Mettersi al posto dell’altro
di Carlo Malavasi
Come porsi in dialogo con un mondo estraneo e indifferente in una
regione dove al comunismo sono subentrati secolarizzazione e consumismo?
Cogliamo una risposta da questa esperienza.
Parla un parroco dell’Emilia (Italia).
Sono parroco a Carpi in Emilia, dove la gente è laboriosa, ma
“rossa” per tradizione. Qui per decenni si è respirato il distacco – in tanti
era ostilità – nei confronti della Chiesa. La frequenza alla messa è appena del
7%, tanti funerali sono in forma civile.
Oggi
la gente è più benevola verso la religione, ma molto indaffarata nei problemi
quotidiani, nella ricerca del benessere.
Quel
tanto di fede che sopravvive nelle persone è difficile da far emergere: occorre
scavare a lungo per incontrare anche solo quel sentimento religioso naturale
che è in ogni essere umano.
Scavare
come? La spiritualità dell’unità mi ha insegnato una via, per me avvincente. Si
tratta di due atteggiamenti fusi in uno: in ogni situazione difficile
“riconoscere” un volto dell’abbandono di Gesù e mettersi subito ad “amare”.
Ero
in parrocchia da pochi giorni e mi avvisano che in un condominio c’è un
ammalato. Suono il campanello; l’ammalato stesso risponde che non ha tempo per
me. Sono rifiutato! Penso: anche Gesù è stato rifiutato, ma con questo rifiuto
ha salvato il mondo. Mi unisco a lui e nel mio cuore trionfa la gioia…
Quell’ammalato poi è morto fra le braccia della Chiesa.
In
parrocchia c’è un circolo anziani: hanno vissuto un rapporto di rifiuto verso
la Chiesa e le loro case sono chiuse al sacerdote. Faccio tante visite,
guardato con diffidenza. È il mio incontro con Gesù abbandonato, ma io continuo
ad amare, a salutare. Ora amo questo circolo come la parrocchia. Ogni anno per
la “loro” festa di Natale porto un dono. Quando costruiscono la nuova sede chiedo
in parrocchia di dare un aiuto economico, “perché tocca a noi amare per primi”,
come ha fatto Gesù.
Accompagno
la somma con una calda lettera di ringraziamento per il bene che fanno. È letta
con le lacrime agli occhi: l’amore sorprende sempre e le loro case si aprono al
parroco. Adesso nella nuova sede si tiene un gruppo della Parola di vita e
dicono: «Abbiamo bisogno della parrocchia per elevare il tono del nostro stare
insieme».
Sento
spesso queste parole: questa persona è “lontana”; oppure: è “indifferente”!
Queste parole innalzano un muro. Nessuno è lontano dall’amore di Dio, nessuno è
indifferente al bene, al bello, attributi di Dio. Guardo tutte le persone come
“già raggiunte dal suo amore”. Non si tratta ovviamente solo di parole, ma di
mentalità.
Quando
uno mi dice che non prega o non va a messa, che forse non crede, subito io
sottolineo: tu sei onesto, ami la tua famiglia, fai del volontariato: anche tu
vivi il Vangelo! Questo è lo sguardo di Gesù abbandonato su ciascuno di noi:
uno sguardo che penetra il Cielo e ci mostra l’amore infinito di Dio; e ognuno
è già unito a lui.
Queste
parole – non si tratta solo di parole, ma di una vita che non s’improvvisa –
suscitano un grande fascino: le persone si scoprono già “dentro” l’Amore di
Dio. In tanti ho visto iniziare una nuova ricerca di lui, poi conversioni e
conversioni.
Non
vivo da solo quest’esperienza. Ogni settimana ci ritroviamo in un gruppo di
sacerdoti – qualcuno parte alla sei del mattino nel suo giorno di riposo! –:
nessun motivo pastorale, solo fonderci nell’unità, meritare la presenza di Gesù
in mezzo a noi. Sì, Gesù fra noi prima di tutti i riti e di tutte le forme
organizzate.
Per
amarci, ciascuno compie una scelta: dimenticare se stesso, far posto all’altro.
Sapete quanto è difficile morire a se stessi. Il modello è Gesù abbandonato,
libero da se stesso, dal proprio dolore, addirittura dal dubbio di non essere
più unito al Padre. Gesù abbandonato è il Dio della fede pura, che ti libera
dal bisogno di sicurezze, di consenso e di protezioni. Ti dà sempre la forza di
amare.
Gesù
abbandonato è veramente il Dio per l’uomo d’oggi, per il sacerdote d’oggi.
Carlo Malavasi