Gesù è sempre presente nella Chiesa e continua ad operare oggi come durante la sua vita terrena
Gesù in mezzo in prospettiva ecclesiale
Di Gérard Rossé
Un punto centrale della spiritualità del Movimento dei focolari è la promessa di Gesù: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro" (Mt 18,20). Non si tratta di un testo piuttosto marginale nel Nuovo Testamento? Potrebbe infatti sorprendere che questa parola così isolata e unica nella sua espressione, poiché si legge soltanto nel vangelo di Matteo e non altrove in tutta la Rivelazione neotestamentaria abbia acquisito unimportanza così fondamentale nella spiritualità dei focolari. Non rischia di essere compresa come una parola di consolazione per piccoli e intimi gruppi di devoti?
Per incominciare, osserviamo che la parola afferma una verità che emerge in tutto il Nuovo Testamento, e cioè la certezza che la risurrezione, anche se ha tolto Gesù dalla condizione terrena di questo mondo, non lo ha affatto allontanato dallumanità: Gesù, anche se in modo invisibile, è sempre e più che mai presente.
Quando Luca, nel racconto dellascensione, scrive che "una nube sottrasse Gesù risorto allo sguardo dei discepoli" (cf At 1,9), egli non vuole dire che Gesù è ormai lontano dal mondo delle umane creature, ma significare un modo nuovo di presenza: Gesù è vicino a noi nella trascendenza (vedi il simbolismo biblico della nube).
Anche laffermazione che Cristo è seduto alla destra di Dio vuole indicare che egli anche nella sua realtà di uomo ha rivestito prerogative divine, egli, glorificato, è diventato Signore del cosmo, e non vuole dire che egli si trova ormai in un Cielo lontano.
Gesù risorto dunque non si assenta dal nostro mondo, ma ha ricevuto un modo nuovo di vicinanza più immediata e totalmente diversa dal tipo di prossimità esteriore che egli, come ogni essere umano, aveva durante la sua esistenza terrena. La presenza di Gesù al mondo, alla storia, in mezzo a noi, è quindi una dimensione essenziale della risurrezione. Gesù è ormai presente in profondità ad ogni essere, non essendo più limitato dal tempo e dallo spazio.
Una presenza personalizzata
Tuttavia quando Matteo parla della presenza di Gesù in mezzo a credenti radunati nel suo nome, egli non pensa tanto a questa presenza universale e generale di Gesù nel creato. Matteo pensa ad una presenza, diciamo, "personalizzata". Gesù è presente come crocifisso risorto, e cioè in quellapertura di donazione totale vissuta in croce dove egli, con tutta la sua umanità si apre allazione divinizzante del Padre, e si dona totalmente a noi comunicandoci il suo Spirito, lo Spirito santo. La presenza del Risorto non è dunque una presenza statica, un essere-qua e basta, ma è una presenza relazionale, una presenza che bussa alla porta del cuore "e se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20); è una presenza che raduna e unifica e che di conseguenza aspetta la nostra risposta, cioè la fede. In breve, la prossimità di Cristo raduna "i figli di Dio dispersi" per fare di essi la Chiesa.
La Chiesa è fatta Una da Cristo; lunità è la sua costituzione profonda che la identifica a Cristo, poiché ne è il suo Corpo. Come si legge in un agrafon (cioè in una parola di Gesù non contenuta nei vangeli): "Quando siamo in tre, il nostro radunarsi fa in qualche modo una Chiesa che è il Corpo perfetto di Cristo e la sua nitidissima immagine" (citato da A. Resch, Agrapha..., Leipzig 1906
2).A questo punto diventa chiaro che la parola di Matteo sulla presenza di Gesù in mezzo a due o tre radunati nel suo nome, non può essere considerata come una verità quasi marginale o del tutto particolare della Rivelazione. Prendere Mt 18,20 come punto della spiritualità significa aver centrato un elemento fondamentale della vita cristiana: la sua dimensione cristica ed ecclesiale. E dunque coscientizzare i credenti sul valore della presenza di Cristo anche fra due o tre, non significa creare gruppuscoli chiusi ma ridare al comportamento cristiano lorientamento fondamentale allunità, e scoprire in ciò lidentità profonda della Chiesa da poter attuare anche tra due o tre.
In continuazione con lAlleanza
Un approccio più dettagliato al testo di Matteo non farà che confermare quanto appena detto. Prendiamo in considerazione lespressione: "Io sono in mezzo a...".
La formula "io sono in mezzo" o "JHWH è con qualcuno", nellAntico Testamento, è tipica della terminologia dellalleanza per esprimere la relazione di JHWH col popolo eletto. Dunque in particolare lespressione "io sono in mezzo a voi" appartiene al formulario dellalleanza nella sua caratteristica centrale di presenza di Dio in mezzo ad Israele. Presenza divina che protegge, guida, consola e punisce; presenza che si manifesta nella Tenda nel deserto durante lEsodo, poi nel tempio di Gerusalemme, anche se i profeti e gli autori sacri avvertono di non limitare la presenza divina al santuario. Una formula tipica dellalleanza condensa bene questa realtà: "Vivrò in mezzo a voi, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Lv 26,12). Il popolo appartiene a Dio e gode della Sua vicinanza.
Non insisto; questi pochi accenni bastano per situare Mt 18,20 nella grande linea della teologia dellalleanza, nella quale Israele ha sperimentato e interpretato il suo rapporto con Dio.
Nellottica matteana, il Cristo presente in mezzo è lEmmanuele, cioè il Dio-con-noi, come levangelista stesso traduce la parola ebraica. Matteo non vuole dire che Gesù risorto prende il posto di Dio, di JHWH; ma per levangelista Gesù risorto realizza al meglio la presenza di Dio in mezzo alla Chiesa, al popolo escatologico di Dio. Con la risurrezione di Gesù la promessa della presenza definitiva di Dio, la promessa dellalleanza definitiva dunque, trova il suo compimento. La presenza di JHWH in mezzo ad Israele raggiunge la sua finalità nella permanente presenza del Risorto in mezzo al suo popolo chiamato ad includere lintera umanità, e non solo Israele (cf. Mt 28,19s). E quindi vivere con Gesù in mezzo è dare attualità fin dora al disegno finale di Dio sullintera storia e umanità.
La teologia dellAlleanza
Cerchiamo di approfondire ancora di più la teologia dellalleanza.
Un punto costante: i profeti e gli autori sacri non si stancano di ricordare al popolo eletto che JHWH ha liniziativa del Patto concluso al Sinai con Israele. JHWH si è rivelato come il Dio entrato nella storia, il Dio che ha liberato gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto, lha scelto tra le nazioni e costituito come Suo popolo concludendo unalleanza con esso. Dio dunque ha fatto il primo passo, ha salvato Israele e continua a prendersi cura di esso. JHWH è il Dio dIsraele, e per questo può esigere lobbedienza, comunicare la sua Legge, espressione della Sua volontà. Lintervento storico di Dio a favore dIsraele richiede come risposta un comportamento del popolo nei confronti di JHWH che può soltanto essere di obbedienza liberamente accettata. Allora Israele gode della presenza salvifica di Dio in mezzo ad esso.
La stessa logica si ritrova in Mt 18,20 che parla della presenza dellEmmanuele nella comunità cristiana. Gesù Cristo è allorigine del popolo escatologico di Dio, cioè della Chiesa; egli è "il Salvatore del suo Corpo, la Chiesa" (Ef 5,23); e lungo i secoli egli non cessa, mediante la Parola del Vangelo, di convocare e di radunare "i figli di Dio dispersi" (Gv 11,52). Questo popolo non è più determinato dalla razza né legato ad un luogo, ma tutti sono uniti tra di loro perché direttamente inseriti nel Cristo presente, mediante i sacramenti del battesimo e delleucaristia in particolare.
Rispondere con la vita
A questa iniziativa del Crocifisso risorto, i credenti sono chiamati a rispondere con un comportamento adeguato, a vivere cioè il suo comandamento che è lamore reciproco, e quindi ad attuare nella loro esistenza ciò che già sono diventati per grazia: lunità come rivelazione della volontà ultima e definitiva del Padre.
Anche Mt 18,20 segue la logica dellalleanza e pone in stretta relazione la presenza di Cristo e il comportamento etico dei cristiani decisamente orientato alla comunione, alla fratellanza. Lamore reciproco, cioè lesigenza di Gesù, rende efficace, rende manifesto la presenza ecclesiale del Risorto nellesistenza quotidiana.
È dunque ovvio che Mt 18,20 non può essere considerato come un corpo estraneo nel contesto parenetico del cap.18. La menzione di Gesù in mezzo appare al contrario del tutto evidente in un contesto di esortazioni alla fratellanza: lobbligo di prendersi cura dei più deboli, di non scandalizzare, di correggere il fratello come sforzo di convincere un fratello che pecca, di pregare in unità, e soprattutto lesigenza del perdono senza limiti. Per Matteo è essenziale salvaguardare la fratellanza come espressione della Chiesa costituita dalla presenza di Cristo.
È vero che nel testo di Mt 18,20 viene utilizzato il verbo "essere radunati, essere riuniti" (e non "essere uniti") che potrebbe originariamente evocare le assemblee cristiane. È infatti in particolare nel radunarsi per leucaristia e per il pasto fraterno (lAgape) che i cristiani prendevano coscienza dellessere Chiesa (ricordiamo lespressione paolina: "la Chiesa di Dio che è a Corinto"), e sperimentavano in modo intenso la realtà della Chiesa come popolo convocato (la Qehal JHWH), e quindi la presenza del Risorto che, come nei pasti con i discepoli (soprattutto nellultima cena) continua a svolgere la funzione di padrone di casa che dà se stesso alla comunità radunata, la costituisce nella sua identità di Chiesa, la rende partecipe del Suo cammino pasquale verso il Padre.
Tuttavia, nel vangelo di Matteo, la parola di Gesù non è più limitata se mai lo era alla sola assemblea liturgica. Lo conferma il contesto parenetico, che dà importanza al comportamento etico come risposta dei credenti che rende efficace la presenza di Cristo; lo conferma inoltre lespressione "dove due o tre", sapendo che in quellepoca tutta la comunità (e non soltanto due o tre) partecipava allassemblea. E dunque, già diventati Uno in Cristo per il battesimo, anche due o tre credenti possono vivere nellamore reciproco ciò che costituisce la loro identità profonda: lessere Chiesa.
Rendere visibile
la presenza del Risorto
Il punto della spiritualità che riguarda Gesù in mezzo esprime insomma una verità fondamentale dellessere cristiano di ognuno, ed era necessario farlo emergere dalloblio: il prendere coscienza dellidentità profonda del battezzato (lessere Uno in Cristo: cf. Gal 3,27s) e il conseguente invito a viverla con un comportamento orientato allunità di comunione che sola rende "visibile" dinanzi al mondo la presenza del Risorto.
Matteo ha formulato nella categoria dellalleanza una costante essenziale dellinsegnamento del Nuovo Testamento.
Infatti linsegnamento di Paolo non è diverso anche se formulato in una categoria più "mistica", quando parla della comunità come il Corpo di Cristo nel contesto eucaristico ( cf. 1 Cor 10,17). I Padri della Chiesa diranno: "La partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che prendiamo" (S. Leone).
Paolo scrive: "Voi siete il Corpo di Cristo" soprattutto in contesto di esortazione (1 Cor 12,27). Con questa affermazione lapostolo vuole ricordare ai lettori la loro identità vera: il loro volto cristico quando vivono uniti. Per Paolo, la comunità cristiana, unita dallamore reciproco, è sulla terra il luogo attuale dove Gesù risorto emerge nella storia, si rende "visibile". E non a caso lapostolo, come Matteo, parla di tale realtà proprio in contesto parenetico, in esortazioni alla vita dunità. Perché la comunità è il Corpo di Cristo, lamore riceve un deciso orientamento allunità nella distinzione; le divisioni e rivalità interne sono uno scandalo: viene infatti alterata lidentità profonda che è Cristo presente. "Cristo è stato forse diviso?", rimprovera lapostolo ai Corinzi separati in partiti. Un Cristo frammentato è infatti irriconoscibile.
Giovanni, da parte sua, nel quarto vangelo, sceglie il genere "discorso di addio" per inculcare la stessa convinzione ai suoi lettori. In questo genere letterario il morente è circondato dalla sua famiglia, formula promesse e fa conoscere la sua ultima volontà. Così, nel lungo discorso dellultima cena, Gesù risponde al problema della sua partenza. In questo discorso di addio è già Gesù risorto che si rivolge a tutta la Chiesa delle generazioni future, quelle che non hanno conosciuto il Gesù storico. E Gesù promette "Non vi lascio orfani, ritornerò tra voi", dà il comandamento nuovo dellamore reciproco, prega il Padre per lunità. Tutto il discorso tende a far prendere coscienza alla Chiesa della sua identità, del mistero divino che la costituisce: tra le Persone divine e la comunità dei discepoli circola la medesima Vita: lAgape divina che li unisce e li inserisce, nel Figlio, nel Seno del Padre. Le generazioni future non sono quindi sfavorite rispetto alla generazione di discepoli che ha conosciuto il Gesù storico, anzi! Gesù è sempre presente nella Chiesa e continua ad operare ciò che fece durante la sua vita terrena.
La vocazione cristiana
è vivere lunità
Questo breve sguardo agli scritti principali del Nuovo Testamento può servire da conclusione. In essi emerge ovunque questa convinzione fondamentale: la presenza di Cristo è costitutiva della Chiesa e il conseguente comportamento cristiano deve tendere a vivere lunità, a vivere cioè fin dora la realtà divina che labita. Lecclesiologia di Matteo lo esprime nella categoria dellalleanza e ciò ha il vantaggio di inserire la novità cristiana anche due o tre uniti godono della presenza del Risorto nella continuità della storia della salvezza, come attuazione anticipata del suo compimento.
Gérard Rossé