Chiesa-famiglia:
l’urgenza di una vita fraterna
a cura
di Imre Kiss
Una vita
veramente fraterna non è soltanto sostegno e luce per la propria esistenza e
per il proprio ministero, ma è anche una realtà da
promuovere costantemente, come stile di vita, nel presbiterio e nei seminari.
La testimonianza di tre sacerdoti e un seminarista dell’Ungheria: «Vediamo
crescere una generazione nuova di sacerdoti aperti al dialogo e alla
comunione».
Imre Kiss: Per vari anni sono stato padre
spirituale, poi rettore in un seminario maggiore. Mi ha sempre toccato vedere
gli ideali con cui i giovani arrivano in seminario. Con gli anni, però, spesso
prendono il sopravvento altre realtà e aspirazioni.
Vedo chiaramente che la soluzione è: la comunità sacerdotale. Lo
affermava già il Concilio Vaticano II. Ed è anche la nostra esperienza: vari di
noi siamo oggi ancora sacerdoti
– e siamo felici di esserlo – perché in un periodo difficile della nostra vita
un confratello si è messo al nostro
fianco.
Attualmente sono vicario generale. In diocesi organizziamo diversi
incontri fra sacerdoti. Ci ritroviamo dopo Natale per riposare insieme e
festeggiare. E ci riuniamo dopo l’anno scolastico per
riprendere forza e speranza. Cerchiamo sempre nuovi modi per vivere la
fraternità.
Tutti noi abbiamo tanto da fare nella pastorale, ma se i vescovi o i
rettori dei seminari ci invitano a tenere
esercizi spirituali, accettiamo. Da ogni parte ci giungono richieste di dare
testimonianza di una vita sacerdotale che è credibile, felice e comunitaria.
Zsolt
Marton: Fin dall’inizio
della mia vocazione mi sono stati vicini i sacerdoti del Movimento.
Più tardi, da seminarista, insieme ad altri
compagni facevamo d’estate il tirocinio nella parrocchia di Lajos. Sperimentavamo
tante cose belle, ma quella che più ci colpì fu quando
Lajos ci portò in una comunità di preti. La fraternità di quei sacerdoti ebbe
un effetto enorme su di me. Fino a quel momento infatti
ero stato un rispettabile seminarista in-dividualista.
In autunno tornai in seminario e, con il consenso dei superiori, un
gruppetto di noi cominciò a ritrovarsi ogni giorno, la mattina e la sera, per
un momento di comunione e
di condivisione.
L’estate seguente invitammo altri seminaristi alla parrocchia di Lajos,
poi di anno in anno crescemmo di numero. Lì sperimentavamo cos’è una comunità parrocchiale viva.
Lavoravamo con loro nella costruzione della chiesa. Il culmine era sempre il
giorno che trascorrevamo insieme ai sacerdoti, che ci donavano la loro vita e
le loro esperienze.
Ora sono prefetto nel seminario maggiore di Budapest, dove studiano
seminaristi di undici diocesi. Cinque di loro sono qui
con noi.
László
Berényi: Vengo da una
famiglia non praticante. Ho conosciuto la realtà più profonda del cristianesimo
nella parrocchia di due sacerdoti che, con la loro testimonianza di vita, hanno
suscitato dal nulla una comunità cristiana in un quartiere ex-comunista alla
periferia di Budapest. Lì è nata anche la mia vocazione al sacerdozio e quella di altri due giovani.
Prima di entrare in seminario sono stato per due anni alla Scuola
sacerdotale di Loppiano. Tornando nel mio Paese avevo in cuore due realtà:
amare Dio ed amare tutti, e quindi i compagni del seminario, ma anche i
formatori... Alla fine del secondo anno eravamo otto
seminaristi – un quarto del seminario – che ogni settimana ci incontravamo per
condividere le nostre esperienze con il Vangelo vissuto. Ed
altri erano attirati da questo modo di vivere.
Lajos
Jávorka: Abbiamo molti
contatti coi seminari. I superiori sono contenti delle
nostre visite e mandano i loro studenti volentieri da noi per il tirocinio
pastorale. Costatiamo che questi giovani sono fortemente alla ricerca di una
via nuova, una via piú comunitaria.
È importante poi accompagnare i giovani sacerdoti. Li visitiamo nei
posti del loro primo incarico dove tante volte trovano difficoltà. Sono nati
così quasi spontaneamente gruppi di giovani sacerdoti.
Vediamo nascere e crescere una generazione nuova di sacerdoti aperti al
dialogo e alla comunione… L’incontro con laici maturi, uomini e donne del
Movimento, li aiuta a vivere il Vangelo.
Imre Kiss: Per tutti noi è
un grande dono che nella famiglia del Movimento dei focolari ci sentiamo
veramente a casa. E questo non è soltanto un buon
sentimento o un sostegno spirituale. Abbiamo trovato un carisma che ci offre
una via concreta. Praticamente, la comunità del
Movimento è per noi una continua fonte di vita e di ispirazione. Non si tratta
soltanto di una comunità sacerdotale, ma di un’esperienza di Chiesa: abbiamo
diverse vocazioni ma siamo tutti proiettati verso Dio,
donati a Dio.
a cura di Imre Kiss