Un processo onesto e coraggioso che esige creatività e cambiamento

La Chiesa chiede perdono...

 

 

Con molta probabilità uno degli atteggiamenti che verrà maggiormente ricordato nella storia del pontificato di Giovanni Paolo II, sarà la sua reiterata richiesta di perdono per gli errori commessi dai cristiani lungo la storia. Quali esigenze implica, questo gesto lucido e coraggioso, per il futuro della vita ecclesiale?

Giovanni Paolo II vuol fare nel Giubileo una solenne richiesta di perdono per i peccati storici dei cristiani e specificamente dei cattolici. La data fissata è la prima domenica di quaresima di quest’anno.

Ciò non fa che confermare i suoi numerosi mea culpa a nome della Chiesa nei suoi viaggi per il mondo. Ha parlato di reciproche responsabilità a Casablanca (per ciò che riguarda i rapporti sofferti con l’Islam) ed a Vienna (per le guerre di religione), ha chiesto perdono per la partecipazione o non sufficiente opposizione dei cristiani alla tratta di schiavi neri a Yaoundé (Camerun) e a Goré (Senegal), ha riconosciuto nella Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Santo Domingo i torti fatti agli amerindi, quelli nei confronti degli ebrei alla sinagoga di Roma, "gli errori dell’Inquisizione" in Spagna, ha reso omaggio a Hus (bruciato come eretico) a Praga, a Lutero a Magonza, a Galileo a Pisa... (1)

Leggere le sue parole in queste occasioni costituisce una commovente e stimolante scuola di onestà intellettuale, di lettura della storia alla luce del Vangelo, di purificazione della memoria, di ricerca di conversione nel presente per evitare tragedie simili in futuro.

È vero che, per ciò che si riferisce alla Chiesa cattolica, qualche esempio consistente l’aveva ricevuto già dai suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI e dal Concilio Vaticano II (vedi LG 8 sulla Chiesa "santa e sempre bisognosa di purificazione", UR 7 sulle "colpe contro l’unità", GS 19 nei riguardi dell’ateismo…). È vero pure che nella nostra epoca gesti di quel tipo si trovano anche in altre Chiese cristiane e fuori del cristianesimo (2). Eppure la forza e la reiterazione con cui li ha fatti questo Papa, senz’altro lasciano un segno per il futuro.

Alcuni dei dubbi avanzati

Non sono mancate delle critiche e perplessità, come succede di fronte ad ogni gesto profetico. C’è stato chi si è augurato che non si arrivi a chiedere perdono per "leggende nere anticlericali". Qualcuno invece teme che questo tipo di gesti siano strumentalizzati dagli avversari della Chiesa per denigrarla, seminando smarrimento nel popolo cattolico. Altri vorrebbero che alle parole seguissero dei fatti concreti, dove si dimostri la vera intenzione di "emendarsi", di cambiare cioè rotta in certe condotte e strutture che considerano sbagliate o inadeguate. Mentre dei cristiani provenienti dalla Riforma hanno espresso il loro accordo con tali manifestazioni, esprimendo però l’auspicio che quando si tratti di episodi che hanno coinvolto non solo la Chiesa cattolica, potessero essere realizzate insieme, offrendo così una più grande testimonianza al mondo e dando un peso maggiore al gesto compiuto.

Tuttavia ogni possibile riserva, per quanto contenga di valido, non toglie niente all’importanza dei passi fatti: "la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente" (3). Evidentemente con queste parole il Papa vuole eliminare persino la parvenza di cercare degli alibi autogiustificatori.

Soprattutto un tale atteggiamento mette nelle condizioni di realizzare qualcosa di fondamentale da una prospettiva cristiana: puntare ad una costante revisione della propria vita alla luce del Vangelo. La Chiesa infatti "intende essere come il vero penitente, che non chiede soltanto di cancellare gli errori compiuti, ma, consapevole della ricorrente possibilità di ricadervi, decide di percorrere strade nuove, quasi in un costante esame di coscienza… La fede cristiana ha tutto da guadagnare dal presentarsi umile e consapevole delle proprie debolezze" (4). Come ha scritto un noto giornalista laico, "il volto della Chiesa, così, si fa più attraente".

Ritardi storici

Più degli sbagli, pur gravissimi commessi nel passato, ciò che produce maggiore sconcerto e sofferenza in tantissime persone è il ritardo con cui la Chiesa spesso è arrivata agli appuntamenti della storia, salvo poi a riconoscere, dopo decenni o secoli, che quelle realtà a cui si era opposta contenevano delle verità che dovevano essere accettate e promosse.

Sarebbe stimolante ma soprattutto istruttivo spiritualmente e intellettualmente, uno studio comparativo di condanne fatte autorevolmente nella Chiesa attraverso i secoli, confrontandole con affermazioni posteriori o attuali di segno completamente opposto. L’elenco, come si sa, sarebbe lungo. Uno dei fatti più sintomatici lo costituiscono alcune delle principali istanze della Riforma protestante, entrate in pieno – dopo quasi cinque secoli – nel Concilio Vaticano II. O l’opposizione a certi aspetti della rivoluzione francese oggi giustamente difesi dalla Chiesa come conquiste irrinunciabili di civiltà. O i rifiuti "dei principali errori dell’età nostra" nel tristemente celebre Syllabus (1864), affermazioni nella maggior parte accettate e difese dalla Chiesa nel nostro tempo. E così sarebbe possibile andare avanti, dall’indipendenza dell’America alla sovranità della Polonia nei riguardi della Russia, dalla proibizione della vaccinazione alle resistenze contro la democrazia, dal noto non possumus di Pio IX riguardo alla perdita dei territori dello Stato pontificio, alla enciclica del 1928 contro l’ecumenismo agli antipodi dell’impegno attuale della Chiesa cattolica in questo campo… E via discorrendo. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi con facilità.

Perché questo tipo di "costanti" storiche? Come mai – come si legge in un noto manuale di storia della Chiesa – più volte è successo che essa si sia alleata con i suoi avversari di ieri, per combattere i suoi avversari del presente, che sarebbero stati poi i suoi alleati di domani?

È verissimo che la storia della Chiesa non può ridursi a descrivere i suoi peccati, i suoi errori, le violenze e le guerre in cui è stata coinvolta. Però queste realtà sono conosciute e sono oggetto di interrogativi spesso sofferti da parte di studenti, intellettuali e persone di ogni estrazione, fuori e dentro la Chiesa. Per cui è necessario cercare di offrire delle risposte vere, appaganti, chiarendo con serenità quel che c’è da chiarire quando si è deformata la verità, ma evitando atteggiamenti apologetici ed ingenui che a lungo andare risultano sempre controproducenti.

Certamente, nel giudicare il passato, non bisogna essere né moralistici in senso anacronistico (chiedendo, a partire dalle nostre acquisizioni attuali, una "coscienza impossibile" alle persone di altre epoche), né superficialmente unilaterali (come se tutta la colpa fosse da una parte). L’essere umano e gli eventi storici si muovono sempre sotto l’influsso di stimoli molto svariati e complessi. Bisognerebbe cercare di trovare, anche dietro atteggiamenti sbagliati o poco lungimiranti, quali valori i protagonisti del tempo volevano affermare. O individuare i motivi – storici, psicologici, ecc. – per cui non riuscivano a vedere l’importanza delle nuove idee che si facevano strada. O addirittura cogliere persino gli aspetti positivi che in certi casi venivano fuori anche a partire da giustificazioni e condotte che oggi sappiamo insufficienti o errate…

Comunque non è questo l’ordine di cose che qui vogliamo analizzare. Ciò che ci sembra importante è tentare di capire quali accorgimenti mentali, spirituali, strutturali, sarebbero necessari per imparare la lezione della storia e cercare di non ricadere in sbagli analoghi in futuro.

Diceva K. Rahner che "il problema della distinzione tra la sostanza e la sua forma storicamente condizionata, è uno dei compiti più essenziali e urgenti dell’ecclesiologia"; distinguere cioè quello che nella Chiesa è permanente da ciò che è relativo. Però sappiamo che non sempre questo risulta evidente ed agevole. Come discernere oggi (è più facile farlo col senno del poi) le proposte inaccettabili dai cambiamenti necessari? Come fare per accelerare tali cambiamenti in modo da non far soffrire inutilmente tante persone e da non ritardare la crescita del Regno di Dio nel mondo?

Una constatazione necessaria

Il primo atteggiamento da evitare è una sorta di autolesionismo o masochismo ecclesiale, patologia sempre in agguato per i cristiani. Un teologo ortodosso, esprimendo l’alto concetto di Chiesa presente nella teologia orientale, scriveva: "La Chiesa è la Sposa di Cristo, con un volto bellissimo ed ornata con un vestito meraviglioso. È vero che ha i piedi infangati. Ma voi occidentali sembra che guardiate sempre i suoi piedi!".

Infatti bisogna riconoscere che, intrecciati con le realtà negative, altri due grandi fenomeni si avvertono percorrendo tutta la storia del cristianesimo. Il primo è che "in tutte le epoche della storia della Chiesa il Vangelo autentico sempre è rimasto vivo ed è stato vissuto intensamente da minoranze ferventi che non si contentavano dello schema dominante" (5) .

La seconda constatazione è la seguente: mentre tante volte la Chiesa non ha trovato l’apertura necessaria per riconoscere tempestivamente certe conquiste dell’umanità, invece per ciò che riguarda il campo dell’amore fraterno, del servizio ai poveri ed ai sofferenti, le cose in genere sono andate diversamente.

Come se alla difficoltà che si riscontra spesso, da parte dell’istituzione ecclesiale, nell’accogliere le idee nuove e nell’assecondare i segni dei tempi, corrispondesse per contro una specie di chiaroveggenza, di "istinto evangelico" che la spinge nella pratica a "vedere" e a lenire tante sofferenze umane. Con le limitazioni culturali del tempo, ovviamente, ma con una forza spesso straordinaria, come mostra tutta la storia. Dai lebbrosari all’erezione dei primi ospedali, dagli orfanotrofi ai manicomi con caratteristiche più umane, dalla costruzione dei ponti alla creazione delle banche nate per liberare i poveri dalle mani degli usurai, dal far nascere le prime scuole a ogni tipo d’iniziative per sollevare la fame dei più bisognosi… (6). Tante delle grandi personalità carismatiche di tutti i tempi e delle famiglie religiose formatesi attorno a loro, sono nate, come si sa, per andare incontro precisamente a tali bisogni dell’umanità.

Il nostro tempo non poteva costituire un’eccezione ("sul terreno laico della carità la Chiesa si è guadagnata la stima del mondo", si leggeva recentemente in un giornale laico di grande tiratura). Infatti è sotto gli occhi di tutti che, senza atteggiamenti trionfalistici, cristiani di tutte le tradizioni e le stesse Chiese in modo ufficiale si trovano in prima fila nell’ambito della condivisione e del servizio. Lo fanno con una presenza massiccia nel campo del volontariato, con l’accorrere dove esplodono conflitti o calamità, col promuovere iniziative a tutti i livelli per individuare e cercare soluzioni alle cause dell’abisso assurdo che separa la minoranza ricca dalla immensa maggioranza dei poveri, o per andare incontro ai milioni di bambini di strada, drogati, persone coinvolte nella prostituzione, malati di aids, e tante altre sofferenze del nostro tempo. Oppure la Chiesa si fa presente denunciando e collaborando per superare – spesso pagando di persona attraverso alcuni dei suoi membri più impegnati – i nuovi imperialismi economici, i colonialismi culturali, le mafie varie, la mancanza di rispetto dei diritti umani, i danni ecologici, e così via.

Comunque la domanda rimane. Se – per dirla con le parole di Gorbaciov – "chi arriva in ritardo, la storia lo punisce", come cercare di evitare i ritardi?

Diversi atteggiamenti

Un approccio psicosociologico alle istituzioni cristiane avrebbe tanto da dirci a questo riguardo: le leggi tipiche di ogni organismo sociale permettono una maggiore comprensione delle lentezze storiche. Ciò aiuta almeno a non scoraggiarsi di fronte ai cambiamenti che si considerano imprescindibili ma non si vedono arrivare. Ma dal momento che qui non abbiamo lo spazio per affrontare né gli aspetti sociologici, né quelli teologici o pastorali che possono offrire luce a questa tematica, ci limitiamo a segnalare tre atteggiamenti fondamentali che si riscontrano fra i cristiani, i quali non necessariamente si escludono del tutto a vicenda.

Alcuni decidono di promuovere i cambiamenti cercando la verità e, quando sembra loro di averla trovata, la dicono sempre, opportune et importune. Anche pagando di persona, con uno stile severo e schietto che forma parte dell’atteggiamento dei profeti di tutti i tempi, e ben presente tanto nella condotta e nelle parole di Gesù (attraverso le sue invettive, i suoi "guai", le sue denunce dure, senza indugi, sconvolgenti per tanti suoi contemporanei), come nella vita di tanti dei suoi grandi seguaci attraverso i secoli.

Altri pensano che una tale posizione portata avanti ad oltranza ed in ogni circostanza contiene più aspetti distruttivi che costruttivi, e che comunque le cose nella Chiesa raramente cambiano attraverso il conflitto e le posizioni di forza. Per cui scelgono di andare avanti con serenità, nell’attesa che il fiume della storia si porti via tutto ciò che ha da essere spazzato, nella sicurezza che presto o tardi ciò che è giusto e vero finisce per imporsi per il proprio peso.

Altri ancora preferiscono costruire puntando soprattutto ad un impegno positivo: "se si analizza a fondo la loro vita e le loro opere, si scoprirà che essi non partono da una generica protesta negativa, ma dall’attuazione positiva di studi o iniziative che si rifanno sostanzialmente al Vangelo; inoltre, rimangono assetati di comunione con l’autorità della Chiesa e non si danno pace finché non trovano una soluzione, anche se occorresse del tempo, perché il Signore li spinge a non rinunciare al proprio messaggio. Essi non partono da un "non", ma da un "sì", il sì a una verità scoperta nell’ambito della fede e poi illustrata in opere e pubblicazioni; o da una riscoperta di alcuni valori evangelici, vissuti prima nella loro vita e poi effettuati nel concreto" (7).

Idee e prassi

Sono le idee a muovere il mondo, si dice a ragione. Bisognerebbe però chiarire che tipo di idee ed a quali condizioni. Ed aggiungere che spesso le idee precedono la prassi, ma alle volte sono suscitate da essa, dal momento che in ogni esperienza, anche in quella più inconsapevole, c’è "un’idea che s’ignora".

E. Schillebeeckx rilevava infatti quanto l’umanità si muove a forza di "esperienze di contrasto". Di fronte a certe realtà – schiavitù, disuguaglianza della donna, discriminazioni, guerre, criminali sperequazioni economiche – si produce ad un certo momento del cammino dell’umanità una reazione, grazie al fatto che cresce il numero di coloro che sentono dentro: "questo non va più", "questo non è più sopportabile, non possiamo accettarlo". E allora si trovano le ragioni, a livello individuale e collettivo, per legittimare i cambiamenti, assieme ai mezzi e alle strutture organizzative per concretizzarli.

Importante è che ognuno sappia portare avanti il proprio ruolo. Niente è piccolo e senza importanza. Se molti costruiscono in senso giusto dalla propria angolazione, con le proprie possibilità e capacità, e si cercano i contatti ed i coordinamenti adeguati nei momenti storici maturi, crescono delle convinzioni nell’opinione pubblica e magari quando meno lo si aspetta si produce un salto di qualità che provoca dei rovesciamenti nel mondo. Anche la storia recente offre degli esempi epocali in questo senso, da certe conquiste ecumeniche in ambito religioso, impensabili pochi decenni prima, al crollo dei regimi socialisti che ha colto di sorpresa anche le persone più avvedute.

Dio agisce nella storia

C’è chi ha parlato di Dio come "cospiratore", nel senso che costantemente co-spira con noi nella storia. Non sempre però è facile avvertire la sua azione nelle vicende della Chiesa e del mondo, anche se tutti sappiamo – come ha affermato insistentemente il Vaticano II (8) – che Dio agisce in tutti gli avvenimenti umani.

Oggi la teologia, utilizzando un termine biblico, parla di kairòi, momenti storici particolarmente significativi quando i tempi diventano propizi per far possibili delle particolari irruzioni dello Spirito. In questo modo i momenti di crisi, di smarrimento, persino d’inadeguatezza dell’istituzione ecclesiale di fronte alle svolte della cultura e della società, li si avvertono allo stesso tempo non solo come sfide, ma anche come chance (come kairòs, appunto) per nuove sintesi, nuove crescite, maturazioni, fioriture a cui Dio ci chiama, ed alle quali bisogna essere attenti per poterle assecondare.

Alle volte sono i cristiani o una parte di essi che aprono strade affinché si producano nell’umanità delle aperture in avanti verso il progetto di Dio. Altre volte sono persone e correnti, istituzionalmente lontani dal cristianesimo, che in forza della tendenza propria dell’essere umano al vero, al bene, al bello, e nonostante le forze negative con cui devono fare i conti, vanno più avanti della Chiesa in certi campi e provocano i cristiani a crescere.

Non ci si dovrebbe meravigliare né dei ritardi prodotti da persone che agiscono in buona fede ma senza ampiezza di vedute, né della piccolezza, l’ambizione, la sete di potere, l’intolleranza e lo spirito settario che ostacolano l’azione di Dio anche dentro la Chiesa. Dio non può agire senza passare attraverso di noi, con tutti i rischi e i ritardi che ciò può comportare. Rivolgersi agli esseri umani come a dei veri partner, rispettando il loro protagonismo, la loro libertà, i loro ritmi è un’esigenza ineluttabile di un Dio che è Amore . Chi si scandalizza degli errori storici dei cristiani, non ha colto nella sua grandezza la serietà con cui l’Amore di Dio prende la storia umana.

Per vedere meglio

L’importante è che il nuovo atteggiamento e la rivisitazione storica messi in atto dalle richieste di perdono della Chiesa, per non rimanere nelle sterili buone intenzioni, servano a promuovere "una maggiore sensibilità nell’individuare in quali ambiti oggi ci viene chiesta una conversione, una trasformazione dei nostri criteri di comportamento e di scelta" (9).

Coloro che sanno quanto contano, per l’evoluzione ecclesiale o della società, certe doti come la sensibilità per cogliere il nuovo, le qualità politiche e organizzative, la capacità di trattativa, trovare idee forti e saperle formulare in modo accessibile al maggior numero, creare correnti d’opinione che facciano cultura cambiando le mentalità, e via discorrendo, spesso sono diffidenti nei riguardi dei "consigli spirituali". Temono che essi diano, sì, consolazione ed evitino conflitti, ma contemporaneamente addormentino le coscienze senza produrre i cambiamenti necessari.

Eppure bisogna riconoscere che, quanto più saremo capaci di acquistare "la mente di Cristo" (1 Cor 2, 16) – vedendo cioè le cose, per quanto è possibile in questa vita, come Dio le vede –, più luce avremo per promuovere delle riforme che vadano nella direzione giusta e quindi, come conseguenza, siano efficaci, facciano felice la gente e durino nel tempo.

Per questo abbiamo bisogno di santi, di mistici, di grandi carismatici che, seguendo non calcoli utilitaristici ma lasciandosi ispirare dagli impulsi dello Spirito, suscitino nuove idee ed una vita evangelica che rispondano a quanto c’è di positivo nelle esigenze del nostro tempo. Alle volte sembra che essi non vedano le limitazioni umane di tanti membri della Chiesa e puntino dritto al centro del Vangelo, trascinandoci dietro con una fede incrollabile nell’amore di Dio e nella possibilità umana di accoglierlo. Chi ha la fortuna di trovare queste persone, impara da loro come amare la Chiesa e come essere Chiesa viva oggi, facendo vedere ed emergere "cose vecchie e nuove" dal tesoro di verità e di vita che essa contiene al di là degli errori umani e dei limiti storici.

D’altronde è tale la complessità del mondo moderno, la vastità e varietà dei problemi da affrontare, che l’individuo isolato facilmente si smarrisce, rimane schiacciato o finisce per rifugiarsi in un intimismo senza incidenza nella trasformazione del mondo. Ci vuole la comunità. Non una comunità qualunque, ma con caratteristiche così profondamente evangeliche ed all’altezza dei tempi, che provochi un sovrappiù d’intelligenza. Più che dei geni solitari abbiamo bisogno di "comunità conoscitive" che formino persone affinate nell’intellectus amoris (J. Sobrino), più ancora, nell’intellectus unitatis (K. Hemmerle). Se com’è stato detto, più che il tempo dei santi individuali viviamo un’epoca che esige una santità di popolo che manifesti la presenza del Santo in mezzo a noi (C. Lubich), oggi abbiamo bisogno di comunità dove vivendo "a mo’ della Trinità", cresca una teologia nuova, sempre più rispondente ai tempi: "Teologia di Gesù, non del Gesù storico, s’intende, ma di Lui risorto che vive oggi nella comunità cristiana che attua l’unità" (10).

Ci sono due cose sulle quale non ci si può illudere. La prima è che anche le riforme più genuinamente evangeliche sono segnate dalla storia, e contengono degli aspetti culturali che in seguito dovranno essere superati. La seconda, che niente può assicurarci la garanzia assoluta di dare sempre i passi e di attuare i cambiamenti più adeguati. Però è certo che l’imparare a pensare in unità, il dialogo fatto dall’ascolto di tutti (anche di coloro che non la pensano come noi) nella più profonda comunione, aumenta enormemente le possibilità di avere quella luce e quella capacità operativa che vengono dallo Spirito.

Enrique Cambón

Note

  1. Cf una documentazione completa in N. SARALE, Giovanni Paolo II. Non temiamo la verità. Le colpe degli uomini e della Chiesa, Piemme, Casale Monferrato, 1995; L. ACCATOLI, Quando il Papa chiede perdono. Tutti i mea culpa di Giovanni Paolo II, Leonardo/Mondadori, Milano 1997.
  2. Cfr. diversi esempi nella prima parte di L. ACCATOLI, cit., pp. 15 ss.
  3. GIOVANNI PAOLO II, udienza 1 settembre 1999, e Tertio millennio adveniente, 35.
  4. A. MONTICONE, La richiesta di perdono, premessa di conversione, in "Jesus", ottobre 1999, p. 11
  5. J. COMBLIN, Vocação para a liberdade, Paulus, San Paolo 1998, p. 6.
  6. La descrizione di alcune di queste iniziative attraverso i secoli, possono trovarsi ad es. in V. PAGLIA, Storia dei poveri in Occidente. Indigenza e carità, Rizzoli, Milano 1994.
  7. P. FORESI, Problematica d’oggi nella Chiesa, Città Nuova, Roma 1970, pp. 88-89.
  8. Cfr. riferimenti utili ad es. in: GS 3, 10, 11, 22, 26, 30, 34, 36, 38, 41, 57, 76, 86. Basta osservare la quantità di questi testi per capire quale importanza ha voluto dare il Concilio a questo tema.
  9. C. CASALONE, La Chiesa chiede perdono, in "Aggiornamenti sociali" 1 (1998) p. 57.
  10. P. CODA, Alcune riflessioni sul conoscere teologico nella prospettiva del carisma dell’unità, in "Nuova Umanità" 122 (1999) p. 198 (tutto l’articolo offre degli elementi fondamentali di questo conoscere "nuovo", "trinitario").