Entrare nel mistero di Gesù abbandonato
di
Chiara Lubich
Al cuore della terza tappa
del Congresso ci sono stati due interventi di Chiara Lubich.Il primo risale
all’agosto del 2001, quando ha risposto alle domande di un gruppo di sacerdoti
di Schönstatt desiderosi di conoscere le basi della spiritualità dell’unità. Il
secondo testo è tratto da una conversazione che Chiara rivolse ai focolarini
nel dicembre del 1971 e che in seguito è stato pubblicato nel libro «Il
Grido».*
Gesù crocifisso e Gesù risorto
«Gesù
abbandonato è al centro della spiritualità del Movimento dei focolari. Quale il
legame con Gesù risor-to?»
Gesù
abbandonato ha un legame fortissimo con Gesù risorto. Non solo perché la croce
e la risurrezione sono due facce di un’unica medaglia. Il Vangelo di Giovanni,
infatti, parla della crocifissione come della glorificazione. Ma anche nella
pratica: non esiste un corretto modo di vivere Gesù abbandonato se non si passa
immediatamente alla risurrezione.
Come
si fa? Quando s’incontra un dolore che assomiglia a Lui, un imprevisto o
qualsiasi cosa che fa patire, si dice: «Ecco, sei Tu!». È il suo volto, è Lui.
Lo si abbraccia perciò subito in quel dolore e poi si deve vivere l’attimo
seguente. Perché una spiritualità è una vita, e nella vita tutte le cose sono
legate, per cui non si può vivere un punto della spiritualità senza vivere
anche gli altri. Ora, un altro punto della nostra spiritualità è che, per amare
Dio, bisogna fare la sua volontà nel momento presente.
Non
si può perciò abbracciare Gesù abbandonato in un determinato dolore e stare poi
lì a pensarci su. Bisogna passare all’attimo seguente e amare il fratello o
fare quello che Dio ci chiede in quel momento. Succede allora che il dolore
dell’abbandono si tramuta in gioia, subentra il Risorto, subentrano i doni
dello Spirito, che sono gioia, luce, pazienza, ecc.
Noi
parliamo, in questo passaggio, di un’alchimia che cambia il dolore in amore.
Con un paragone che non è bello, ma rende l’idea, noi dicevamo agli inizi del
Movimento che Gesù abbandonato è come una macchina, nella quale si entra per
uscire Gesù; non si può rimanere nella macchina.
Ci
sono tuttavia persone che non sono in grado di passare subito dal dolore
all’amore, semplicemente perché magari manca qualche elemento fisico oppure c’è
una malattia psichica. Inoltre, le persone chiamate a una vita spirituale
passano certe notti oscure di cui parla san Giovanni della Croce. In questi
casi si dice: “Io abbraccio Gesù abbandonato”, però occorre anche la pazienza
di aspettare che quel periodo passi.
Ma
se noi siamo in momenti normali della vita spirituale, bisogna passare dal
dolore all’amore, perché Gesù abbandonato e il Risorto sono una sola cosa.
Qualche
volta mi chiedono, specie i più giovani: tu dici che bisogna vedere il volto di
Gesù abbandonato in tutti i dolori. Ma c’è proprio il suo volto in tutti i
dolori?
Allora
io ricordo loro questo fatto. Santa Teresina del Bambino Gesù quando,
all’inizio della sua malattia grave, ha avuto uno sbocco di sangue non ha
detto: «Ecco lo sbocco di sangue», ma: «È arrivato lo Sposo».
Ci
sono, in effetti, due verità. C’è quella naturale, umana – era vero che era uno
sbocco di sangue – ma era vero altrettanto che era il volto di Gesù. Perché
Gesù ha assunto tutto l’umano, con tutte le difficoltà, con le nostre fatiche,
le nostre sofferenze. E tutto quello che lui ha assunto l’ha santificato.
Perciò dietro ad ogni sofferenza che io sento o che io vedo in un prossimo o
nelle divisioni fra le Chiese ecc., c’è lui. Non è una fantasia. È la realtà
delle cose vista con gli occhi di Dio. È vero pure che c’è la divisione fra le
Chiese, però quella è la visione umana. Se siamo cristiani abbiamo bisogno di
avere anche la visione divina delle cose.
Quale aiuto per i sacerdoti oggi?
«Sullo
sfondo dell’attuale crisi del ministero ordinato, che cosa vorresti mettere nel
cuore dei sacerdoti oggi?»
Noi
abbiamo avuto sempre fra noi i sacerdoti. Qual è la nostra esperienza? Cosa io
consiglierei quindi a sacerdoti che sono in crisi, per uscire dalla crisi?
Bisogna
che chi è investito del sacerdozio ordinato rafforzi in sé la vita del
sacerdozio regale. Bisogna che il sacerdote migliori il suo essere cristiano,
vivendo con radicalità il Vangelo.
In
un discorso meraviglioso tenuto nel maggio del 1998 al 1° Congresso mondiale
dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità, il card. Ratzinger ha parlato
della storia della Chiesa e delle crisi che si verificano di tanto in tanto
perché la Chiesa, vivendo in mezzo al mondo, assorbe le questioni del mondo e
cala l’ardore della vita evangelica.
Per
venire incontro a queste crisi, lo Spirito Santo, cominciando ancora da san
Basilio, da sant’Agostino, da san Benedetto, lungo i secoli suscita dei
Movimenti e nei Movimenti fa risbocciare il Vangelo integrale, rinnovando così
la vita della Chiesa sia nei laici che nei sacerdoti, nei vescovi e nei Papi.
La linea d’azione dello Spirito Santo per uscire dalla crisi è dunque quella di
rimettere in moto la vita del Vangelo.
Ora,
il Vangelo dice, per esempio, che chi non odia padre, madre, moglie, figli,
fratelli, sorelle e persino la propria anima, non può essere discepolo di Gesù
(cf Lc 14, 26).
Cosa
significa? Che tutto va posposto a Dio, anche il sacerdozio. Il loro ideale non
deve essere il sacerdozio ma Dio. Loro sono sacerdoti per fare la sua volontà,
ma l’ideale è Dio.
Bisogna
tornare ad essere cristiani autentici e allora le crisi dei sacerdoti
spariranno.
Occorre
dimenticare se stessi, fare la volontà di Dio, fare quello che si deve fare, ma
non essere attaccato all’essere prete: amare e lavorare, senza pensare a se
stessi.
Fra
le altre cose, ne viene di conseguenza che si supera ogni forma di
clericalismo. Un prete che fosse visto male da tutti, ma che, avendo scelto
Dio, non si preoccupa e si mette ad amare tutti, finisce per attirare tutti.
I
Movimenti, siccome nascono dall’azione dello Spirito Santo, il quale vuole far
riemergere sempre di nuovo la vita evangelica, sono per i sacerdoti un aiuto
per rimettere in auge il sacerdozio regale e quindi l’essere cristiani.
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«Ho
un solo sposo»
Gesù
nell’abbandono appare solo uomo: mai quindi è stato così vicino all’uomo come
in questo momento e mai perciò l’ha amato tanto. E, nello stesso tempo, mai è
stato così vicino al Padre1; è per amor suo che muore, e muore in quel modo.
Se
dunque nell’amore di Dio e del prossimo sono «la legge e i profeti» (Mt 7, 12),
Gesù qui ha adempiuto pienamente ogni desiderio e comando di Dio.
Gesù
abbandonato è dunque la via diritta alla santità perché provoca l’unità col
Santo.
Bastava
dunque guardare a Lui, vivere come Lui ogni momento e avremmo fatto tutto. Si è
fatto così. Ogni cosa si è semplificata.
Ci
si sforzava in pratica di vivere il nulla di noi perché Egli vivesse in noi. E
anche il nulla di noi perché Egli trionfasse fra noi.
Un
giorno del 1949, su questo nulla, alla santa Comunione, amata e riscoperta come
vincolo d’unità, Igino Giordani2 ed io abbiamo chiesto a Gesù di unire, come
Lui sapeva, le nostre anime.
E
si è sperimentato – per una grazia speciale – cosa significava essere una
cellula viva del Corpo mistico di Cristo: era essere Gesù, e come tali in seno
al Padre.
E
«Abbà, Padre!» (Rm 8, 15; Gal 4, 6) è fiorito sulle nostre labbra.
La
religione, in quel momento, ci è apparsa nuova. Ci è sembrato che essa
consistesse nel mettersi accanto a Gesù, nostro fratello, nell’amare il Padre.
Così
è iniziato un periodo luminoso, particolare, in cui, fra il resto, ci è
sembrato che Dio volesse farci intuire qualche suo disegno sul nostro
Movimento.
Abbiamo
capito meglio anche molte verità della fede, e in particolare chi era per gli uomini
e per il creato Gesù abbandonato, che tutto aveva ricapitolato in sé.
L’esperienza
è stata così forte da farci pensare che la vita sarebbe stata sempre così: luce
e Cielo.
La
realtà, invece, che ne è seguita, è stata quella di ogni giorno.
Nel
brusco risveglio di ritrovarci – per così dire – in terra, uno solo ci ha dato
forza di vivere ancora: Gesù abbandonato, presente nel mondo che dovevamo
amare, quel mondo che è tale proprio perché non è Cielo.
E
in una seconda scelta, più cosciente, più consapevole di Colui che ci aveva
chiamato a seguirlo, è sgorgata dal mio animo la nota decisione:
«Ho
un solo sposo sulla terra:
Gesù abbandonato:
non ho altro Dio fuori di Lui.
In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità
e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò
il suo è mio e null’altro.
E
suo è il Dolore universale
e quindi mio.
Andrò
per il mondo cercandolo
in ogni attimo della mia vita.
Ciò
che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente.
Mio il dolore delle anime accanto
(è quello il mio Gesù).
Mio tutto ciò che non è pace,
gaudio, bello, amabile, sereno...,
in una parola: ciò che non è Paradiso.
Poiché anch’io ho il mio Paradiso,
ma è quello nel cuore dello Sposo mio.
Non ne conosco altri.
Così per gli anni che mi rimangono:
assetata di dolori, di angosce,
di disperazioni, di malinconie,
di distacchi, di esilio, di abbandoni,
di strazi, di ... tutto ciò che è Lui
e Lui è il Peccato, l’Inferno3.
Così
prosciugherò l’acqua
della tribolazione in molti cuori vicini
e – per la comunione con lo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò
come Fuoco
che consuma ciò che ha da cadere
e lascia in piedi solo la Verità.
Ma
occorre esser come Lui:
esser Lui
nel momento presente della vita».
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01) A Caterina da Siena, dopo una grave tentazione,
vinta con supremo sforzo di volontà, apparve Gesù crocifisso: «Figlia mia
Caterina, le disse, vedi quanto ho patito per te? Non ti rincresca, dunque, di
patire per me...». Ma lei: «Signore mio, dov’eri quando il mio cuore era
tribolato da tante tentazioni?». E il Signore: «Stavo nel tuo cuore» (G.
Joergensen, Santa Caterina da Siena, Torino 1941, p. 49.
02) Igino Giordani, deputato, scrittore,
giornalista, è ora considerato nel Movimento “confondatore” per l’apporto da
lui dato in vari modi al Movimento.
03) Ho scritto che «Lui è il Peccato,
l’Inferno». Anche il teologo ortodosso O. Clément afferma: «Attraverso la sua
umiliazione, la sua passione, la sua morte di maledetto, il Cristo lascia
entrare in sé tutto l’inferno, tutta la morte della condizione decaduta, fino
all’accusa terribile dell’ateismo: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai
abbandonato?”» (Riflessioni sull’uomo, Milano 19752, p. 147).
Dice P. Evdokimov: «Lo
Spirito Santo non lega più il Figlio al Padre e il Figlio costata la rottura,
l’abbandono; ed è la solitudine all’interno della Trinità, la sofferenza di
Dio, l’inferno di Dio...» (La conoscenza di Dio secondo la tradizione
orientale, Roma 1969, p. 109).
Per H.U. von Balthasar
Gesù abbandonato è e non è l’Inferno: «(...) la tenebra dello stato peccaminoso
viene certamente esperita da Gesù, in una maniera che non può essere identica
con quella che i peccatori (che odiano Dio) avrebbero dovuto esperire (...), è
tuttavia più profonda e più oscura di questa, perché essa si svolge all’interno
della profondità della relazione delle ipostasi divine, inimmaginabile a ogni
creatura. Si può quindi sostenere altrettanto bene che l’abbandono di Dio in
Gesù è il contrario dell’inferno, e che è esattamente l’inferno (Lutero, Calvino),
addirittura la sua estrema intensità» (Teodrammatica, IV, Milano 1986,
p. 313).
Scrive J. Ratzinger: «Il
grido di Gesù in croce è designato da Enst Käsermann come una preghiera
scaturente dall’inferno, come il rilancio del primo comandamento nel deserto
dell’apparente assenza di Dio» (Introduzione al cristianesimo, Brescia
1969, p. 241).
Per il Patriarca
ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli «Gesù, il Verbo incarnato, ha percorso
la distanza più grande che l’umanità perduta possa percorrere. “Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?”. Distanza infinita, supremo strazio, prodigio
dell’amore. Tra Dio e Dio, tra il Padre e il Figlio incarnato, si frappone la
nostra disperazione con la quale Gesù è solidale fino in fondo. L’assenza di
Dio è precisamente l’inferno» (Commento alla “Via Crucis” al Colosseo,
1° aprile 1994).