Il tenace impegno di alcuni sacerdoti ungheresi
per tessere la comunione ecclesiale nella società post-comunista

 

Parrocchie vive nonostante tutto

 

a cura di Ferenc Tomka

 

Alcuni sacerdoti ungheresi, leggendo la "Novo millennio ineunte", hanno steso attraverso uno di loro queste interessanti riflessioni sulla storia della loro Chiesa. Essi, grazie alla spiritualità di comunione del Movimento dei focolari, sono riusciti a mantenere viva la fede durante i tempi duri della persecuzione ed ora stanno suscitando Comunità parrocchiali vive nonostante l’ere­dita ateista lasciata dal comunismo e l’inva­denza sempre più capillare del consumismo.

 

Per noi è stata veramente una gioia e una conferma leggere la Novo Millennio ineunte, perché essa mette in rilievo degli aspetti che sono stati fondamentali per la nostra vita, sia durante la persecuzione comunista, sia adesso che ci troviamo sem­pre più immersi nel consumismo.

Ne ricordo alcuni: la tensione alla santità (nn. 30-34, 38), una profonda spiritualità di comunione (nn. 43-46), l’unita all’interno della nostra Chiesa e con gli altri cristiani (n. 48), la nostra vita radicata nel mistero pasquale, in Gesù abbandonato e risorto (nn. 25-28).

Questi pilastri della vita cristiana, già accennati nel Concilio Vaticano II e in altri documenti come, per esempio, la Christifide­les laici e la Salvifici doloris, noi li avevamo assimilati durante il tempo della persecuzio­ne attraverso l’incontro provvidenziale con la spiritualità del Movimento dei focolari.

I focolarini non solo ce li facevano cono­scere, ma ci aiutavano a metterli in pratica, nonostante — ma potremmo dire anche grazie — alle situazioni particolarmente difficili in cui ci trovavamo.

Possiamo testimoniare, perciò, con la nostra esperienza che è proprio vero quanto afferma il Papa nella sua Lettera: che la spiritualità di comunione, basata sull’ amore a Gesù crocifisso-abbandonato e risorto, è il futuro della Chiesa.

 

Al tempo della persecuzione

Il regime comunista sapeva che la Comunità è per se stessa una grande forza. Per que­sto ostacolava con ogni mezzo l’esistenza di qualsiasi Comunità ecclesiale ed ha sciolto gli ordini religiosi e tutte le associazioni laicali o sacerdotali. Ai sacerdoti era lecito incontrar­si solo nei convegni ufficiali organizzati dai vescovi o dal movimento "Preti per la pace", perché controllati dal regime. Ogni altro incontro, specialmente se avveniva con una certa regolarità, poteva essere punito col car­cere. Molti religiosi, dopo la dissoluzione dei loro Ordini, sono stati incarcerati per questo motivo. E molti altri sacerdoti e religiosi in tali circostanze sono rimasti completamente isolati.

Il Movimento dei focolari, usando sempre molta prudenza, ci comunicava la sua spiritualità e noi sperimentavamo una tale luce e gioia nel trovarci insieme da farci pensare che nessuna polizia avrebbe potuto ostacolar­ci. Ovviamente i nostri incontri erano sempre segreti come facevano anche altri Movimen­ti ed Ordini religiosi. Ma, mentre questi sono stati scoperti più volte dalla polizia segreta, noi siamo passati quasi inosservati, forse perché ci incontravamo mescolandoci con i laici, con le loro famiglie durante i fine setti­mana o nelle vacanze.

In questo periodo particolarmente difficile la nostra vita di comunione — che ci faceva sperimentare la presenza di Gesù tra noi sacerdoti e fra noi e i laici (Mt 18, 20) — ci dava un sostegno forte. E mentre anche negli incontri ecclesiali ufficiali spesso si avvertiva un certo pessimismo e tanti sacerdoti cerca­vano rifugio nei Paesi occidentali, noi aveva­mo la certezza che il futuro sarebbe stato migliore e siamo rimasti al nostro posto.

Per anni i nostri incontri a molti sembra­vano non solo un rischio troppo grande — e forse lo erano — ma anche un lusso. Spesso ci chiedevano come poteva un sacerdote, con tante cose da fare, trovare ogni settimana un giorno intero libero da trascorrere insieme ad altri. Poi, però, col passare del tempo scopri­vano sempre più i frutti di questa vita di comunione.

Ai nostri incontri invitavamo altri sacerdo­ti, anche alcuni che attraversavano profonde crisi spirituali. Tanti di questi hanno ritrovato la pace, rimanendo fedeli alla loro vocazione.

 

Oggi è ancora più importante

Ora quei tempi tragici sono passati, ma ne sono sopraggiunti altri sotto certi aspetti più difficili: al comunismo, infatti, è subentrata la secolarizzazione con l’attrattiva allettante del consumismo; e se prima i sacerdoti erano perseguitati, ora spesso sono emarginati.

Predicare le beatitudini evangeliche e costruire un’autentica Comunità cristiana è un compito particolarmente laborioso. Per riuscirvi non basta predicare, bisogna mostrare un modello concreto. Notiamo che il nostro stile di vita, basato sulla comunione che il Vangelo richiede nel quotidiano, riesce ancora oggi ad impressionare tante persone. Vari vescovi e superiori di seminario c’invi­tano a farlo conoscere agli altri. Non è raro che sacerdoti e seminaristi, che stanno attra­versando un periodo difficile, riescano a superarlo convivendo per un certo tempo nelle nostre case.

Oggi non è più proibito organizzare incon­tri e noi lo facciamo regolarmente, offrendo ai sacerdoti la possibilità di ritrovarsi tra loro in piccoli o in grandi gruppi. Per esempio, dopo le feste natalizie, diamo la possibilità di riposarsi in un clima di comunione fraterna. Nell’ultimo di questi incontri un giovane sacerdote ci ha scritto: «Mi ha toccato la franchezza e amicizia fra di voi. Non avevo mai avuto la possibilità di vedere dei sacer­doti che si ascoltano cosi profondamente. Quest’incontro mi ha ridato tanta speranza per la mia vita. Vorrei far parte anch’io della vostra Comunità».

Da anni ci sentiamo responsabili per seminaristi, perché sono il futuro della nostra Chiesa. Li visitiamo regolarmente nei semi­nari e per loro organizziamo incontri estivi, dove cerchiamo di mostrare con la nostra vita la bellezza di una spiritualità di comunione. Essi osservano con interesse come ci rappor­tiamo tra noi e con i parrocchiani. Anche in queste occasioni ci arrivano echi di questo tipo: «Ho ritrovato la bellezza della mia vocazione: voglio vivere il sacerdozio come lo vivete voi».

Oggi i responsabili dei seminari sono molto contenti delle nostre visite e dei nostri incontri, perché sentono la necessità di offri­re ai seminaristi la possibilità non solo di conoscere, ma anche di sperimentare la comunione.

 

Cosi costruiamo

le Comunità parrocchiali

Può sembrare strano, ma la persecuzione comunista in qualche modo consolidava l’u­nita dei cristiani convinti e le parrocchie, anche se più povere di membri, erano più unite. Dopo la caduta del comunismo l’indi­vidualismo e la "cultura" consumista stanno sgretolando le Comunità ecclesiali ancora esistenti. Oggi la domanda che più spesso si pone da noi nel campo pastorale è come tra­sformare la parrocchia in Comunità cristiana.

La spiritualità di comunione, vissuta secondo lo stile del Movimento dei focolari, ha costituito da sempre la base fondamentale della nostra attività pastorale: invitavamo i cristiani a vivere insieme l’essenza del Van­gelo: l’amore fraterno. Per noi oggi è di grande consolazione leggere nella Novo millennio ineunte queste parole: «Spiritualità della comunione significa capacità di sentire il fra­tello di fede nell’unita profonda del Corpo mistico, dunque come uno che mi appartiene, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, ...per vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’ altro, ...respingendo le tentazioni egoistiche, le diffidenze, le gelo­sie» (n. 43).

E se tutto questo è difficile, il Papa ci mostra il "volto dolente": Gesù crocifisso e abbandonato (nn. 25-27). Egli, che ha porta­to tutti i dolori e tutti i peccati dell’ umanità, ci dà l’esempio e la forza per amare sempre l'altro.

Con questo "stile" nacquero da noi delle belle Comunità nelle città e nei villaggi. Abbiamo esperienze interessanti al riguardo, dove spesso tutto e cominciato con l'unità fra due sacerdoti impegnati a vivere cosi, in modo che Gesù fosse presente in mezzo a loro. E questa loro unità ha trasformato len­tamente la parrocchia in Comunità viva.

Alcuni di noi vivono in quartieri nuovi, dove prima della svolta politica non si poteva costituire una parrocchia, nè costruire una chiesa. Qui è cresciuta per anni una popola­zione giovane educata all’ateismo. E proprio in questi ambienti abbiamo sperimentato in modo speciale la forza della spiritualità di comunione.

All’inizio della costituzione di nuove par­rocchie in questi quartieri i parrocchiani erano pochissimi e per lo più anziani. Pian piano anche i giovani si sono avvicinati, attratti dal nostro stile di vita. Il numero dei parrocchiani ha cominciato a crescere rapi­damente e abbiamo assistito anche a conver­sioni grosse e profonde.

La Conferenza episcopale d’Ungheria nel 1999 ha introdotto il catecumenato, perché dopo la svolta politica tanta gente, che prima si diceva atea, chiedeva il battesimo o altri sacramenti. Le parrocchie animate dai Movi­menti ecclesiali hanno avuto un ruolo decisi­vo nell’introduzione del catecumenato. Cer­cando di vivere una spiritualità di comunio­ne, non solo suscitano molte conversioni, ma sono capaci di accogliere i catecumeni e di portarli fino alla maturità di una vita vera­mente cristiana.

Anche nei villaggi più piccoli, dove è più difficile operare una svolta da uno stile di vita individualista ad uno Comunitario, con la spiritualità del Movimento dei focolari — introducendo la Parola vissuta in Comunità e lo scambio delle esperienze sulla stessa —abbiamo potuto creare piccole Comunità vive. Con questo metodo siamo riusciti a por­tare a buon termine un’esperienza di catecu­menato anche fra gli zingari.

Alcune parrocchie nostre e altre, portate avanti da Movimenti ecclesiali, sono additate oggi come "modelli" di pastorale Comunita­ria. Molti chiedono qual e il nostro "segreto". Agenti di pastorale — sacerdoti, seminaristi e laici — spesso vengono a visitarci per cono­scere come si fa a trasmettere in maniera pra­tica e viva una spiritualità di comunione. In molti incontri pastorali siamo invitati a pre­sentare la nostra esperienza.

 

 

II nostro ecumenismo

La popolazione ungherese fino agli anni 80’ per il 70% era battezzata nella Chiesa cattolica, per il 23% nelle Chiese protestanti e altri pochi in quella ortodossa. il comuni­smo applicava il suo metodo di divide et impera anche in campo ecumenico, frenando ogni sviluppo, anzi cercando di creare ten­sioni fra le Chiese.

Dopo la svolta le Comunità cristiane e i loro responsabili hanno fatto dei passi in avanti, ma anche da noi — come dice il Papa — c’è «ancora tanto cammino da fare».

Il Papa nella Novo millennio ineunte ci ripete l’invito, già formulato dal Concilio, «di promuovere la comunione nel delicato ambito dell’impegno ecumenico» (n. 48). In tutti questi anni, vivendo la spiritualità del Movimento, era cresciuto in noi l’anelito verso l’unità e il bisogno di stabilire rapporti con tutti i fratelli cristiani.

Nel maggio scorso abbiamo organizzato un incontro ecumenico per sacerdoti e pasto­ri su come possiamo portare avanti l’unita dei cristiani. Durante la preparazione ci siamo resi conto che quasi tutti i sacerdoti del Movimento dei focolari, che vivono in terri­tori "misti", hanno contatti costruttivi con i pastori del posto e s’incontrano regolarmente per colloqui e preghiere. Un fatto questo non facile e, perciò, un po’ raro in Ungheria. Molti di questi pastori e alcuni sacerdoti ortodossi hanno accettato t’invito a quest’in­contro organizzato da noi, per cercare insie­me le vie dell’unità, attraverso un ecumeni­smo basato sull’impegno di vivere più inten­samente il Vangelo: un ecumenismo della vita. È stato questo il primo incontro nazio­nale con la partecipazione di un gran numero di pastori di diverse Chiese.

 

Gesù abbandonato e la risurrezione

Abbiamo accennato sopra alla spiritualità di comunione e ai suoi frutti nella nostra vita e nella vita della Chiesa ungherese. Non pos­siamo però omettere che il fondamento della comunione è sempre l’amore a Gesù croci­fisso e abbandonato.

Quest’amore — che è al centro della vita del focolare — è stato ed è fondamentale non solo per la nostra vita personale, ma anche per la fecondità nell’evangelizzazione.

L’amore all’Abbandonato ha dato forza a tanti sacerdoti nel sopportare la persecuzione dello stato comunista e, a volte, anche l’in­comprensione di confratelli e di alcuni supe­riori. Sotto la pressione dello Stato, che si adombrava nel vedere delle Comunità cristia­ne vive, più volte siamo stati trasferiti dalle parrocchie dove era rifiorita la vita in posti lontani, dove le Comunità erano spente. Abbiamo capito che anche questo in fondo era provvidenziale, perché ci permetteva di ravvivare il cristianesimo in altri luoghi dove spontaneamente non saremmo andati.

L’ amore a Gesù nel suo abbandono ci ha spinti a creare la Comunità in ogni ambiente e nelle situazioni più difficili, ovunque la Provvidenza ci metteva.

Un’ultima cosa. Nonostante i buoni pro­positi e la Luce che proviene da una spiritualità di comunione, tante volte abbiamo speri­mentato le difficoltà nel viverla tra noi. L’a­more a Gesù crocifisso e abbandonato, rinno­vato ogni mattino al nostro risveglio, ci ha permesso in tutti questi anni di superare le difficoltà provenienti dalle diversità di carat­tere e di vedute o anche dagli sbagli com­messi da noi o dagli altri. Possiamo testimo­niare che chiedersi perdono e ricominciare a vivere in piena comunione è stato sempre motivo di gioia e di un’unità nuova e più profonda tra noi, e ha dato maggiore credibi­lità alla nostra attività pastorale.

 

a cura di Ferenc Tomka