Un approfondimento nel solco della Novo millennio ineunte

Gesù crocifisso e abbandonato:

radice della Chiesa-comunione

di Chiara Lubich

Parlando ad un gruppo di vescovi cattolici nel Centro Mariapoli di Castelgandolfo, Chiara Lubich ha trattato questo tema che, per i suoi molteplici riferimenti alla "Novo millennio ineunte", ne costituisce un signifi­cativo commento basato sull'esperienza.

Perché l’aggettivo "abbandonato"?

È mio compito parlare loro sul tema: "Alle radici della Chiesa-comunione: Gesù croci­fisso e abbandonato, chiave dell’unità.(...)

Prima d'addentrarmi nella specificità di questo tema, vorrei rispondere all'ipotetica domanda che qualcuno potrebbe farsi: come mai un nuovo aggettivo per Gesù, quello di "abbandonato", aggiunto a quello consueto di "crocifisso"? E come mai se ne parla tanto nel Movimento?

Hans Urs von Balthasar spiega che, quan­do lo Spirito Santo manda un carisma sulla terra, è come se s'aprisse nel Cielo della Chiesa, per la prima volta, una finestrella, attraverso la quale ci viene rivelata una verità nuova, pur contenuta nel patrimonio della fede1.

Ecco: attraverso la finestrella aperta dallo Spirito Santo col carisma dell'unità, si è intravisto — per quanto e stato possibile a noi creature umane — qualcosa del mistero che si nasconde nel grido di Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34).

Gesù. "abbandonato" perciò con tutto ciò che questo nome significa: prova abissale del Figlio di Dio per l'abbandono del Padre, che Giovanni Paolo II, nel capitolo "Volto dolen­te", della lettera Novo millennio ineunte, definisce «l'aspetto più paradossale del suo mistero (...). Mistero nel mistero, davanti al quale l'essere umano non può che prostrarsi in adorazione» (n. 25).

Gesù "abbandonato" anche però, per ciò che le seguenti sue parole manifestano: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum» (Lc 23, 46), e cioè fiducia sconfinata di Lui nel Padre.

Il Santo Padre spiega: «Non finiremo mai di indagare l'abisso di tale mistero. È tutta l'asprezza di questo paradosso che emerge nel (suo) grido di dolore, apparentemente disperato (...). È possibile immaginare uno strazio più grande, un'oscurità più densa? In realtà, l'angoscioso `perché' rivolto al Padre con le parole iniziali del Salmo 22, pur con­servando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell'intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme (...) la sofferenza e la confidenza» (n. 25).

Nel n. 26, poi, il Papa aggiunge: «La tra­dizione teologica non ha evitato di chiedersi come potesse, Gesù, vivere insieme l'unione profonda col Padre, di sua natura fonte di gioia e di beatitudine, e l'agonia fino al grido dell'abbandono. La compresenza di queste due dimensioni apparentemente inconciliabi­li è in realtà radicata nella profondità inson­dabile dell'unione ipostatica».

La lezione più alta dell'amore

Ma quale il motivo di tanto dolore e di tanta confidenza in Gesù abbandonato?

Lo esprime bene san Giovanni della Croce: «(Gesù) proprio mentre ne era oppresso, compì l'opera piu meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di mira­coli e di prodigi, opera che consiste nell'aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano»2. E noi aggiungiamo: è d'aver riconciliato gli uomini fra loro.

Per chi poi è chiamato a realizzare l'unità, come nel nostro caso, a concorrere cioè a realizzare il Testamento di Gesù, Egli abban­donato, che si riabbandona al Padre, è la rive­lazione di Colui che può dirsi espressione di ogni disunità, ma pure modello di come si può ricomporre ogni disunità, "porta" quindi, "chiave" dell' unita.

E a proposito di Gesù abbandonato, per quanto ancora questo mistero tocca noi, nell’introduzione di un mio libro scritto recente­mente e intitolato Il grido, si può leggere:

«L'argomento che mi sono proposta di svolgere è per me, come pure per i membri del Movimento dei Focolari, di un'importan­za capitale, di un fascino particolare.

Dover parlare di Colui che, nell'unica vita data a noi da Dio, un giorno, un preciso gior­no, diverso per ciascuno, ci ha chiamato a seguirlo, a donarci a Lui.

Si capisce, allora, come tutto ciò che vor­rei dire vorrebbe essere un canto...».

Sì, un canto, perché Gesù abbandonato stato Colui che ha spiegato ed ha aiutato noi a risolvere tutti i  problemi che abbiamo potuto incontrare nella vita, ma soprattutto le disunità, le divisioni, le contrapposizioni, le lacerazioni, i traumi, le disarmonie che si potevano presentare in noi e in tutto il mondo.

Le spiegazioni dei teologi

Di Lui poi e del suo grande mistero non sono rari teologi che hanno cercato di da me una spiegazione, come abbiamo fatto noi, piccoli certo, ma chiamati a vivere tanto vici­no a Lui, anzi a vivere di Lui.

Noi, ad esempio, abbiamo sempre pensato che Gesù nell'abbandono, almeno come uomo, avesse avuto la terribile impressione che la Santissima Trinità, di cui era la secon­da divina Persona, quasi s'incrinasse.

Forse — cosi pensiamo — il Padre, vedendo Gesù obbediente fino al punto d'essere pron­to a portare tutto il peso dei peccati dell'umanità intera, e con ciò a rigenerare i suoi figli, a donargli una "nuova creazione" (cf 2 Cor 5,17), lo ha visto cosi simile a sé, ugua­le a sé, quasi un altro Padre, da distinguerlo da sé.

Di qui un abbandono reale per l'umanità di Gesù, perché Dio la lascia nel suo stato senza intervenire. Abbandono irreale invece per la sua divinità, perché Gesù, essendo Dio, è Uno col Padre e con lo Spirito Santo e non può dividersi; semmai può distinguersi. Ma questo non è più dolore: e amore.

Infatti, J. Maritain scrive: «La sofferenza esiste in Dio in modo infinitamente più vero di quanto esista la sofferenza in noi, ma senza alcuna imperfezione, poiché in Dio essa fa assoluta unità con l'amore»3.

Per quanto riguarda i teologi, diversi si sono cimentati nell'ardua impresa di dare una spiegazione al mistero di Gesù abbando­nato.

Scrive S. Bulgakov, leggendo in profondità il mistero dell'abbandono di Gesù: «Il calice del Getsemani (...) continua a essere bevuto anche sul Golgota, quando la divina Giustizia (...) raggiunge il culmine col suo abbandono (...) davanti alla morte: Perché mi hai abbandonato?' La stessa inseparabilità della Trinità Santissima sembra spezzarsi, il Figlio rimane solo e con questo terrificante sacrificio di Dio la salvezza del mondo giun­ge al "tutto a compiuto"»4.

E pure Giovanni Paolo II ha un parere simile, se nella Salvifici doloris scrive: «Que­ste parole sull'abbandono nascono sul piano dell'inseparabile unione del Figlio col Padre, e nascono perché il Padre "fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Lc 53, 6)»5.

Chiave e porta dell'unita

Ora però, considerato l'immenso dolore e l'eroico e confidente riabbandonarsi al Padre da parte di Gesù, vediamoLo un po' come "chiave", come "porta" dell'unita.

Egli è tale anzitutto per noi e fra noi cri­stiani della nostra Chiesa cattolica.

Noi sappiamo che la Chiesa non è lei se non è crocifissa: «La passione del Signore, capo della Chiesa, continua nelle sue mem­bra, nel suo mistico corpo, la Chiesa. Voi lo sapete — ha detto Paolo VI — questa è la sto­ria della Chiesa, e non soltanto storia passa­ta, ma, in non poche regioni del mondo, sto­ria presente»6.

Se poi pensiamo non solo alla Chiesa come porzione di umanità circoscritta al suo aspetto istituzionale, ma a quella distesa su tutta la terra, allora le sue croci vengono a coincidere con quelle dell'umanità intera.

La Chiesa:

commisurata da tutta l’umanità

La Chiesa e commisurata non solo dal numero dei cattolici, ma da tutti gli uomini, perché Gesù ha versato il suo sangue per ognuno.

Secondo san Tommaso «tutti gli uomini (...) sono in qualche modo membri di Cristo e perciò la Chiesa (...) e costituita da tutti gli uomini che vanno dal principio del mondo fino alla fine»7.

Ed è anzitutto questa Chiesa, ampia come tutto il mondo, che appare un grande Gesù abbandonato da amare, a cui dedicarsi per portarvi il rimedio possibile.

Dei suoi vari volti se ne vede subito uno che copre tutta la terra: è l'infinito fraziona­mento, a volte violento, di quella fraternità universale, che e iscritta nel DNA di ogni persona e che Cristo è venuto in terra per ricomporre in unità.

II volto di Gesù abbandonato si può vede­re anche nei popoli in via di sviluppo. E Lui il "meno che uomo", il sottosviluppato per eccellenza. Su quella croce, in quello stato ha provato cos’è l'oppressione, la schiavitù, la carcerazione, l'essere senza salute, senza tetto, senza cibo, l'essere miserabile, mori­bondo.

Ricorda poi Lui quel rilassamento, onda lunga della secolarizzazione, che ha intacca­to, ad esempio, la morale e porta alla rovina molti.

E non ultimo il consumismo, trionfo dell’'avere che fa i poveri sempre più poveri, come Gesù abbandonato, figura dei poveri che si sentono sempre più sprofondare in una povertà senza fondo.

E per citarne altri: tutti quei mali di oggi, che conosciamo: le masse di giovani, e non solo, schiavi del sesso e coloro che hanno intrapreso la via della droga, dell'alcool, ecc. Mali nominabili, ma anche innominabili, come Egli abbandonato era per i primi cri­stiani: un vertice tale di dolore incomprensi­bile che era difficile per loro nominarlo.

Ci sono poi i grossi i problemi della nostra Chiesa, limitata al suo aspetto istituzionale. Ella patisce dovunque per mancanza d' unità: nelle famiglie in seno alle coppie, fra le gene­razioni; fra le Associazioni e i Movimenti, a volte per lo meno indifferenti fra loro e privi quindi di unità, di comunione; nelle strutture della Chiesa stessa dove la disunità, se non è palese a tutti, è pur presente; in seno a quell’aspetto carismatico della Chiesa, le fami­glie religiose, che spesso non si riconoscono sorelle. E poi nel mondo profano, i cui pro­blemi di disunità sono spesso macroscopici.

E ancora, specie in Occidente, ma non solo, la diffusione di idee, che minacciano alla radice la fede confinando la religione nell'ambito del privato, mettendo il dubbio su tutto e tutti: altra espressione di Gesù abbandonato, figura qui della insicurezza.

Gesù abbandonato

capovolge tutto il male in bene

Parallela però a questo quadro nero, ma vero, non possiamo non notare un'aspirazio­ne vaga, ma sentita nel mondo, d'unità.

E non un'aspirazione soltanto ma, nel campo politico, ad esempio, già realizzazio­ne di forme di unità diverse in diversi conti­nenti.

Nel campo sociale ed economico dove vibra nell'aria un senso di solidarietà.

E nella Chiesa, dove la Pentecoste del Concilio alza ancora la sua autorevole paro­l a.

Ma in modo speciale, direi, in quei Movi­menti o Comunità ecclesiali per i quali il Santo Padre vede il fiorire d'una nuova pri­mavera della Chiesa.

Tutti segni che possono dire che il trava­glio dell'umanità e della Chiesa è permesso da Dio per un fine più alto.

E qui ritorna alla mente la figura dell'Ab­bandonato, coperto delle situazioni più assur­de, di tutti i peccati che, nel suo grido e nel suo riabbandono al Padre, capovolge tutto il male in bene.

Ed è in questa Chiesa che grida, chiaman­do il divino a risplendere per far vivere la terra; l'ordine morale a ristabilirsi; la fede a riconfermarsi più bella, più vera; la carità per farla testimone di Cristo in questa Chiesa che, nonostante tutto, spera e spera molto in Gesù, vincitore del mondo, che tutti siamo chiamati ad agire oggi.

La comunione: frutto dell'amore

Ma come portare un nostro efficace rime­dio nella nostra Chiesa anzitutto?

C’è — dice un detto — un grimaldello che apre tutte le porte ed è l'amore.

L'amore vince tutto. Noi, focolarini, ne siamo quotidiani testimoni.

Ma l'amore crea comunione, realizza l'u­nità.

Ed è proprio su questo tema che ci imbat­tiamo nuovamente nella Novo millennio ineunte, dove vi e scritto: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia (...).

Che cosa significa questo in concreto? (...) Il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato (...). Prima di programmare iniziative concrete occorre pro­muovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educati­vo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano (...). Spiritualità della comunione significa (...) capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico (...), per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze (...); capacità di vedere innan­zitutto ciò che di positivo c’è nell' altro (...), saper "fare spazio" al fratello (...) respingen­do le tentazioni egoistiche che (...) generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelo­sie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz'anima, ma­schere di comunione» (n. 43).

L'ecumenismo

E poiché si parla d'unità, balza subito alla mente anche uno dei problemi più importan­ti di oggi: quello ecumenico. Gesù abbando­nato lo si scopre evidente nella divisione fra i cristiani.

Come si sa, Cristo ha fondato la sua Chie­sa una e unica in cui si entra con il battesimo, "il vincolo sacramentale dell'unita che esiste fra tutti i cristiani"8.

Si sa però che non Basta essere uniti solo spiritualmente nel comune battesimo. «Il fine ultimo del Movimento ecumenico è, infatti, il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati»9 .

Ma allora, se le cose stanno cosi, qui viene in rilievo il ruolo fondamentale dell'ecclesio­logia.

Il card. Willebrands, quasi profeticamente, scrisse che «un'approfondite ecclesiologia della comunione è forse la grande possibilità dell'ecumenismo di domani»10. E si sa che un'ecclesiologia di comunione è ormai accettata nei dialoghi teologici fra le Chiese come il modo di concepire la Chiesa e l’unità ecclesiale.

Ma, accettata l'ecclesiologia di comunio­ne, è ovvio quanto sia importante per il pro­blema ecumenico una spiritualità di comu­nione.

Dialogo universale

Gesù abbandonato si può vedere pure nelle altre religioni, nella loro reciproca disi­stima, a volte nell'astio che serpeggia non di rado fra loro, e nei nostri confronti.

Ora l'amore e una spiritualità di comunio­ne sono determinanti nel rapporto fra loro e con noi, specie se si fa leva sui "semi del Verbo" presenti in tutte e da vivere insieme. Si può così comporre, in questo modo, con i fedeli di altre religioni, almeno porzioni di fraternità universale in attesa che compren­dano e seguano Gesù.

C’è poi il mondo dei non credenti, gli atei, i materialisti. In realtà, i più disgraziati, i più miseri di questo mondo non sono tanto colo­ro che muoiono di fame, sono piuttosto quel­li che, dopo questa vita, non conosceranno l'Altra se per propria responsabilità hanno respinto Dio e al suo posto hanno messo la materia. In essi è evidente il volto di Gesù abbandonato che, avvertendo d'aver perso Dio, li ricorda, in qualche modo, essendosi fatto egli stesso figura dell'ateismo.

"Una robusta spiritualità di comunione"

Spiritualità di comunione, dunque, sostan­ziata di carità reciproca come l'ha descritta il Papa nel brano che ho prima menzionato.

Spiritualità di comunione. Ma dove trovar­la?

Può essere che lo Spirito Santo ne abbia suggerito più d'una nella Chiesa o molte.

Senz'altro quella del Movimento dei Focolari, è una spiritualità così. E non è impossibile che il Santo Padre, parlando di spiritualità di comunione, abbia pensato anche alla nostra, se tempo fa, in un incontro di vescovi amici del Movimento, ha dimo­strato di stimarla definendola "robusta spiritualità".

Sarà bene perciò, nell'ultima parte di que­sto tema, soffermarci un po' su di essa.

Vorrei evidenziare di essa un suo straordi­nario effetto. Se vissuta con autenticità e radicalità, ha in genere questa conseguenza sulle persone, in tutti i dialoghi: fa sì che Gesù viva in noi pienamente.

Conosciamo l’iter di questa nostra vita spirituale e i diversi suoi cardini, che qui enu­mero se non fossero ancora conosciuti.

Anzitutto, si sceglie Dio come ideale della propria esistenza e credendo fortemente al suo infinito amore per noi, Lo si pone al primo posto della nostra vita.

Lo si riama a nostra volta compiendo atti­mo dopo attimo la sua volontà che si trova nelle Parole del Vangelo.

Ci si concentra sull'amore verso i prossimi, sintesi d'ogni altro comando, e lo si attua anche reciprocamente fino ad attuare l'unità.

Si superano le difficoltà con l'amore a Gesù abbandonato per mantenere unita, che si suggella con la santa Eucaristia, vincolo d'unità.

Per l'unità vissuta si vive la Chiesa come comunione, sempre nell'obbedienza a chi in essa rappresenta Cristo e si ama Maria con­templata nei suoi misteri, quale via privile­giata per arrivare a Cristo.

Si dà gloria allo Spirito Santo obbedendo alla sua voce interiore, onorandolo quale terza divina Persona e vincolo fra le membra del Corpo mistico.

Vivendo cosi si sperimenta, come ho detto, che vive fra noi e in noi, sempre più costantemente, Gesù.

La comunione deve rifulgere in tutti i rapporti

Ma a Gesù — dovunque ed in chiunque lo incontrano — a Gesù che ha pagato per la sal­vezza di ognuno, non possono non orientarsi inavvertitamente tutti gli uomini e le donne del mondo che, se in buona fede, ne sentono l'attrattiva e Lo seguono.

Di qui l'efficacia ed il successo, a gloria di Dio, di chi opera con questo spirito nei quat­tro dialoghi ai quali anche noi focolarini siamo chiamati.

Si è sperimentato poi che la nostra è una spiritualità la quale, contenendo in pratica tutte le principali verita della fede, se fatte conoscere a chiunque, pur a mo' di dialogo, si trasforma in un'autentica evangelizzazione che esordisce, proprio come vuole il Santo Padre nella Novo millennio ineunte, con l'an­nuncio di Dio Amore.

Sono presenti poi nella lettera il desiderio e il pensiero del Santo Padre che una spiritualità di comunione soggiaccia dovunque nella Chiesa: «In quegli ambiti e strumenti che (...) servono ad assicurare e garantire la comunione. (...) come il ministero petrino, e, in stretta relazione con esso, la collegialità episcopale (..)».

«Molto — è scritto — si è fatto dal Concilio Vaticano II in poi anche per quanto riguarda la riforma della Curia romana, l'organizza­zione dei Sinodi, il funzionamento delle Conferenze episcopali. Ma certamente molto resta da fare (...) La comunione deve (...) rifulgere nei rapporti tra vescovi, presbiteri e diaconi, tra i pastori e l'intero popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movi­menti ecclesiali». (nn. 44-45)

Ringraziamo Dio d'aver dato anche a noi una spiritualità di comunione e non solo per i dialoghi che si praticano nell'ambito reli­gioso, ma anche per il rinnovamento di tutti gli aspetti della vita umana attraverso le cosiddette "inondazioni" dello Spirito, per chiamarle come suggerisce san Giovanni Crisostomo".

Chiara Lubich

1.        1)Cf J. Cordes in "30 Giorni", marzo 198è, p. 5è.

2.        Salita del Monte Carmelo, 11,7,11.

3.        Approches sans entraves. Scritti di filosofia cristiana,

4.        II, Roma 1978, p. 291.

5.        L'Agnello di Dio, Roma 198è, p. 433.

6.     SaIvifici doloris 18; EV 9, è50.

7.        Insegnamenti di Paolo VI, IV (19èè), Roma, p. 828.

8.     Cf Summa Theologica III, q. 8, a. 3 c.

9.        Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unita dei

10.     Cristiani, Direttorio ecumenico, n. 92.

11.     Giovanni Paolo II, Ut Unum Sint, n. 77.

12.     9)L'avenir de l'oecumenisme, in "Proche Oriente Chre­tien" 25 (1975), pp. 14-15.

13.     10)Cf In Johannem homilia, 51; PG 59, 284.