A scuola di comunione

A cura di Lorenzo Campagnolo

Posporre le tendenze individualistiche

Un tirocinio pratico per passare da una spiritualità prevalentemente individuale ad una spiritualità insieme personale e comunitaria, e questo in tutti gli aspetti della vita: è ciò che le «Scuole sacerdotali» del Movimento dei focolari offrono a sacerdoti, diaconi e seminaristi. Tali scuole di vita esistono attualmente a Loppiano/Firenze, nei pressi di Manila/Filippine per l’Asia e vicino a Nairobi per l’Africa. Altre stanno per avviarsi in Argentina, in Brasile e in Polonia.

 

Lorenzo Campagnolo: A Loppiano c’è anche una scuola di vita per sacerdoti e seminaristi diocesani. Quest’anno siamo una trentina: sacerdoti, diaconi e seminaristi, un giovane che pensa di entrare in seminario e l’arcivescovo emerito di Taipei, Mons. Joseph Ti-Kang, qui presente. Andiamo dai 19 ai 78 anni; proveniamo da 18 Paesi, da quattro Continenti.

Gli inizi di questa Scuola risalgono all’immediato post-Concilio. In quei tempi il card. Florit di Firenze aveva esclamato: «Ci vorrebbe una Loppiano anche per i sacerdoti!». Altri vescovi si erano espressi in modo simile.

Inaugurando la Scuola nell’ottobre 1966, Chiara Lu-bich disse: «Se i sacerdoti sa-pranno posporre tutto, anche il sacerdozio, per assicurare la presenza di Gesù fra loro, vivendo come bambini il Regno di Dio, sarà inevitabile che Gesù faccia venire fuori una pastorale nuova, dei seminari nuovi (…). E se ci sarà l’unità anche con la parte laica del Movimento, si darà origine a quella che ho chiamato “città-chiesa”, o “società-chiesa” che farà ve-dere al mondo come esso sarebbe se fosse tutto clarificato da Gesù, dal suo Vangelo».

Stare a Loppiano ci fa sperimentare la bellezza della Chiesa viva, dove si è un cuor solo e un’anima sola. Fratelli tra i fratelli, come diceva il Concilio, ci troviamo a contatto con persone dalle vocazioni più diverse, che hanno tutti un medesimo Ideale: vivere il Vangelo, amarsi l’un l’altro, portare nel mondo la civiltà dell’amore. Viene così in rilievo che il sacerdozio ministeriale è innanzi tutto servizio e si scopre che esso deve poggiare sul sacerdozio comune vissuto.

Loppiano è per noi come un “noviziato” dove apprendere in concreto a vivere in unità, secondo la preghiera di Gesù: «che siano uno come io e te Padre, affinché il mondo creda» (cf Gv 17, 21). Mettendo a base di ogni cosa il comandamento nuovo, cerchiamo di essere una vera famiglia, ancora più forte di quella naturale, sul modello della vita di Gesù prima a Nazaret e poi con gli apostoli.

Abbiamo momenti di preghiera e di approfondimento culturale e spirituale. Ma allo stesso tempo, tutti si lavora, nelle aziende della cittadella o per l’andamento della casa. Il fatto che anche monsignori e docenti universitari, vicari generali o superiori di seminario siano addetti alla cucina, o alla pulizia dei bagni, è certo insolito, ma è espressione della vita di Gesù che per 30 anni fece la vita di un lavoratore. Dormire in camere a più letti dopo essere stati abituati per anni alla camera singola; dover ascoltare, quando si era abituati a parlare; comunicare davanti a giovani seminaristi come si è vissuto la Parola di Dio durante la giornata: tutto questo è un morire a se stessi e alle tendenze individualistiche del nostro io, ma fa gustare poi la gioia impagabile di chi vive in comunione. E prepara persone capaci di generare la comunione nelle proprie comunità.

Sacerdozio mariano
che si realizza nel dono di sé

Innocent Ndoreraho: Vengo dal Burundi e sono sacerdote da cinque anni. Quando ero piccolo, a causa della guerra mio padre è stato ucciso e noi abbiamo dovuto fuggire; da adolescente ho incontrato un gruppo della Parola di vita che mi ha aiutato a perdonare gli uccisori di mio padre e ha fatto nascere in me il desiderio di consacrarmi a Dio. Da sacerdote, sono stato mandato in una parrocchia a rischio, distrutta dalla guerra, senza i beni di prima necessità; la comunione con gli altri sacerdoti con cui viviamo questa vita d’unità, mi ha dato la forza di accogliere questo incarico.

Quando sono arrivato alla Scuola sacerdotale, i primi giorni sono stati difficili. Ho perso tutto quello che rappresentava la mia sicurezza: la lingua, il clima, la cultura, gli amici. Mi sentivo come un albero in inverno senza foglie.

Vengo da una Paese dove essere sacerdote è ancora uno status sociale; qui ho riscoperto l’aspetto del sacerdozio mariano, che si realizza nel servizio all’altro. Un giorno mi sono sentito ferito da uno di noi. La mia prima reazione è stata di chiudermi in me stesso. Secondo me era l’altro a dover chiedere perdono. L’amore di Dio, che s’impara e si attua in questa Scuola con l’arte di amare, mi ha fatto capire che dovevo fare il primo passo; ho fatto un atto d’amore concreto verso di lui e l’unità si è ristabilita.

Perché si possa far sentire la presenza di Gesù fra noi, ognuno deve fare la propria parte per essere nell’amore evangelico. Ricordo un momento in cui nel gruppo abbiamo mancato di attenzione verso un fratello. Stavamo preparando insieme una danza per una festa. Abbiamo subito capito che sarebbe stata una ipocrisia andare avanti senza avere Gesù fra noi: ci siamo fermati e guardati in faccia, abbiamo fatto un patto di misericordia, impegnandoci a guardarci con occhi nuovi; abbiamo provato la gioia di ricominciare e di andare avanti con il cuore aperto.

Così attraverso tanti piccoli fatti sto imparando che cosa significa avere solo Dio e costruire la Chiesa-comunione.

«Lascia tutto e seguimi»

Luke Seguna: Vengo da Malta e sono seminarista. Al termine del secondo anno di seminario ho avvertito dentro di me un vuoto spirituale: sentivo la chiamata, ma non ne ero felice. Ho detto allora a Dio: «Se vuoi che io diventi sacerdote, presentami una spiritualità che sostenga la mia vocazione e me la faccia gustare!».

Dal predicatore degli esercizi spirituali ho sentito accennare ad una “Scuola sacerdotale”. Mi sono detto ingenuamente: «Ma come? Oltre al seminario, c’è una “Scuola sacerdotale”? Allora come mai non mandano tutti a farla?».

Dopo il terzo anno, da noi si fa un anno intermedio. Facendo una ricerca su quella “Scuola sacerdotale”, ho trovato che c’era dietro un intero Movimento, presente nella Chiesa da più di 60 anni: un Movimento laicale e guidato da una donna! In più questa Scuola era inserita nella vita di una città. Ho pensato che non ci poteva essere posto più ideale per me ed ho chiesto al rettore di farmela frequentare.

Alla Scuola mi è stato domandato di lavorare nel giardino, che è molto grande e richiede tanto lavoro. Comunque, più facevo il lavoro con amore, dicendo quel semplice «per te, Gesù», più esso mi dava soddisfazione.

Un giorno uno dei responsabili mi ha chiesto: «Sei pronto a fare tutto per il Signore?» Pieno di entusiasmo, gli ho detto subito di sì. E lui mi ha mandato ad aiutare i muratori. Ho potuto allora apprezzare e vivere il senso di quelle parole: «Sei pronto a fare tutto per il Signore?».

È difficile spiegarmi: anche se sono la stessa persona, mi sento cambiato, con una vocazione rinnovata. Prima non ero grato a Dio per avermi chiamato e non ero sicuro di voler fare la sua volontà. Adesso non posso non essergli riconoscente, perché ho sperimentato la grandezza di lui.

Quello che ho scoperto poi è che, quando perdo tutto (le mie idee, il mio modo di fare, il mio io), faccio proprio quello che mi ha chiesto Gesù quando mi ha chiamato: «Lascia tutto e segui me». Ora ho cominciato a seguirlo, non per la gioia che comporta la sequela, e neanche per il premio eterno del paradiso; seguo Gesù perché la mia vita è sempre più assetata del vero Amore.

A servizio di tutti

Mons. Joseph Ti-Kang: Ho conosciuto questa spiritualità da vescovo. È nata così in me una grande stima per le persone del Movimento; ma credevo che tutto fosse per loro o fosse utile per l’evangelizzazione, non per me...

Quando è stata accolta la mia rinuncia alla diocesi per motivi di età, pur avendo ancora vari impegni pastorali, ho pensato di approfondire questa spiritualità trascorrendo un periodo alla Scuola sacerdotale. Qui mi sento un discepolo alla scuola di Gesù. Imparo, assieme a tutti, a diventare sempre più Lui, a crescere ogni giorno nell’amore per Lui e per i fratelli, vivendo con Gesù in mezzo a noi e abbracciando Gesù in croce per costruire l’unità con gli altri.

Noi vescovi siamo abituati a parlare, a presiedere, a dirigere, a decidere. Ma il Signore Gesù è un modello di kenosi, di svuotamento. Sento quanto è importante per me tornare e ritornare sempre a questo svuotarsi, per accogliere, ascoltare, fare attenzione agli altri, per essere un vero servitore di tutti.

La spiritualità dell’unità mi è un ottimo aiuto per questi anni della mia vita e del mio ministero. Vivere a Loppiano è una grazia speciale di Dio, che mi dà nuova ispirazione e nuovo slancio per andare avanti.

a cura di Lorenzo Campagnolo