Il corpo sfigurato di Gesù

di Renato Chiera

 

Un sacerdote immerso nel submondo dei ragazzi di strada di Rio di Janeiro: «Se qui c’è tanto dolore, se qui è venerdì santo, ci sarà pure tanta vita e risurrezione».

Sono Renato Chiera, da 28 anni lavoro in Brasile nella famigerata Baixada fluminense, periferia di Rio de Janeiro. Qui da 20 anni porto avanti una Casa do menor che accoglie i ragazzi di strada, candidati alla droga, alla prostituzione, al narcotraffico, alla morte precoce; ragazzi spesso violenti, perché nessuno li ha mai amati.

Se sono ancora prete e se sono contento di esserlo, è perché ho affondato le radici nella spiritualità dell’unità. La scelta di Dio al primo posto e non del sacerdozio, la scoperta di lui Amore che ci chiama ad essere famiglia e soprattutto l’incontro con Gesù abbandonato sono stati e restano i cardini della mia vita.

A dire il vero all’inizio non capivo perché Chiara ha scelto Gesù abbandonato per suo Sposo. «Come ci si può innamorare di uno sposo così...?», mi domandavo. Poi ho scoperto poco per volta che Gesù abbandonato è il Dio-Uomo che dà la vita, amando fino alla fine senza aspettarsi niente. Se resisto nella Baixada che gronda sangue e ha i mille volti della sofferenza, è perché vi ho scoperto il suo volto, gli ho dato un nome: Gesù crocifisso che grida l’abbandono, e lo amo. E vedo rinascere la Vita.

Prima di tutto Gesù abbandonato ha ricostruito la mia persona. I miei problemi non risolti, che mi facevano tanto soffrire, le mie mancanze che mi bloccavano, i distacchi dolorosi e infine la malattia, sono diventati poco per volta volti di lui da amare, facendomi sperimentare una vita nuo-va e feconda.

Poi Gesù abbandonato ha messo radici profonde nelle mie scelte pastorali. Una notte ritornando da Rio mi fermo sul ponte sopra di un’autostrada: guardo le luci della Baixada, sento i suoi rumori e le grida di dolore. Provo ripugnanza e impotenza; tutti i giorni sempre la stessa cosa: tante morti senza giustificazione, tanta sofferenza senza soluzioni. E ho voglia di scappare.

Improvvisamente capisco che questo dolore immane è un grande Cristo sfigurato e sofferente che grida il suo abbandono in questa Baixada, abbandonata da tutti, sembra anche da Dio. Una luce: se c’è tanto dolore, se qui è venerdì santo, ci sarà pure tanta vita e risurrezione. E questo corpo enorme di Gesù che grida mi attrae. «Non ho altro sposo sulla terra». E accelero la macchina e vado ad incontrarlo nella stazione dove trovo tanti ragazzi e ragazzine che si drogano e fanno sesso. Essi corrono al mio incontro, abbracciandomi... Seduto in mezzo a loro, che puzzano per l’esalazione acre della “colla”, mi sento in adorazione di lui in questa piazza adesso per me divenuta Chiesa.

Ritorno a casa e un adolescente mi aspetta e mi porge un’arma: «Prendi questa pistola. Non voglio più rubare e uccidere». Un’altra sera, appena rientrato, mi avvisano che hanno sparato a Pirata, un ragazzo accolto in casa mentre la polizia gli stava dando la caccia. Era cambiato: si era battezzato e si preparava per la prima comunione. Vedo il sangue davanti alla porta e corro all’ospedale. Lo trovo disteso su una pietra gelida con un foro di rivoltella in testa. Non ho potuto salvarlo!

Riconosco Gesù abbandonato in un ragazzo che mi cerca e mi spiega che sono già stati uccisi 36 suoi compagni in un solo mese nella mia parrocchia e mi mostra una lista di altri 40 “segnati per morire”. «Il primo nome della lista è il mio – dice. Io non voglio morire. E voi non fate niente?». È Gesù che non vuole morire e mi chiede aiuto e io ho paura di rischiare. Devo essere spugna per assorbire quello che non é buono e amabile.

Vado in Italia perché da tempo non sto bene. Il medico mi dice con fermezza: «In queste condizioni non puoi più tornare in Brasile». È come se Dio mi dicesse: «Renato, mettiti da parte, perché la Casa do menor è mia, non tua. Finora eri tu il protagonista. Adesso lascia che sia io a portarla avanti». E la Casa do menor migliora e molto durante la mia assenza.

Accolgo Gesù abbandonato tutte le volte che devo seppellire dei ragazzi che sono tornati alla strada e alla droga dopo aver ricevuto tanto amore. A che serve amare? Ma io non devo cambiare nessuno, devo solo continuare ad amare.

Un anno fa in un sol giorno ho seppellito nove ragazzi uccisi dalla polizia. Devo assorbire un dolore senza spiegazioni e offrirlo, come Maria desolata ai piedi della Croce. Accanto alla mamma di Douglas, ragazzo di 11 anni ammazzato mentre giocava, c’è il nostro vescovo, inginocchiato, con la tonaca macchiata di sangue: é l’immagine di Gesù sporco di sangue per salvarci e darci speranza.

L’11 marzo scorso sono stato di nuovo minacciato di sequestro e morte. Resto tranquillo: con la grazia di Dio sono pronto a dare la vita per davvero. Mentre celebro la messa capisco meglio: questo è il mio corpo e il mio sangue... non solo il corpo di Gesù... anche il mio corpo. Ma forse Dio non vuole ancora il mio martirio. Vuole che ogni giorno io dia la vita in piccoli gesti di amore e di perdono e di capacità di ricominciare con ragazzi che non riescono a risorgere nei tempi che noi vorremmo.

Insieme ad un religioso e a membri di una nuova famiglia spirituale che sta nascendo, vado di notte per le strade di Rio o di Fortaleza e incontriamo situazioni sempre più drammatiche di ragazzi che noi vogliamo perché nessuno li vuole. E assistiamo a veri miracoli: giovani che risorgono a vita nuova.

Diventiamo segno e modello di politiche sociali e da molte parti ci chiamano perché abbiamo qualcosa che fa la differenza.

Gesù abbandonato e Gesù risorto sono la stessa cosa e mi viene da chiedere a Dio di accettare meglio le sofferenze, perché da esse nasce sempre più la vera vita.

Renato Chiera