«Ti
consegno questo crocifisso»
di Dante Sementilli
Anche in ambienti refrattari alla pratica religiosa tradizionale le
persone sono sensibili all’amore disinteressato, riscoprono con gioia il vero
volto di Dio e nasce tra loro la comunità cristiana.Ne
parla questa testimonianza di un parroco del Lazio (Italia) che affonda le sue
radici nell’amore preferenziale per Gesù crocifisso.
Gli inizi difficili
Era
il febbraio del 2001. Venni trasferito in una
parrocchia creata da poco, con la chiesa e la casa ancora in costruzione. I
sacerdoti della mia regione che vivono la spiritualità dell’unità
mi avevano offerto alcune semplici indicazioni, che per me furono essenziali e
volli metterle in atto alla lettera.
Innanzi
tutto, non essendo pronta la canonica, mi invitarono a
procurarmi una casa in affitto. Ne trovai una piccola e nei primi venti giorni
pensai a renderla decorosa pur nella sua semplicità. Non venne mai nessun
parrocchiano a trovarmi, ma l’importante per me era partire dall’unità con i
fratelli sacerdoti.
Tante
circostanze avverse – la chiesa non ancora in funzione, il mio trasferimento
che poteva sembrare una retrocessione, una situazione difficile in cui mi trovavo in quel periodo, il non avere per sette mesi un
posto per celebrare messa, neppure di domenica – avrebbero potuto farmi
rinchiudere in me stesso. Grazie all’ideale dell’unità e alla scelta di Gesù crocifisso e abbandonato non fu così. Mi fu di luce la frase
di un amico sacerdote: «Non analizzare, perché Gesù
abbandonato va amato per se stesso e subito, uscendo
da se stessi, per servire gli altri».
Il
vescovo nel chiedermi il trasferimento mi aveva presentato la parrocchia come
molto difficile, con tutti i problemi tipici delle periferie: quel “quartiere
Di Vittorio” era tristemente famoso sulle pagine dei giornali locali.
Cominciai
a visitare le fa-miglie e iniziavo ogni giornata con una scelta, sempre
rinnovata, di vedere Gesù in ogni persona e amarla senza riserve. Appena entravo in una casa ed ero invitato a sedermi, ero
pronto ad ascoltare con la mente libera da pregiudizi. Anche nel mio aspetto
esteriore cercavo di esprimere serenità ed evitavo espressioni di sorpresa per
qualche apprezzamento sgradevole che a volte veniva
manifestato nei riguardi dei preti e della Chiesa.
Non
ho mai sentito in vita mia tante confidenze né mai conosciuto situazioni familiari e personali così varie e dolorose, ma
anche sincere e con tanti particolari come si fa con amici fidati di vecchia
data. Ad un certo punto la gente si passava la voce e la mia visita era
desiderata, visto che da venti anni nessun prete aveva visitato e benedetto le
loro case e le loro famiglie.
Alla
sera, tornando a casa con la testa piena dei loro racconti, con impresse nel
cuore le loro facce, portandomi dentro il loro
desiderio profondo di una vita diversa anche se in situazioni ormai compromesse
per sempre, come potevo ripiegarmi su me stesso?
Furono
quattro mesi pieni di luce, ma anche, per altre circostanze, di buio.
Mentre
in diocesi fervevano i preparativi per la visita del Papa, io, nel mio piccolo,
entravo nel cuore dei problemi vivi della gente,
portando con me nella borsetta il crocifisso che il vescovo mi aveva consegnato
nel saluto di addio alle parrocchie che lasciavo. Mi aveva rivolto queste
testuali parole: «Ti consegno questo crocifisso che
Papa Giovanni Paolo II mi ha regalato: dono a te la croce che il Papa ha dato a
me». Questa croce non l’ho mai più tolta dalla borsa che portavo e porto ancora durante le visite: ha fatto con me il giro di
tutte le famiglie, mi ha aiutato a ricordarmi di lui, l’abbandonato, da amare
in ogni circostanza.
L’inaugurazione della chiesa
Nell’ottobre
del 2001 si inaugura la chiesa, anche se ancora
incompleta. In quella occasione come tante altre volte
mi sono chiesto come impostare l’attività pastorale, perché tutte le precedenti
esperienze non mi davano luce nel nuovo contesto.
Mi
sentivo sotto esame e anche le persone del quartiere, non conoscendosi, erano –
sebbene bonariamente – diffidenti tra di loro. Come
costruire una comunità in questo ambiente?
Cominciai
accogliendo con molta serenità tutti quelli che mi avvicinavano, mettendoli a
loro agio e ascoltando con attenzione i loro consigli e le loro
richieste.
Qualcuno
prese coraggio: «Io non ven-go solo per la messa, che tanto è uguale
dappertutto, io vengo per sentire quello che tu dici: mi piace ascoltarti, c’è
qualcosa che m’interessa».
Mi
ricordai del desiderio espresso da Chiara parlando ad un congresso di
seminaristi: «Quando la predica tornerà di moda?».
Al
riguardo tre cose simpatiche:
Ascoltavano
le prediche soprattutto quando partecipavano ai
funerali: unica occasione in cui ancora tutti qui vanno a messa.
Ho
incontrato il loro favore per la semplicità e la chiarezza nel parlare fatto in
stile più di colloquio che di cattedra.
Contrariamente
alle loro abitudini, facevo solo proposte positive di
apertura e di impegno, non ammonizioni o rimproveri.
Lentamente nasce la comunità
Alcune
ragazze iniziano un piccolo coro: si incontrano per
preparare i canti e cominciano a conoscersi. Cresce la stima reciproca e ben
presto ci troviamo a riflettere sulla Parola di Dio. Qualcuna comincia a
chiedere un colloquio personale, a confidarsi, ad esprimere il desiderio di
conoscere di più Gesù, di impegnarsi di più in parrocchia.
Una
signora che lavora nella polizia scopre la possibilità di vivere il Vangelo.
Dapprima è venuta in parrocchia sua mamma, poi anche
la sorella, tutte e due le suscitano la curiosità di conoscere il nostro stile
di vita e finalmente anche lei si avvicina. Facciamo un lungo colloquio e, dopo
aver parlato della difficoltà di vivere uno spirito evangelico nel suo lavoro,
le suggerisco di leggere la rivista Città Nuova che in quei giorni riportava un
articolo interessante su come un poliziotto riusciva a
permeare il suo ambiente di lavoro ispirandosi proprio al Vangelo.
Torna
qualche giorno dopo colpita ma ancora incredula che possa
essere vero il contenuto dell’articolo. Le suggerisco che il segreto è agire a
corpo e le parlo di nuovi modelli di santità nella Chiesa: anche oggi si può
vivere il Vangelo pienamente, ma se lo si fa insieme.
Lei
ci prova ed entusiasma il marito, coinvolge le figlie, qualche amico, fa
esperienza anche nelle difficoltà, si scoraggia, si riprende. Ora lei e il
marito sono aderenti del Movimento dei focolari e la figlia più grande è in
stretto rapporto con esso.
In
parrocchia c’è ormai un gruppo di persone impegnate nel vivere la Parola di Dio
che si riunisce periodicamente per approfondirla e per scambiarsi poi le
esperienze. Dopo due anni e mezzo, una sera eravamo in 25, abbiamo costatato
con sorpresa che prima nessuno si conosceva e che quindi quel nostro ritrovarci
insieme da fratelli aveva tutto il sapore di una chiamata di Dio personale e
comunitaria.
Per
non correre il rischio che il piccolo gruppo si legasse
troppo alla mia persona, d’accordo con un sacerdote che vive una situazione
analoga nella sua parrocchia, abbiamo invitato questi nostri amici a scoprire
la sorgente di quella vita che cominciava ad interessarli e ad attrarli: il
focolare. Nonostante le difficoltà della distanza –
bisognava recarsi a Roma – crescevano in loro l’interesse e la partecipazione.
Visita a Loppiano
Abbiamo
allora organizzato una visita a Loppiano, la
cittadella del Movimento dei focolari vicino a
Firenze, dove la legge degli abitanti è l’amore fraterno. Siamo andati in 60.
Era l’ottobre del 2004.
In
seguito negli incontri mensili, quando ci ritroviamo per meditare la Parola di
Dio e condividere le esperienze di come l’abbiamo vissuta, non siamo stati mai
meno di sessanta persone, fino ad oggi.
In
un venerdì di febbraio, alle 9.00 di sera, di fronte alla mia meraviglia per
quanti avevano superato la difficoltà del freddo gelido di quella notte, una
signora, senza pensarci su due volte, ha esclamato: «Se
fossimo stati rinchiusi in carcere, non saremmo venuti». Voleva dire che
quell’esperienza di convivenza fraterna, basata sul Vangelo, era più attraente che la libertà per un carcerato.
Ormai
certe attività dei focolari, come le Mariapoli e gli incontri per aderenti,
sono un fatto normale per intere famiglie e chi vi partecipa torna sempre con
nuovo slancio per collaborare in parrocchia.
Alcuni piccoli episodi
Mi
sono impegnato dall’inizio a far sì che la messa acquistasse sempre più
l’aspetto di un incontro di famiglia, di fratelli uniti intorno al Padre,
cercando con delicatezza di far superare l’abitudine di quel silenzio assoluto
in chiesa, segno più di individualismo che di
raccoglimento.
Avvicinandosi
il Natale due anni fa, nel dare gli avvisi al termine della messa, dissi: «Oggi
vi chiedo un favore: salutate tutti quelli che non conoscete e non salutate
nessuno di quelli che già conoscete». La reazione: gioia e soddisfazione di
poter rivolgere la parola a chi era seduto vicino
gomito a gomito ma con cui non si aveva il coraggio di rompere il ghiaccio per
un saluto, un augurio che non fosse quello liturgico molto formale.
Ricevo
un biglietto di auguri natalizi da parte di un uomo
maturo negli anni, che ha partecipato fin dall’inizio agli incontri del-la
Parola di vita.
«Dante
carissimo, scrivo queste poche righe per te e ricordo con nostalgia le
letterine di Natale che da piccolo mettevo sotto il
piatto di papà. C’è un libro di Chiara che porta il titolo
Quando Dio interviene. Credo fermamente che sia stato lui a farci
incontrare. Ebbene, da quando ho cominciato a
comprendere ciò che vuoi trasmetterci, il mio modo di vivere è completamente
cambiato sia in famiglia che con gli altri. Ora finalmente so qual è il fine
della vita: portare dentro di me, ovunque e a chiunque, questo fuoco che tu mi
hai acceso. Grazie!».
Un bambino capita per caso nel catechismo di terza elementare; i
genitori sono separati; prima non partecipava mai a messa, poi sentendosi bene
accolto, co-mincia a frequentare, facendosi accompagnare ogni volta dalla
madre; poi una sorpresa: si presenta un giorno con il padre che mi dice: «Mio figlio non fa che
dirmi: – vieni a messa con me…». E non basta, la domenica successiva lo trovo in sagrestia pronto con gli altri bambini per servire la
messa. Mi chiama e mi dice: «Dante, oggi ho portato Marco che non è mai venuto
a messa, perché va sempre alla partita di calcio; oggi ce l’ho
portato io». Anche un bambino sa fare apostolato!
Ma c’è un segreto, una fonte
Dal
dicembre 2002 nella casa parrocchiale sono arrivati due sacerdoti: don Franco,
da poco nominato parroco di un’altra parrocchia in città e, come ospite, don
Natale, sacerdote di 86 anni che per 50 anni è sempre
vissuto da solo e che, lasciato il servizio pastorale, non sapeva come e dove
essere accolto.
La
presenza di don Natale ha fatto capire che il nostro parlare di Vangelo e di amore è cosa concreta ed ha aumentato di molto la stima e
l’affetto di tutti per diversi motivi:
–
è noto che avventura sia oggi accogliere un anziano in casa;
–
tutti sanno che mia madre, della stessa età di questo sacerdote, non vive con
me, ma è ospite in città in una casa di riposo;
–
così il distacco evangelico dagli affetti familiari e la scelta preferenziale della fraternità sacerdotale sono sotto gli
occhi di tutti.
La
nostra casa è aperta ad altri sacerdoti, di altre
nazionalità, ospiti di passaggio, a seminaristi dei Collegi romani per vacanze
o per qualche giorno di riposo. Questa ospitalità è stata
contagiosa, ha aperto il cuore e le tasche dei fedeli. La condivisione
spontanea dei beni è la voce più alta dei nostri bilanci parrocchiale e
personale.
Infatti siamo stati e siamo tuttora testimoni di una straordinaria e
sorprendente esperienza della provvidenza: la nostra vita comune va avanti
ormai da più di tre anni e matematicamente tutti i giorni – e in alcuni giorni
con sovrabbondanza – non manca un dono in cibo, vestiario, denaro, aiuto… Una
sera, alle nove, un bambino ha posto sul tavolo della sagrestia una porzione di
crostata con questo biglietto: «Don Natale è per te; io ho finito di cenare, ho
pensato a te e te ne ho portato un pezzo!».
Non
finiremo mai di ringraziare Dio per la possibilità di vivere insieme nell’amore
reciproco, con Gesù in mezzo a noi. La libertà, la sapienza, la luce, la gioia
non hanno prezzo. Senza di lui tutto è vuoto, con lui tra noi sperimentiamo la pienezza.
Dante Sementilli