Ricordo di don Silvano Cola, responsabile del Movimento sacerdotale focolarino  

Una vita al servizio dell’unità     
nella fedeltà al carisma dei Focolari

 di Carla Cotignoli

 

Pensando di fare cosa gradita ai nostri lettori e in attesa del numero speciale della nostra rivista nei prossimi mesi sulla figura di don Silvano Cola, trascriviamo l’articolo apparso in seguito alla sua dipartita nel quotidiano «L’Osservatore Romano», in data 1° marzo 2007.

«Questo mi pare importante: avvicinarsi al sacerdozio sperando di essere capaci di morire a se stessi per quanti incontriamo… essere soltanto amore. Tutto il Vangelo è lì. Essere comunione salva te e salva tutti».

Queste parole suonano ora come un testamento spirituale. Sono quasi un distillato dell’esperienza di oltre 50 anni di sacerdozio di Don Silvano Cola, che ci ha lasciato all’improvviso, a 79 anni, il 17 febbraio. Ne aveva fatto dono ad un gruppo di seminaristi nel dicembre scorso, nel suo ultimo intervento in pubblico.

Proprio così era don Silvano. «Nel rapporto interpersonale aveva un rispetto profondo: non imponeva nulla, ma lasciava che ognuno maturasse le idee giuste dal di dentro, nel modo opportuno e con il tempo dovuto. Guadagnava consenso con mitezza. Era trasparenza viva del Vangelo». Era animato da «una perseveranza confidente, anche nelle prove più dure». Così ne delinea alcuni tratti mons. Pino Petrocchi, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, nel momento delle esequie.

Don Silvano Cola viveva al Centro sacerdotale di Grottaferrata (Roma) insieme ad altri presbiteri. Era stato la prima pietra del Movimento sacerdotale (diramazione del Movimento dei Focolari) che a tutt’oggi abbraccia 20.000 sacerdoti diocesani dei cinque continenti. Vi si era dedicato per oltre 40 anni con «generosità instancabile», come ha evidenziato Chiara Lubich, annunciando al Movimento la sua dipartita: «Avendoli amati li amò fino alla fine». E per don Silvano è giunto alla fondatrice dei Focolari anche un telegramma di condoglianze dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato.

Don Silvano aveva un’ intelligenza creativa e originale. Appena consacrato sacerdote nel 1950 – aveva poco più di 22 anni – si dedica ai giovani più abbandonati accolti nella Città dei Ragazzi di Torino. Ma dopo quattro anni entra in una crisi profonda. Affiora la tentazione di abbandonare il ministero sacerdotale.

Sarà nell’incontro con alcuni focolarini che inizia una nuova tappa della sua vita. Quando, nel dicembre 1965, viene promulgato il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis sulla vita e il ministero sacerdotale, vi scopre una sintonia perfetta con quanto il carisma del Movimento aveva aiutato i sacerdoti a vivere: la centralità dell’amore reciproco, l’esperienza viva del Risorto da Lui promessa a due o più riuniti nel suo nome.

Gli anni precedenti il Concilio non erano stati anni facili: l’autorità ecclesiastica studiava a fondo il Movimento che, nel contesto preconciliare, portava con la sua vita e la sua spiritualità molte novità. Nell’estate del ’63, proprio a Torino, si incontrano per la prima volta i sacerdoti di tutta Europa e alcuni dei continenti che condividevano la spiritualità dell’unità dei Focolari. Il vescovo Mons. Stefano Tinivella, amministratore apostolico della diocesi, che era andato a visitarli, lascia don Silvano libero di trasferirsi a Grottaferrata e poi a Roma per servire il Movimento.

Nel ’64, Chiara Lubich gli consegna un arazzo raffigurante Gesù che lava i piedi agli apostoli. Affida così a don Silvano la nascente diramazione sacerdotale dei Focolari. E sarà ancora lui a seguire i primi passi della Scuola sacerdotale, inaugurata nell’autunno del 1966. Questa Scuola avrebbe offerto a presbiteri e seminaristi delle diocesi un tirocinio pratico di vita d’unità. E sempre nello stesso anno, sarà a lui che la fondatrice dei Focolari ancora affida gli inizi del Movimento parrocchiale e due anni dopo, del Movimento gen’s (per i seminaristi diocesani) negli anni difficili del post-Concilio.

Intensa l’attività intellettuale di don Silvano che si è segnalato per numerose pubblicazioni, specialmente nel campo della patrologia e della psicologia. In quanto psicologo, faceva parte della Scuola Abbà, il centro interdisciplinare di studio che, assieme a Chiara Lubich, sta enucleando le conseguenze culturali del carisma dei Focolari1.

Nel 1998 inizia una nuova avventura: in seguito al grande incontro di Giovanni Paolo II con i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità in piazza s. Pietro, Chiara dà a don Silvano un nuovo incarico, insieme a Valeria Ronchetti, una delle sue prime compagne: la segreteria per la comunione tra Movimenti e Nuove Comunità all’interno della Chiesa. In stretta collaborazione con la fondatrice, don Silvano, negli anni successivi, ha saputo tessere una rete impressionante di rapporti di amicizia fra il Movimento dei Focolari e fondatori e responsabili di Movimenti di ogni parte del mondo.

Quale il segreto del sacerdozio vissuto da don Silvano? Lasciamo rispondere lui stesso. Al grande incontro del 30 aprile 1982 che aveva riunito, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, 7.000 sacerdoti, religiosi e seminaristi aderenti allo spirito dei Focolari, Chiara Lubich aveva parlato del sacerdote come «uomo del dialogo» e aveva indicato Gesù abbandonato come modello. Don Silvano, nel suo intervento, le aveva fatto eco:

«Ho capito in verità cos’è il sacerdozio, perché è proprio con l’abbandono e la morte in croce che Gesù ha generato la Chiesa assumendo in sé il peccato e il dolore universale. E mi sono detto: mia è dunque la lacerazione tra le chiese cristiane, mio il disorientamento dottrinale, mia l’incomunicabilità tra sacerdote e vescovo, tra sacerdote e sacerdote, tra sacerdote e laico, mia l’incomprensione del celibato, mia la tentazione razionalista, mia la menzogna esistenziale tra il predicato e il vissuto, mia la solitudine dei sacerdoti…». E aggiungeva: «Ma tutto questo dolore è Gesù, il suo dolore, è proprio quel dolore sacerdotale che se accettato e amato genera la Chiesa!».

Queste parole suonano in particolare sintonia con quelle di Papa Benedetto XVI che proprio in questi giorni, rispondendo ai seminaristi di Roma sui rischi del carrierismo, ha definito così il sacerdote: «Noi siamo tutti sempre solo discepoli di Cristo. La sua cattedra è la croce e solo questa altezza è la vera altezza».

È quanto don Silvano ha testimoniato fino alla fine.

Carla Cotignoli

 

 

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1)   Per maggiore completezza, l’autrice ha aggiunto questo paragrafo che non c’è nell’articolo pubblicato su «L’Osservatore Romano».