Notizie dal mondo dei seminari n. 31

 

Seminari e spiritualità di comunione

 

Nel rapporto fra seminari diocesani e Movimenti ecclesiali, dal Concilio ad oggi, si possono distinguere varie fasi. Se nell’immediato post-concilio, i contatti erano facilitati, semplicemente perché, in molti posti, l’istituzione “seminario” aveva  perduto i suoi chiari contorni e si era alla ricerca di nuove vie, a partire dagli anni ’70, con la pubblicazione della Ratio fundamentalis e poi delle Ratio nazionali per la formazione al ministero sacerdotale, è iniziata una progressiva riorganizzazione che ha portato all’elaborazione di itinerari educativi articolati e ben definiti.

Sembrava, in questa fase, che il rapporto dei seminaristi coi Movimenti ecclesiali ed i loro carismi rappresentasse un fattore di incertezza e di disturbo o comunque un accessorio, rispetto alla formazione in seminario. E questo forse non tanto per motivi arbitrari, quanto piuttosto per l’intrinseca dinamica dell’evoluzione in atto.

Va tuttavia tenuto presente, che la Pastores dabo vobis, in seguito alle accurate riflessioni del Sinodo dei vescovi del’90, stabilì che i giovani che hanno ricevuto la loro formazione di base nelle aggregazioni e nei Movimenti non andavano sradicati dal loro ambiente d’origine e che “la partecipazione del seminarista e del presbitero diocesano a particolari spiritualità o aggregazioni è certamente, in se stessa, un fattore benefico di crescita e di fraternità sacerdotale”. Allo stesso tempo esortò questi giovani ad affidarsi “con schietta fiducia” alla guida dei formatori e a prendere coscienza che occorre essere aperti e disponibili verso tutti (cf. n. 68).

È proprio su questa linea che attualmente sembra aprirsi una terza fase. Ora che si è delineato con nuova chiarezza l’identità dei seminari e che, dall’altra parte, il cammino dei Movimenti giunge sempre più alla “maturità ecclesiale” (Giovanni Paolo II, 30.5.’98), si assiste a segnali di una crescente apertura reciproca, stimolata dall’ansia di entrare in una maggiore logica di comunione. Ne sono testimonianza, fra l’altro, gli incontri che Chiara Lubich, per desiderio dei rispettivi vescovi e rettori, ha avuto in queste settimane, con le comunità dei seminari di Praga, di Roma e, ultimamente, di Trento. Tre momenti che hanno avuto ciascuno un caratteristico profilo – riferiamo, sulle prossime pagine, su quello con il Seminario Romano Maggiore – ma che si sono contraddistinti, tutti ugualmente, per una nota gioiosa. Un segnale, ci sembra, all’alba di questo terzo millennio, di un futuro pieno di speranza, che valorizza, nel rispetto e nella comunione reciproca, tutti quei doni di cui il Signore ha arricchito la sua Chiesa.

 

 

Chiara Lubich al Seminario romano

 

In uno dei più antichi seminari

 

22 maggio 2001. Per invito del Rettore, don Pietro Maria Fragnelli, Chiara Lubich visita il Pontificio Seminario Romano Maggiore ed offre ai 169 seminaristi e 19 formatori la sua testimonianza di fede. Il luogo e la circostanza sono significativi.

Fondato nel 1565, subito dopo il Concilio di Trento, il Seminario Romano è uno dei primi al mondo ed è da sempre un luogo di grande prestigio e tradizione. Ed è il seminario di Roma, e pertanto del Papa, il quale lo visita annualmente nella Festa della “Madonna della fiducia”.

L’incontro con Chiara Lubich fa da conclusione di un ciclo di conferenze incentrate sulla fede, che ha contraddistinto quest’anno di formazione e si è articolato in tre tappe: la fede come fiducia (sulla figura di Papa Giovanni), la trasmissione della fede (tema svolto dal Card. Ratzinger) e, questa volta, l’operosità della fede.

 

«Un’assemblea di seminaristi»

 

Quando Chiara entra nella sala, parte un applauso. Un piccolo coro esegue con maestria l’antica antifona Alma Redemptoris Mater, a più voci.

Poi il benvenuto del Rettore, che afferma: «L’accogliamo come un segno della cura che il Padre ha nei confronti di ciascuno di noi». E prosegue: «Sentiamo che è un privilegio poter incontrare testimoni della fede che forse a tanti nostri amici non è consentito di poter incontrare così di persona. Vorremmo idealmente allargare questa comunità oggi, perché davvero possa essere un’assemblea di seminaristi che incontrano Chiara Lubich».

L’incontro comincia con una lettura biblica: la Preghiera di Gesù per l’unità (Gv 17).

Chiara apre il suo intervento con alcune parole a braccio. Sin dalle prime battute, si crea così un’aria di famiglia, d’immediatezza e semplicità.

Dovrei parlare dell’operosità della fede – spiega – ma forse più giustamente il titolo di questa mia testimonianza dovrebbe essere “l’operosità di un carisma”.

Presenta quindi i principali punti della spiritualità dell’unità, con un particolare accento sulla presenza di “Gesù in mezzo” (cf. Mt 18,20) e su “Gesù abbandonato” (cf. Mc 15, 34). Ripetutamente il suo racconto si rifà ad una parola, un fatto, legato al rapporto del Movimento dei Focolari coi Papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II.

 

L’operosità di un carisma

 

Chiara riferisce anche degli effetti di questa corrente di comunione che ha preso il via 20 anni prima del Concilio Vaticano II: la diffusione in 183 nazioni, milioni di persone di tutte le vocazioni, compresi i seminaristi che “fanno dei seminari – come dice oggi il Papa – case di comunione”.

Segue un cenno alle numerose opere ed azioni sociali fioriti dal Movimento dei Focolari, ed ai quattro grandi dialoghi inaugurati dal Concilio, che coinvolgono cristiani di 350 Chiese, seguaci di altre religioni, persone di convinzioni diverse.

Ed ancora, al lavoro della “Scuola Abbà” (il centro studi del Movimento), fino all’incidenza della spiritualità dell’unità nel sociale. Dio che si è posto fra noi – dice Chiara – comincia a rispondere anche alle domande drammatiche dell’umanità.

Con un rinnovato cenno al Papa, si conclude questo racconto che i seminaristi hanno seguito con grande interesse: «Spero di aver aiutato a capire l’importanza della

spiritualità dell’unità o spiritualità di comunione, i cui due principali cardini, l’unità e Gesù abbandonato, sono oggi così autorevolmente confermati dalla Lettera Novo millennio ineunte dove il Santo Padre, universalizzandone l’applicazione, chiama tutto il popolo di Dio, dai cardinali e

vescovi all’ultimo fedele, a farla propria».

 

Comunione a tutto campo

 

Inizia un dialogo nel quale Chiara fa intervenire anche focolarini e focolarine che sono venuti con lei.

Un educatore chiede del rapporto fra la spiritualità dell’unità e quella di Charles de Foucauld. Chiara coglie l’occasione per parlare della comunione fra i Movimenti ecclesiali e fra carismi antichi e nuovi, che cresce costantemente da quando Giovanni Paolo II, nella Pentecoste del ’98, ha incontrato in Piazza san Pietro i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità.

“Ma come coniugare bene le esigenze dei Movimenti, proiettati nella dimensione della Chiesa universale, e le esigenze territoriali delle parrocchie?”, domanda un seminarista. Anche qui – spiega Chiara – si stanno facendo molti passi avanti. E porta esempi concreti.

“È difficile che i sacerdoti vivano la comunione tra loro e con i parrocchiani”, osserva un seminarista. Chiara accenna all’esperienza collaudata dei focolari e nuclei sacerdotali e fa poi intervenire un sacerdote focolarino. Viene in rilievo la vita di famiglia che nasce, sin dal seminario, quando si vive una spiritualità di comunione che affonda le sue radici nell’amore a Gesù crocifisso ed abbandonato.

 

Bisogna che il mondo incontri un cristianesimo “bello”

 

“Quando si incontra una persona col sorriso, con molta probabilità è un focolarino”, fa notare un altro seminarista, egli stesso sorridente. “Ma ora che ho letto il libro Il grido [il recente volume della Lubich su Gesù crocifisso ed abbandonato nella storia del Movimento dei Focolari; n.d.r.] mi rendo conto della profondità che c’è alla base di questa gioia”. “Noi siamo nati per essere dispensatori di gioia al mondo”, ribadisce Chiara. Bisogna che le persone “conoscano un cristianesimo bello, non un cristianesimo che allontana”.

“E l’unità nel sapere, nella formazione?”, domanda il Rettore. Un focolarino studioso spiega allora come è nata la Scuola Abbà (il centro studi del Movimento), come lavora, come, dopo essere partita dalla teologia e filosofia, ora arriva anche alle altre scienze e riesce ad individuare, nell’attuale crisi della cultura, quei semi di positivo che fanno sperare in un grande futuro.

Quando uno studente chiede dell’esperienza del Movimento nell’oltrecortina, Chiara fa intervenire una focolarina che è stata tra le pioniere in quelle terre e che racconta le sorprendenti vicende del Movimento sotto il dominio comunista: anche in quelle circostanze, l’amore, e con esso il Vangelo, si sono fatti strada.

 

Il prete diocesano oggi

 

Per concludere, il Rettore formula ancora una domanda: “Come vede il prete diocesano, che cosa si aspetta da lui?”.

Con semplicità, Chiara Lubich ricorre ancora una volta all’esperienza e formula alcune convinzioni (cf. riquadro) che vengono accolte con un prolungato applauso.

 

 

“Parlando ai sacerdoti del Movimento [dei focolari], spesse volte mi è venuto da dire: a me piacerebbe essere un parroco, perché avrei affidato un territorio circoscritto. In una parrocchia, si possono subito diffondere le idee e la spiritualità di comunione che il Papa propone nella Novo millennio ineunte, attraverso la predicazione, la catechesi, la scuola. Si potrebbe fare della parrocchia un esempio di unità per tutta la chiesa”.

“Si tratta di mettere a base di tutti i doveri l’amore. Oggi il sacerdote è portato non di rado all’attivismo – e si rovina, perché lavora, lavora e poi non ha la pace dentro – e qualche volta arriva la tentazione, perché è solo. Se, invece, vive nella comunione, sperimenta il clima di famiglia soprannaturale. Lì c’è Gesù, c’è il Risorto.”

 

 

Parla il Rettore

 

Riportiamo qui l’intervista che il Rettore del Seminario Romano, Mons. Pietro Maria Fragnelli, ha rilasciato a “Città Nuova” (n. 11 / 2001) in seguito all’incontro con Chiara Lubich.

 

«Dopo il grande incontro dei movimenti con il papa, nella veglia di Pentecoste ’98, si è intensificata in seminario l’esigenza di dialogare con i loro carismi. E abbiamo voluto incominciare con Chiara perché lei può lievitare un dialogo fecondo tra istituzione e movimenti e può aiutarci a impostarlo bene».

 

Seminario e nuovi carismi in rapporto. Una bella novità.

«Rientra nel cammino di conoscenza della chiesa. Lo scopo è prendere coscienza della varietà e della ricchezza dei carismi. È maturata l’esigenza di conoscere l’“unico corpo” e corresponsabilizzare la comunità ecclesiale alla vita del seminario. Perché formare preti diocesani non è una preoccupazione esclusiva dell’équipe educativa, ma di tutta la Chiesa in tutte le sue componenti. È importante che l’intera comunità ecclesiale aiuti i futuri preti, che vivranno in un territorio  preciso, ad avere un respiro universale nella missionarietà. Alcuni seminaristi hanno preso parte ad incontri del Rinnovamento nello Spirito, degli Scout, dell’Azione cattolica, proprio per stimolare il dialogo con le diverse realtà ecclesiali».

 

Così avete deciso di invitare Chiara.

«L’invito a Chiara ha anche un motivo spirituale, legato al cammino formativo di quest’anno: per testimoniare la maturazione nella fede, abbiamo voluto mettere i giovani a contatto con persone adulte nella fede. In questo senso, la figura di Chiara poteva dare con la sua vita (pensiamo solo a tutte le persone da lei coinvolte) e con la sua parola una preziosa testimonianza. Poteva essere un grande segno di fiducia.

«Chiara appare come l’adulto custode della memoria collettiva (di un secolo segnato da morte e distruzione, ma anche da risposte d’amore), e soprattutto come l’adulto nella fede che è custode della speranza».

 

Quali indicazioni l’hanno colpita?

«La sua risposta finale, per esempio, su come vede il prete diocesano, è per noi un’eredità da sviluppare. Abbiamo bisogno di capire come la comunità ecclesiale ci vede e ci desidera, facendo tesoro del dono di ciascun Movimento senza necessariamente farne parte.

«Con le sue parole, Chiara ha svolto un lavoro impagabile in termini di personalizzazione della fede. Ha colpito quell’idea del carisma quale dono di luce e di grazia che si traduce subito in vita. Se a questo si unisce una sapienza ecclesiologica così chiara e matura… Nel panorama della chiesa, Chiara è modello di come si entra, tutti insieme, in una logica di comunione.

«I doni carismatici e gerarchici devono essere sempre in dialogo nella formazione dei sacerdoti. La dimensione istituzionale viene vivificata dalla dimensione carismatica e questa trova piena identità nel rapporto con l’istituzione. Da qui, una Chiesa che può cogliere l’azione dello Spirito nel mondo, protesa nel dialogo con tutti, valorizzando anche i semi del Verbo nelle grandi religioni».