostante tutto, i Paesi poveri pagassero, rifinanziandoli ma imponendo loro le cosiddette politiche di aggiustamento strutturale, che hanno demolito le poche garanzie sul fronte socio-sanitario, faticosamente costruite. Scelte miopi, che non vedevano, o non volevano vedere, le dimensioni reali del peso caricato sulle spalle dei Paesi indebitati, col peggioramento di tutti gli indicatori macroeconomici e di quelli sociali. I frutti amari di queste scelte sono stati, fra gli altri, l’aggravarsi della malnutrizione, l’aumento delle malattie, un minore impegno nell’istruzione.

Mentre il Nord "liberamente" cresceva, si è determinato un aumento della povertà nei popoli del Sud del mondo, denunciato anche dai documenti dell’ONU che affrontano il tema del debito. (…)

Riflettendo su come il debito internazionale si è formato, dovremmo chiederci perché i creditori non l’hanno ancora rimesso o almeno fortemente ridotto. Infatti appare chiaro, sotto il profilo etico, che viene meno il dovere di pagare quei debiti che in realtà sono stati già pagati e dal cui adempimento conseguono inesorabilmente mali più grandi rispetto al bene della sicurezza dei rapporti creditizi che si vuol salvaguardare".

GEN’S: Cominciano ad alzarsi delle voci per denunciare che qualche politica e meccanismo proposti ultimamente per il condono del debito, in realtà non costituiscono una vera soluzione.

Le iniziative di condono del debito vengono considerate possibili solo per i Paesi poverissimi, quelli per i quali la probabilità di una effettiva restituzione è estremamente bassa. È però richiesto a tali Paesi di effettuare politiche di aggiustamento della propria economia tali da scongiurare un ulteriore indebitamento: se questo può sembrare logico, spesso produce ulteriori sofferenze alla popolazione più povera, perché porta all’aumento del prezzo dei beni fondamentali come i generi alimentari o le spese per l’istruzione o la sanità.

Cosa fare?

GEN’S: Sappiamo che la Chiesa italiana ha avviato un’operazione che può avere un forte valore simbolico e di stimolo per altri. Questo sarà sufficiente?

La Chiesa italiana attraverso un organismo della sua Conferenza episcopale chiede agli italiani in occasione del giubileo del 2000, di raccogliere cento miliardi. Con essi si ripropone di riscattare, ad un valore molto più basso del nominale, perché difficilmente recuperabile, parte del debito di un Paese, che si sia dichiarato disponibile a riscattare a sua volta, ma in moneta locale, il corrispettivo del debito.

In collaborazione con la Chiesa locale e le Ong i fondi così ottenuti serviranno per avviare progetti di sviluppo in due Paesi africani: Guinea Conakry e Zambia. Così il risanamento del debito andrà a vantaggio della popolazione e non nelle tasche dei ricchi locali come sembra sia capitato quando il Fondo Monetario Internazionale ha versato l’ultima rata di finanziamento al governo russo. È un progetto bellissimo per il suo valore profetico, che se fosse emulato dalle Conferenze episcopali degli altri Paesi industrializzati permetterebbe di incidere effettivamente sulla situazione debitoria, ad esempio, dei Paesi africani.

Un progetto che però non può risolvere il problema di fondo dei grandi Paesi indebitati, quali il Brasile, l’Argentina, la Colombia, il Messico, il Venezuela, a cui dopo la crisi asiatica si sono aggiunti l’Indonesia, la Corea, la Tailandia, le Filippine. Paesi che forse riusciranno con grandi sacrifici a pagare gli interessi del loro debito, ma che molto difficilmente riusciranno a liberarsene.

Una strada per risolvere questo problema consisterebbe nell’imporre una piccolissima tassa sui movimenti speculativi di capitale, i quali ogni giorno assommano ad un importo pari all’intero debito estero dei Paesi in via di sviluppo, circa 2.000 miliardi di dollari. Applicando una tassa dello 0.05 % su tali movimenti, il Fondo Monetario Internazionale potrebbe raccogliere almeno 100 miliardi di dollari all’anno, con i quali potrebbe dimezzare il peso complessivo degli interessi, liberando nei Paesi del Sud le risorse necessarie a togliersi il debito in pochi anni.

Perché non si è ancora fatto? In effetti l’ONU lo proporrebbe, ed il parlamento canadese si è già dichiarato favorevole, ma sembra che gli ostacoli maggiori siano di carattere politico, perché il laccio dei debiti da rinnovare o meno può essere uno strumento efficace per condizionarne il comportamento internazionale di un grande Paese, meno sanguinoso di interventi armati: la Russia in occasione della guerra per il Kossovo, e l’Indonesia nella controversia di Timor, sono state convinte anche per questo tramite.

La dilazione del debito estero è uno strumento che lo prolunga per un tempo senza fine. Anche se tale espediente nel presente può apparire meno doloroso, di fatto produce un impatto enorme sul futuro di quel terzo di umanità che – proprio a causa del permanere del debito – viene privato di salute e d’istruzione, diritti essenziali allo sviluppo di ogni essere umano.

Si è quindi in una situazione che potrebbe essere smossa solo dall’intervento della Provvidenza che orienta la storia dell’umanità. Una Provvidenza che può essere espressa da una nuova cultura del dare e della solidarietà, che si diffonde in tutto il mondo di persona in persona fino a diventare pubblica opinione, e che può essere espressa da voci che, in forza dell’amore per l’umanità, sanno essere così autorevoli da travolgere la forza della finanza e degli eserciti.

a cura della redazione