Dio Trinità, la nostra dimora: l’esperienza di Dio in Chiara Lubich

Raccontami del tuo Dio

Di Klaus Hemmerle

Riproponiamo qui l’ultimo contributo del vescovo Hemmerle che tre redattori della rivista “Das Prisma” hanno raccolto il 16 gennaio 1994, a pochi giorni dalla sua morte, dalla viva voce del vescovo di Aquisgrana. Nel trascrivere la registrazione sono state apportate solo lievi modifiche di stile. Avevamo pubblicato questa testimonianza sul n. 1/1995 della nostra rivista interamente dedicato a lui.

Tutto il valore e la novità del Movimento dei focolari consiste, a mio avviso, in una sua specifica esperienza di Dio. Essa è legata alla persona di Chiara Lubich ed è, tuttavia, fin dall’inizio, un’esperienza collettiva. Invece di iniziare assumendo il ruolo d’osservatore o riferendomi agli scritti di lei, preferisco partire dal mio incontro personale con il Movimento da lei fondato.

Nell’estate del ’58 – ero sacerdote da sei anni – partii da Friburgo per recarmi alla Mariapoli di Fiera di Primiero, nei pressi di Trento, per conoscere il Movimento dei focolari. Era il mio primo incontro. Nella Mariapoli tutti cercavano in modo diretto e nuovo di porre il messaggio biblico dell’amore a fondamento di un cristianesimo vissuto alla lettera. Anch’io volsi la mia attenzione a questo punto centrale. Tuttavia, pur non prevedendolo, si schiuse davanti a me, contemporaneamente, un’altra dimensione: la vicinanza e la presenza di Dio in una misura che mai avevo sperimentato prima, nonostante i miei intensi studi teologici.

In quell’anno si era tenuta a Bruxelles l’Expo, l’esposizione mondiale. I focolarini dicevano nel loro modo semplice e schietto: «A Bruxelles hanno dimenticato una cosa: Dio non è stato esposto. Lo vogliamo fare noi, esponendolo nella Mariapoli che perciò si chiamerà l’Expo di Dio, l’esposizione di Dio». Per far questo non hanno avuto bisogno di piani a lungo termine o di mezzi sofisticati. Semplicemente si sono proposti di render visibile Dio con la loro vita. E questo non si poteva certo programmare. Ma siccome da anni essi avevano sperimentato la presenza di Dio nel loro «essere insieme», potevano rischiare di invitare tanti altri a fare questa esperienza. Devo dire che questo proposito divenne realtà, non solo per me, ma per molti altri. Per la prima volta lì ho veramente sperimentato Dio.

Il Regno di Dio è Dio stesso
Già durante i miei studi di teologia avevo ricevuto un primo impulso in questa direzione. Uno dei miei professori ci aveva spiegato ciò che Gesù intendeva realmente quando annunciava il Regno di Dio. In quell’occasione mi si chiarì una cosa: non è un regno che si può delimitare in uno spazio fisico, e non è neppure un sistema di verità e comandamenti, il Regno di Dio è Dio stesso. Dio non è più un orizzonte lontano o principio superiore: in Gesù egli è balzato in questo mondo. Per me fu chiaro che Dio voleva diventare il centro anche della mia vita, affinché anch’io potessi guardare a tutte le cose ed agire partendo sempre da lui. Questo pensiero non mi ha più lasciato. Ma cosa fare? Non potevo trovare spazio per questo, nella mia vita quotidiana. Mi mancava il ponte tra ciò a cui profondamente anelavo e ciò che praticamente mi teneva occupato.

In Mariapoli questo vuoto si colmò di colpo. Dio era semplicemente lì. Penetrava i nostri rapporti reciproci. E venni così irresistibilmente trascinato in questa nuova vita. Mi ricordo di non aver potuto dormire per una notte al pensiero della vicinanza immediata di Dio. Pensai che forse nemmeno i discepoli di Gesù, nella convivenza con lui, potevano aver sperimentato più intensamente la vicinanza di Dio.

Nell’origine c’è già tutto
Questa nuova esperienza di Dio in Mariapoli è tipica del Movimento dei focolari. Essa è fin dall’inizio un’esperienza comunitaria. Anche se Chiara ne fece da sola l’esperienza originaria, ella sentì di doverla comunicare subito alle sue prime compagne: Dio ti ama, Dio è tutto, Dio solo importa! Leggendo il Vangelo alla luce di questa esperienza, si sono così fissati nel 1943/44, nel giro di pochi mesi, i cardini fondamentali della spiritualità del Movimento.

Già nella Mariapoli del ’58 iniziai a capire: non potrò avere accesso a questa spiritualità, se non mi faccio raccontare le sue origini, la sua storia, per poter entrare così nella vita di questa comunità. In essa si schiuse, anche davanti a me, l’esperienza di Dio di Chiara.

Si può avere l’impressione che finora io, invece di trattare il tema che mi è stato richiesto, abbia parlato solo di me stesso. Ma ciò inganna, perché tutto ciò che ho raccontato di me rispecchia l’esperienza di Dio fatta da Chiara. Essa non è tuttavia invenzione di una persona, ma un’esperienza fondamentalmente comunitaria, donata direttamente da Dio. Essa, ancorata in Chiara, si è estesa poi in cerchi concentrici fino ad arrivare, come oggi sappiamo, a tutti i Paesi della terra.

Una nuova esperienza di Dio
A Fiera di Primiero, nella mia prima Mariapoli, ben presto ebbi una fortissima impressione: come se tutto mi dicesse, in quella grande vallata, in quello splendido paesaggio, sotto quel cielo aperto, che Dio è Amore. Non era solo mia questa impressione. Tutti parlavano dell’amore, ed era affascinante parlarne, non era per niente sentimentalismo. In questo entusiasmo non si perdeva di vista però la concretezza della vita. L’amore non era solo un comando, anzi era in primo luogo un dono: Dio è Amore, Dio ti ama immensamente. In questo dono, Dio stesso era completamente diverso da come io l’avevo concepito prima.

Fin allora avevo pensato Dio come il vertice della creazione, punto di fuga di tutte le linee, come quel concetto non concepibile in quanto tale, perché di fronte a questo mistero, noi ammutoliamo. Lì, a Fiera, questo mistero restava, eppure era anche più di questo. Dio, che è Padre, era realtà empirica. Probabilmente, fino a quel momento, non avevo ancora pregato, in vita mia, il «Padre Nostro» a quel modo, ancora non avevo compreso il significato di quel nome «Abbà, Padre». D’un tratto il mondo mi si rivelò come il luogo immenso, eppur conosciuto e sicuro, nel quale Dio ci è Padre e dove noi possiamo affidarci a lui, mettere tutto nelle Sue mani, seguirlo incondizionatamente.

Era questa per me un’altissima sfida, ma ancor più un’affascinante scoperta.

Dio Padre era come il cosmo immenso; anzi non il cosmo, ma – come diceva Chiara – colui che lo contiene e dal quale parte e riecheggia continuamente la parola «Amore», che si concentra all’infinito nell’unico nome: Gesù. Questa fu la mia seconda scoperta.

In Gesù Cristo Dio manifesta se stesso
Mi ricordo che in Mariapoli non si parlava solo dell’amore evangelico, ma con la stessa naturalezza anche di Gesù, tanto che qualche nuovo arrivato poteva sentirsene infastidito: «Gesù, Gesù... non ne posso più di sentirlo nominare. Il prossimo è Gesù, il Papa è Gesù, il delinquente è Gesù e non so ancora quanti altri. Lasciate Gesù essere Gesù, e lasciateci vivere senza questi concetti religiosi così sopraelevati».

Per quanto comprensibile potesse sembrare questa osservazione, dovetti, ad un’attenta analisi, metterla subito da parte. Gesù di Nazareth è veramente venuto per farsi uno con tutta la realtà di questo mondo: con il bambino, con il delinquente, con il filosofo. Per questo parla con fragili parole umane; ma in esse, e ancor più nella sua Persona, Dio manifesta se stesso. Egli condivide la nostra vita, le nostre sofferenze, egli stesso vive e soffre in ogni essere umano a tal punto che tutto il nostro agire e perdere può divenire occasione per incontrarlo, per vivere con lui. Così questo sconfinato orizzonte del Dio ineffabile, che è Amore, è contemporaneamente, in Gesù, un cammino di vita e un punto centrale dal quale si schiude, davanti a noi, la rivelazione.

In Gesù si rivela il Padre
Il Padre si rivela in Gesù che si è fatto uno con tutto e con tutti. Scoprii Gesù come colui che dice in ogni istante e da ogni punto della terra il suo: «Abbà, Padre», e come colui che è sempre e dovunque il volto del Padre a me rivolto. Questo era il mio primo incontro con Gesù che mi svelava chi è realmente: non il grande iniziatore di una religione nel lontano passato, non una delle tante manifestazioni di un’Idea eterna; egli è questo unico Gesù di Nazareth, che ha predicato in Galilea, è morto sul Calvario e che oggi, Risorto, vuole incontrarci direttamente, così come incontrò i primi testimoni della sua risurrezione.

La terza cosa che sperimentai a Fiera, era l’atmosfera della Mariapoli. Se mi si chiede in cosa consista la novità del Movimento dei focolari e della sua spiritualità, non rispondo partendo – e questo può sembrare un paradosso – dai contenuti, bensì dal tentare di definire l’atmosfera che si sperimenta venendone a contatto. È un aspetto importante. Già fin d’allora essa non consisteva nel sorridere un pochino di più o nell’essere gentili gli uni con gli altri. No, essendo amati e donando amore, si veniva presi dentro in questo nuovo stile di vita. Mi ricordavo, come ho già detto, dell’annuncio che Gesù ha portato nel mondo: il Regno di Dio. Capii chiaramente: il mondo non può più andare avanti così. O il Regno di Dio rinnova ogni cosa o il mondo crolla. E il mondo si rinnoverà perché lo Spirito di Dio cambia dal di dentro tutti i rapporti e con essi ogni realtà. Ancor più: compresi che il Padre, l’Amore, e Gesù, il Figlio, si incontrano in uno Spirito che io vorrei definire come l’atmosfera dell’Unità divina. In essa Dio apre uno spazio nel quale anch’io posso entrare per sperimentare il Dio vivente. Io sono il figlio amato e baciato dal Padre; sono il figlio introdotto nel Padre. E il Padre stesso ha aperto il suo seno infinito, perché io possa vivere in lui. Così ho già fin d’ora, durante questa vita, la mia dimora nel Dio trinitario.

Fui stupefatto quando più tardi constatai che questa nuova immagine di Dio, la mia personale esperienza in Mariapoli e nel Movimento dei focolari, corrispondeva esattamente a ciò che Chiara ha svelato, in modo sobrio e comprensibile, in molti scritti e discorsi.

La vita cambia
Che cosa ha provocato questa esperienza di Dio in me? Cos’è cambiato nella mia vita? Ebbene, ho imparato un altro modo di dire io. Penso che dal modo in cui dico io, si vede che cosa, in realtà, dà l’impronta alla mia vita intera: lo dico in modo incerto? cosciente del mio proprio valore? in modo egocentrico?

Chiara aveva sperimentato qualcosa che le faceva dire: «Dio mi ama immensamente». In questa frase si parla anche dell’io, però la frase non comincia con l’io. Non dice neanche: «Io sono quella che è amata da Dio», ma: «Dio mi ama immensamente». Ho capito: è come una corrente che mi travolge e solamente in essa l’io mi perviene. Dall’inizio io sono colui che con gratitudine riceve, sono colui che ascolta la chiamata che ha ricevuto. Dio mi ama immensamente. È così anche per i bambini. La loro prima parola non è io, ma mamma e papà. Solo più tardi, attraverso l’amore dei genitori, imparano a dire io.

Sono chiamato: eccomi!
Mi si è chiarito subito che quell’amore personale di Dio impegna anche il mio io. Sono chiamato, ho responsabilità. Tutto di-pende anche da me. Sono chiamato a fare la volontà di Dio. Dio mi ama immensamente: io sono pronto, io ci sono, io dico di sì. Dire di sì a questa chiamata, quell’eccomi, è stato il passo decisivo e del tutto personale di Chiara, ma è divenuto immediatamente un inevitabile invito per tanti a fare lo stesso passo. Così al «Dio mi ama», si aggiunge in risposta: «Io sono pronto, eccomi!».

Se voglio fare la sua volontà, non occorrono grandi elucubrazioni per arrivare al terzo passo: il mio prossimo. Questi mi viene incontro con la stessa forza esigente di Dio che mi chiama. Perciò è impossibile vivere come se il prossimo non ci fosse. È stato creato da Dio, in lui Dio stesso mi viene incontro. Così all’improvviso scopro nell’altro dei tratti miei – lui è come sono io – ed addirittura dei tratti di Dio, i tratti di Gesù. Visto da questa angolazione il comandamento fondamentale «ama il tuo prossimo come te stesso» è più di una istanza morale. È una conseguenza immediata del guardare l’altro: «Dio ama anche te immensamente». Allora non si tratta di un semplice: faccio a te come tu fai a me. È un passo decisivo in avanti: «Tu sei come Gesù, tu sei Gesù, perché lui ti ha accolto». Per tante persone, fin dai primi tempi del Movimento, sono stati decisiviproprio questi incontri e queste esperienze che facevano dire: «Ho scoperto Gesù nel fratello e nella sorella. Io vivo per te, affinché tu possa vivere. Tu sei Gesù».

C’è un altro passo ancora. Insieme siamo in questo spazio aperto che Dio ci dona come nostra casa. Se viviamo così, amandoci reciprocamente come lui ci ha amato, se questa reciprocità nasce da quest’amore, se ci perdoniamo l’un l’altro, se sappiamo di dover essere uniti fra di noi, allora scopriamo di essere accolti in questo spazio divino dell’unità e di essere avvolti da lui. Percorrendo questa strada arrivo di nuovo lì dove sono giunto con le mie riflessioni sulla Mariapoli del 1958: si tratta di un’unica dimora nella quale viviamo insieme e che ha come centro il Risorto stesso. È la volontà dichiarata, il testamento esplicito di Gesù che «tutti siano uno... affinché il mondo creda» (Gv 17, 21). Ed è la sua promessa: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Il crocifisso come l’icona di Dio
Dopo quello che ho detto finora, si potrebbe sollevare un’obiezione: in questa esperienza di Dio va tutto liscio, senza crisi e senza problemi? Senza nulla togliere al fascino di questa scoperta, devo parlare di una realtà che in un certo qual modo è per Chiara l’altra faccia dell’amore senza fondo e senza limite di Dio: Gesù che nell’abbandono del Padre muore in croce. Qui si trova la chiave che porta al centro della sua spiritualità. Anzi, bisogna dire che la storia del Movimento dei focolari non è nient’altro che la storia di una sempre rinnovata scoperta e di una penetrazione sempre più profonda di questo mistero, che si concentra nel concetto di «Gesù abbandonato».

Già nelle prime settimane della nuova vita, Gesù abbandonato si rivelò a Chiara e alle sue prime compagne come mistero inspiegabile da cui tutto dipende. La comune certezza che «Dio mi ama immensamente» le spingeva alla domanda: dove si è rivelato quest’amore nel modo più radicale? Quasi per caso hanno ottenuto la risposta. Un sacerdote che portava la comunione ad una focolarina ammalata chiese loro: «In quale momento Gesù ha sofferto di più?». Risposero: «Forse sul monte degli ulivi, quando nonostante l’angoscia che l’opprimeva disse il suo sì al Padre». Il sacerdote però le corresse: «No, fu quando sperimentò l’abbandono dal Padre e gridò: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mc 15, 34)». Ed esse subito capirono: questo è stato il momento in cui Gesù ci ha amato di più.

L’unità che contiene la vita trinitaria
Come teologo uno potrebbe chiedere: «È veramente questo il culmine della passione di Cristo?». Ho riflettuto spesso su questa domanda con il risultato di rispondervi con un sì appassionato. Voglio solo accennare al perché. È questa la novità per eccellenza dell’esperienza di Dio di Chiara: in Gesù, Dio è sceso fin dove Dio non c’è più; in Gesù, Dio fa propria l’assenza di Dio fra gli uomini; il suo Amore va fino al punto che – per parlare con San Paolo – si fa peccato e maledizione per noi (Gal 3, 12; 2Cor 5, 21). È infatti impensabile una pazzia d’amore più grande di quella di condividere e sperimentare la lontananza di Dio per amore di coloro che gli sono lontani, fosse anche per colpa loro. Questo supera di gran lunga una teologia che tratta solo di verità e di comandi anche se non voglio togliere niente ad essa. Qui però c’è qualcosa di diverso: c’è una nuova comprensione del Mistero di Dio. Di conseguenza, dopo questa scoperta, per Chiara e per coloro che l’hanno seguita, non c’è stato niente di più importante della continua ricerca di questo volto pieno di dolore.

Ogni dolore in noi e fuori di noi, ogni buio di Dio in noi e fuori di noi, ogni incomprensione di Dio, ogni sentirsi estraneo nei confronti di questo Dio, è perciò un incontro con colui che nel suo abbandono ci ha accolti completamente. Se aderiamo a questo con tutta la nostra vita, allora facciamo l’esperienza di Dio più alta ed abissale. Non può essere superata. Questa non è una riflessione. Questo lo sperimento soltanto se mi lascio trascinare continuamente in questa realtà. Così scopro il «Deus semper maior», il Dio che è sempre più grande. Soltanto se sperimento e riconosco Gesù nel suo abbandono da parte del Padre, anch’io posso abbandonarmi radicalmente a questo Dio e condividere il suo affetto per l’umanità e per il mondo. Se ripeto, in questo abisso di abbandono da parte di Dio, l’Abbà, Padre, allora sono giunto alla realtà ultima. Se mi metto in questa assenza di Dio, se la sopporto senza nessuna protezione e, malgrado ciò, mi abbandono completamente a Dio, allora il Regno di Dio c’è. Saremo quelli che, sperimentando l’abissale silenzio di Dio e degli esseri umani, ne sperimentano contemporaneamente la beatitudine; quelli che con Gesù possono dire ad ogni persona: «Sto dalla tua parte e porto il tuo peso».

Questa scoperta di Chiara la vedo come un dono non solo per tutti coloro che vogliono vivere da cristiani, ma anche per la teologia. L’unità di tutti i cristiani, come viene espressa nei discorsi d’addio giovannei, e che in certo qual modo è il riassunto di tutto ciò che Dio vuole da noi, non ha mai raggiunto – per quanto io ne sappia – una radicalità e una profondità come in Chiara. Quest’unità contiene in sé la vita della Trinità, ma anche l’abbandono di Dio sofferto da Gesù. Con ciò si è spalancato un orizzonte che non conoscevamo neanche nella teologia, sebbene ci siano stati anche prima teologi che hanno riflettuto su l’uno o sull’altro aspetto.

È questa la cosa interessante: Chiara ci ha presi in una scuola di vita; questa scuola di vita però è nello stesso tempo anche una scuola per la teologia. Il risultato non è tanto un miglioramento della teologia, quanto teologia vissuta che viene dall’origine della rivelazione.

Klaus Hemmerle