Un capolavoro

Klaus Hemmerle, filosofo e teologo, vescovo di Aquisgrana (Germania). A 13 anni dalla morte, il 23 gennaio 1994, la sua vita e il suo pensiero risultano di invariata se non di accresciuta attualità. Perché la sua era una vita grande. E, per molti versi, profetica. Grande perché sapeva farsi piccolo, e proprio così vennero in massimo rilievo le sue doti umane e la sua genialità.

Era innanzi tutto amico, fratello. Davanti a lui – afferma uno degli articoli di questo numero della nostra rivista interamente a lui dedicato – nessuno si sentiva piccolo. Inevitabilmente si ripeteva una medesima scena ogniqualvolta veniva a casa nostra: ancora col soprabito, girava per i vari ambienti, all’occorrenza fino alla lavanderia, finché non avesse salutato personalmente tutti. E ciascuno lo sentiva suo personale amico. È quanto affermano tuttora persone semplici e personalità, anche su queste pagine, consci, per lo più, che egli non era certo amico solo di loro. Era fratello, perché era indifeso. Ebbe il coraggio di non erigere barriere a sua protezione. Era come una fontana pubblica cui tutti si possono abbeverare. Ma era anche fonte sigillata, discreta, riservata.

A 23 anni Klaus Hemmerle divenne sacerdote. Non lo era “per mestiere”, ma con tutto il suo essere. Era sacerdote come Gesù in croce che, a braccia allargate, stringe tutto a sé e assume in sé tutte le contraddizioni e proprio così diventa ponte, riconcilia in sé e porta all’unità tutte le cose. Durante la Giornata del 30 aprile 1982 che riunì nell’Aula Paolo VI in Vaticano 7.000 sacerdoti, religiosi e seminaristi, parlò del sacerdote come “sismografo” che registra fedelmente le vicende del proprio tempo e del proprio ambiente. Fu un azzeccato autoritratto. Poté registrare fedelmente e accogliere in sé quanto avveniva attorno a sé, specialmente gli scossoni all’umana convivenza, al cammino della Chiesa e dell’umanità, perché seppe farsi vuoto davanti a ogni prossimo. Era “nulla”. Fu proprio nella notte che precedette la sua ordinazione che scoprì che ciò era, secondo il Nuovo Testamento, un’essenziale caratteristica del sacerdote1. Da “sacerdote” sul modello di Gesù, visse con l’anima immersa in Dio, in Paradiso, e seppe allo stesso tempo essere presente, in maniera totalmente solidale con gli altri, in ciò che attorno a lui sapeva di “purgatorio”: nelle questioni irrisolte e negli scontri fra singoli, gruppi, istituzioni. Dire dagli estremi confini del mondo “Abbà, Padre”: questo era per lui l’esistenza sacerdotale2.

Klaus Hemmerle era brillante pensatore, di grande serietà e profondità. Direi pure che era pensatore “mariano”, nel senso profondo e più proprio del termine. «Quello che cade dal Cielo deve crescere dalla terra», ebbe ad affermare in una conversazione verso la fine della sua vita. Animato da questa convinzione, non sorvolava l’umano, ma ne era verginale custode, delicato scopritore, rivelatore. Era straordinariamente intelligente, perché straordinariamente capace di immedesimazione. E capace di tanta immedesimazione perché straordinariamente aperto: senza barriere, appunto. Come mettono bene in rilievo i contributi di questo numero, il suo era un pensare che non partiva da lui né terminava in lui, ma era costantemente accolto e donato. «Pensare con la testa dell’altro» – e sentire con il cuore dell’altro – era un suo segreto non soltanto nel campo dell’ecumenismo che tanto gli deve. Un pensare-in-relazione – frutto di lunga esercitazione, ma anche del suo incontro decisivo con il carisma di Chiara Lubich verso la fine degli anni ’50 – che trovò il suo compimento, nell’ultimo scorcio della sua vita, nella partecipazione alla “Scuola Abbà”. Egli, in collaborazione con Chiara, contribuì in maniera determinante alla nascita di questo gruppo di studio interdisciplinare, fucina di una “nuova” cultura. Il volume Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita, (Roma 1998) ne è il frutto appena abbozzato e pubblicato solo dopo la sua morte.

Klaus Hemmerle, infine, era vescovo, quasi oserei dire, un nuovo tipo di vescovo: testimone, servitore, ispiratore di comunione trinitaria. Nella più grande libertà e fiducia accordata a tutti, col sogno della Chiesa-comunione il cui ritmo egli ha espresso nel noto trinomio mistero-comunione-missione. Chiesa-comunione che egli, nell’azione pastorale in diocesi, ha tradotto in un “cammino in comunione”. Chiesa-comunione che seppe concretizzare, tessendo instancabilmente legami di fraternità tra vescovi dei cinque continenti. Per loro organizzò regolarmente incontri che ebbero per base il patto di “amarsi a vicenda” come Cristo ci ha amati. Incontri che ormai si sono moltiplicati nel mondo e coinvolgono vitalmente centinaia di vescovi. Ma egli fu costruttore della Chiesa-comunione ancora in altri sensi di cui si troverà traccia su queste pagine: sapendo porsi sin dai primi anni di ministero al servizio della missione dei laici; adoperandosi per la compenetrazione della dimensione carismatica e di quella istituzionale della Chiesa; promuovendo con vera passione un ecumenismo che sa suscitare fra cristiani e anche fra personalità di diverse Chiese un’autentica comunione di vita; instaurando un dialogo senza confini, con la società e con la cultura nei loro vari ambiti, con persone anche di altre religioni a cominciare dall’ebraismo. Un «vescovo secondo il cuore di Dio, di vita santa», lo definì il presidente della Conferenza episcopale tedesca nella Messa del funerale.

A 13 anni dalla morte di questo grande uomo, riportiamo su queste pagine alcuni contributi che ne tracciano e attualizzano il profilo. Li dobbiamo alla nostra rivista-sorella tedesca Das Prisma che nel 2004, in occasione del decennio della morte di Hemmerle, pubblicò questi ed altri interventi. Ringraziamo gli autori, i curatori della rivista e la professoressa Simona Caucci di Teramo per il paziente lavoro di traduzione.

Ma sarebbe da ricordare anche un altro grande: don Silvano Cola, prima pietra della parte sacerdotale del Movimento dei focolari e colonna portante della nostra rivista sin dal suo nascere, il quale ci ha lasciati improvvisamente il 17 febbraio scorso. Gli dedicheremo prossimamente un numero speciale. Riportiamo intanto, a conclusione di queste pagine, l’articolo pubblicato su di lui nel quotidiano vaticano, «L’Osservatore Romano» del 1° marzo 2007.


Hubertus Blaumeiser


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1) Cf Gen’s 1/1995, pp. 16-19.

2) Cf Gen’s 1/1985, pp. 24-27.