Nella comunione il futuro dell'umanità

San Giovanni Crisostomo, monaco e asceta, eletto vescovo di Costantinopoli si trovò immerso nei fasti della città d’oro, dove lo sperpero sfacciato dei ricchi e la miseria degradante dei poveri s’incrociavano nelle pubbliche vie e non di rado penetravano persino nel sacro recinto delle chiese. Il santo scrisse allora questa pagina che ancora oggi vale la pena meditare.

"Le ricchezze rappresentano una proprietà collettiva e il loro godimento spetta anche al tuo simile, così come beni collettivi sono il sole e l’aria e la terra e, insomma, tutto. Con l’uso dei beni accade come con il corpo: ciascun membro può assolvere la propria funzione soltanto se si trova unito a tutto il corpo; una volta che un singolo organo se ne sia separato, esso rimane privo della propria facoltà.

Per spiegarmi con maggior chiarezza, se l’alimento corporeo destinato a tutti quanti gli organi venisse somministrato, invece, ad uno soltanto di essi, risulterebbe inutile a quest’ultimo; non potendo, infatti, né esser digerito né, pertanto, fungere da nutrimento, non produrrebbe alcun effetto. Allorché, invece, viene alimentato l’organismo nel suo insieme, ne trae vantaggio tanto quel singolo organo quanto tutti gli altri membri. Ebbene, non diversamente avviene per quanto concerne le ricchezze: se pretendi di goderne da solo le hai già perdute giacché non riceverai ricompensa alcuna; se, invece, ne condividerai con gli altri il possesso, allora saranno ancor più tue e ti procureranno un autentico guadagno.

Non vedi che le mani prendono il cibo, la bocca lo mastica e lo stomaco lo riceve? Ora, lo stomaco dice forse: "Dal momento che il cibo l’ho ricevuto io, debbo tenermelo tutto?". Non parlare, perciò, neppure tu a questo modo, per quanto riguarda la proprietà dei beni: il compito di colui che riceve, infatti, è quello di distribuire agli altri. Allo stesso modo come, dunque, lo stomaco è ammalato quando trattiene gli alimenti senza passarli, danneggiando tutto l’organismo; così pure è la malattia dei ricchi quella di tenere per sé ciò che possiedono: il loro comportamento, infatti, è fonte di danno per loro stessi e per gli altri. L’occhio riceve la totalità della luce, senza tuttavia trattenerla esclusivamente per sé, ma illuminando, al contrario, tutto quanto il corpo. Non è sua facoltà, infatti, in quanto occhio, serbare unicamente per sé tutta la luce. Il naso, da parte sua, benché percepisca i profumi, lungi dal trattenerli interamente per sé, li invia sino al cervello, e allo stomaco, rallegrando tutto l’uomo. I piedi, poi, camminano sì da soli, tuttavia non per portare in giro soltanto se stessi, ma affinché tutto il corpo si muova. Anche tu, dunque, astieniti dal trattenere solo per te quanto ti è stato concesso, giacché, così facendo, danneggeresti tutti e, soprattutto, te stesso. (...) Non condividi le tue ricchezze con nessuno? Sappi, allora, che non riceverai neppure nulla da nessuno: se così sarà, poi, la tua condizione subirà un totale capovolgimento. In ogni cosa, infatti, il dare e il ricevere è fonte di molti effetti positivi: nella semina, nella scuola, nei mestieri. Se uno nutrisse la pretesa di praticare un’attività soltanto a proprio beneficio, manderebbe in malora sia se stesso che il mondo intero. Se il contadino si tenesse in casa la propria semenza, provocherebbe una grave carestia. Così anche il ricco, se si comportasse a questo modo con il proprio denaro, danneggerebbe se stesso prima ancora che i poveri…"1.

Dal tempo del Crisostomo lo spettacolo non è cambiato di molto, anzi si è solo allargato a livello planetario.

In un recente documento ecclesiale si legge: "Il modello di sviluppo delle società industrializzate è capace di produrre enormi quantità di ricchezze, ma evidenzia gravi insufficienze quando si tratta di ridistribuirne equamente i frutti e favorire la crescita delle aree più arretrate. Non sono indenni da questa contraddizione le stesse economie sviluppate… Tale stato di cose è spesso una delle cause più importanti di situazioni di fame e miseria e rappresenta una negazione concreta del principio, derivante dalla comune origine e fratellanza in Dio, che tutti gli esseri umani sono nati uguali in dignità e diritti"2.

La famiglia umana, però, è chiamata a progredire.

In ogni epoca particolarmente difficile Dio è sempre venuto incontro all’umanità, donando una spiritualità capace di rispondere ai bisogni dei tempi. E ogniqualvolta è apparsa nella storia una spiritualità di un certo spessore, si è subito incarnata nei vari aspetti della vita umana, anche nell’economia. Persino i famosi monaci egiziani della Nitria erano fornitori privilegiati dei pubblici granai di Alessandria. Che dire poi dell’opera dei benedettini in Europa durante il Medioevo? Dopo lo sfacelo dell’Impero in seguito all’immigrazione dei popoli del nord e dell’est europeo, quando molti pensavano fosse giunta ormai la fine del mondo, i monaci ricostruirono una nuova civiltà basata su di un semplice ma rivoluzionario binomio: preghiera e lavoro. Preghiera, perché anche una società che produce ricchezza, non arreca benefici all’umanità se non è modellata su Dio che è comunione.

È proprio questa la parola chiave che ritorna in continuazione nella lunga tradizione cristiana, dalla prima comunità di Gerusalemme fino ai nostri giorni. Se l’umanità non imbocca la via della comunione, si troverà sempre più immersa in un mondo invivibile, dove i rapporti umani continueranno ad essere segnati dallo scontro e la stessa terra diverrà per tutti inospitale.

Ma chi avrà oggi la capacità di far fiorire tra le nazioni una nuova civiltà all’insegna della comunione? Forse non sarà più un ordine religioso, ma la testimonianza di un popolo formato da persone di tutte le vocazioni e sparso, quale lievito evangelico, in ogni parte del mondo.

Enrico Pepe

Note:

  1. G. Crisostomo, Omelie su 1 Cor, 10,4,3,4. La traduzione dei testi è tratta dal CD-ROM della Unitelm: La Bibbia e i Padri della Chiesa, Padova 1995.
  2. Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace, Per una migliore distribuzione della terra, Ed. Vaticana 1997, p. 5.