Il recente documento della Commissione Teologica Internazionale

La teologia oggi:
prospettive, principi e criteri

di Thomas Norris

L’autore è un teologo irlandese, che vive da alcuni anni negli Stati Uniti, e fa parte, per un terzo mandato, della Commissione Teologica Internazionale (CTI). Egli ci offre indicazioni che aiutano la comprensione dell’ultimo testo elaborato dalla Commissione: «La teologia oggi: prospettive, principi e criteri». Questo documento, che va letto per intero per cogliere la sua ricchezza e attualità, costituisce un importante contributo anche per la celebrazione dell’Anno della fede.

 

La Commissione Teologica Internazionale, fondata da Paolo VI tre anni dopo il Vaticano II per continuare la collaborazione fra vescovi e teologi fecondamente sperimentata durante il grande Concilio, è un servizio all’intero Popolo di Dio. All’inizio di quest’anno la Commissione, composta da trenta teologi e teologhe, ha pubblicato un documento sulla natura della teologia cattolica, specificamente toccando i suoi criteri, principi e prospettive. In realtà, non è il primo documento della CTI sulla teologia. Ve ne sono già altri tre: L’unita della fede e il pluralismo teologico (1972), Magistero e teologia (1975) e L’interpretazione dei dogmi (1990).

Perché ancora uno studio sulla teologia?

La risposta richiede una parola sul contesto di quest’ultimo documento e sulla specificità della teologia stessa come scientia Dei e scientia fidei.

Per ciò che riguarda il contesto, c’è il fenomeno ricco di una nuova fioritura della teologia nel dopo Concilio. Se è vero che il Vaticano II era in grande parte il frutto del ressourcement biblico, patristico, liturgico e teologico del secolo ventesimo, il Concilio a sua volta stimolava un nuovo sviluppo nel vasto campo della teologia post-conciliare. Il documento La teologia oggi (TO), descrive così gli sviluppi che si sono prodotti nella teologia degli ultimi decenni: «Gli anni successivi al Concilio Vaticano II sono stati estremamente fecondi per la teologia cattolica. Sono emerse nuove voci teologiche, soprattutto quelle dei laici e delle donne; teologie provenienti da nuovi contesti culturali, in particolar modo America Latina, Africa e Asia; nuovi temi di riflessione, quali la pace, la liberazione, l’ecologia e la bioetica; approfondimenti di temi già trattati...; e nuove sedi di riflessione, come il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Sono tutti sviluppi fondamentalmente positivi» (n. 1).

Tutto però non era ugualmente valido nei risultati di questi sforzi e ricerche, come succede in ogni opera umana necessariamente perfettibile. Infatti, «in questo stesso periodo si è anche vista una certa frammentazione della teologia che nel dialogo sopra richiamato si trova sempre dinanzi la sfida di mantenere la propria identità» (ibid.).

Allora sorgeva la domanda concreta: Che cosa è la teologia cattolica?

Il compito della teologia cattolica

Il compito della teologia presuppone un discorso comune se vuole comunicare al mondo il messaggio unico di Cristo, sul piano sia teologico che pastorale. Perciò è così importante riflettere sui criteri, principi e prospettive di una tale teologia.

La teologia richiede un’unità che non vada confusa con l’uniformità, con la mera ripetizione del magistero, oppure con un unico stile. «Le teologie cattoliche dovrebbero essere identificabili come tali, e sono chiamate a sostenersi a vicenda e a rendere conto reciprocamente del proprio operato, come lo sono gli stessi cristiani nella comunione con la Chiesa per la gloria di Dio» (n. 3). Ecco il contesto di questo documento che riconosce il suo tema quale una necessità sia sul piano della fede che della rilevanza storica della Chiesa.

Si può sintetizzare il contenuto del documento dicendo che la teologia cattolica viene riconosciuta quando scaturisce dalla Parola di Dio, si svolge nell’ambito della Chiesa e si orienta alla gloria di Dio e alla salvezza dell’intero Popolo di Dio e del mondo. Ognuna di queste tematiche viene affrontata nei tre capitoli che compongono il testo. Descriviamoli brevemente.

L’ascolto della Parola di Dio

Nel capitolo iniziale troviamo in sintesi la dottrina del Vaticano II sulla rivelazione, dove il Verbo fatto carne esprime l’amore del Padre per la sua creazione, per ri­-dare al genere umano l’accesso al Padre per il Cristo nello Spirito Santo. Così Gesù Cristo «è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione»1.

«La teologia è una riflessione scientifica sulla rivelazione divina che la Chiesa accetta per fede come verità salvifica universale» (n. 5). Ne segue quindi un primo criterio della teologia, e cioè, il primato della Parola di Dio. Infatti, «la fede cristiana non è “una religione del Libro”; il cristianesimo è la “religione della Parola di Dio”, non di “una  parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”» (n. 7). Questa Parola di Dio ci raggiunge attraverso la Scrittura, la Tradizione e il magistero del Papa e del Collegio episcopale da lui presieduto.

Come insegna la Dei Verbum, la fede comporta il “pieno ossequio” dell’intelletto e della volontà al Dio che rivela2. Così la fede apre la strada sia alla speranza che non delude che all’amore che tramite lo Spirito Santo viene riversato nei cuori dei credenti (Rm 5, 5). La fede «è sia l’atto di credere o confidare, sia ciò che è creduto o professato, rispettivamente fides qua e fides quae» (n. 13). In tale maniera hanno origine la Chiesa e la sua fede. Così scopriamo un secondo criterio, cioè, la fede della Chiesa è fonte, contesto e norma della teologia cattolica (n. 15).

Credendo però ragioniamo! Anzi, «l’atto di fede, in risposta alla Parola di Dio, apre a nuovi orizzonti l’intelligenza del credente» (n. 16). Perciò sant’Agostino invita chiunque ricerchi la verità a «credere per comprendere: crede ut intelligas» (ibid.).

Per il dono dello Spirito Santo i credenti arrivano a una partecipazione nella conoscenza che Cristo ha del Padre, cioè, una certa partecipazione della mente (nous) del Cristo (1Cor 2, 16). «Questo lavoro di comprensione della fede a sua volta contribuisce ad alimentare e a far crescere la fede; è cosi che “la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si alza verso la contemplazione della verità”» (n. 17).

Da questa dimensione della fede che interpella l’intelligenza a dar ragione di ciò in cui si spera (cf 1Pt 3, 15) e si crede, sorge un terzo criterio della teologia cattolica: essa è «scientia Dei nella misura in cui è partecipazione razionale alla conoscenza che Dio ha di sé e di tutte le cose» (n. 18).

Nella comunione della Chiesa

Diventa chiaro che la teologia, essendo la ricerca dell’intelligenza della fede, e la fede a sua volta essendo la fede della Chiesa, ha il suo luogo “naturale”, specifico, nella Chiesa: «L’ecclesialità della teologia è un aspetto costitutivo del compito teologico» (n. 20).

Con incisività il testo tratta lo studio della Scrittura sottolineando sia il metodo filologico, storico e letterario, per «chiarire e comprendere la Sacra Scrittura nel suo contesto e periodo», sia i metodi «per riconoscere la dimensione divina della Bibbia e raggiungere un’interpretazione veramente “teologica” della Scrittura» (n. 22).

Nella ricerca di questa dimensione tre criteri sono fondamentali: «l’unità della Scrittura, la testimonianza della Tradizione e l’analogia della fede» (ibid.).

La Tradizione apostolica continua nella Chiesa (cf At 2, 42; Mt 28, 16-20), progredendo nella sua comprensione con l’assistenza dello Spirito Santo verso la pienezza della verità divina, come insegna la Dei Verbum 8. Fra i componenti della Tradizione bisogna menzionare la liturgia, i Padri della Chiesa, i Concili ecumenici, il magistero del Papa e del Collegio episcopale e, non per ultimo, il sensus fidelium. Il documento fa una distinzione tra la Traditio apostolica e le traditiones che sono sorte durante la storia della Chiesa e che devono essere viste alla luce della stessa Traditio apostolica. «È un compito profondamente legato alla cattolicità della Chiesa, e che presenta numerose implicazioni ecumeniche» (n. 31). La teologia cattolica trova nella fedeltà alla Tradizione apostolica un criterio basilare.

In fin dei conti, la fede cattolica è la fede del Popolo di Dio come insegna il Concilio in diversi testi. Perciò esiste il sensus fidelium che consiste nel sensus fidei del Popolo di Dio. «Quindi la Lumen gentium prima parla del popolo di Dio e del sensus fidei che questo ha, e poi dei vescovi che, tramite la successione apostolica nell’episcopato e il conferimento del loro specifico charisma veritatis certum (carisma certo di verità), costituiscono, in quanto collegio in comunione gerarchica con il loro capo, il vescovo di Roma e successore di Pietro al soglio pontificio, il magistero della Chiesa» (n. 33). Il sensus fidelium, già un tema scoperto nei Padri della Chiesa e proposto dal Beato John Henry Newman (1801-1890), non è «semplicemente un’opinione di maggioranza in una data epoca o cultura, né si tratta soltanto di un’affermazione secondaria rispetto a ciò che viene prima insegnato dal magistero» (n. 34).

Perciò il sensus fidelium costituisce un criterio importante della teologia cattolica che vorrebbe presentarsi quale intellectus fidei ecclesiae apostolicae.

Stupendo appare l’inquadramento della diakonia dei teologi e della teologia che viene proposto in una Chiesa-comunione (nn. 37-44), dove vescovi e teologi vivono la Parola rivelata e esercitano i loro impegni, differenti ma correlati, in una unità vitale e secondo l’ordine proveniente dalla rivelazione stessa. «La teologia è il principio fondamentale e regolatore di tutto il sistema ecclesiale», scrive il Beato Newman, e tuttavia «non sempre la teologia può prevalere» (n. 42)3. Ecco perché qualche volta sorgono tensioni fra magistero e teologi.

Facendo riferimento al già citato documento della CTI del 1975, questo nuovo testo fa un chiarimento di grande importanza pratica ed evangelica: «Dovunque c’è vera vita lì c’è pure una tensione. Essa non è inimicizia né vera opposizione, ma piuttosto una forza vitale e uno stimolo a svolgere comunitariamente e in modo dialogico l’ufficio proprio di ciascuno» (n. 42).

Ecco ancora un criterio della teologia cattolica che deriva dall’organismo vitale del Corpo di Cristo nel mondo, e cioè la fedeltà al magistero secondo i vari livelli dello stesso magistero.

La comunità dei teologi

Il successivo criterio-prospettiva che formula il documento è la comunità dei teologi, i quali attualizzando esistenzialmente la realtà della Chiesa-comunione, sapranno vivere, pensare e scrivere insieme e dal di dentro del Mistero di Cristo che è Mistero di comunione (Gv 17, 21s; Ef  1, 3-12; 2, 14-18). Vivendo la comunione trinitaria nella Chiesa potranno dare un timbro tutto particolare alla loro ricerca.

A partire dai loro vari contesti culturali, nazionali ed ecclesiali, i teologi sentono sempre più la loro unità e la chiamata a collaborare. Teologi/e laici/e spesso «operano alle frontiere dell’esperienza e della riflessione della Chiesa». In questo modo tanti «hanno esperienza di particolari aree di interazione tra la Chiesa e il mondo, tra il Vangelo e la vita» (n. 47).

Questa visione della teologia possiede una particolare rilevanza per il dialogo ecumenico, dove i teologi cattolici e quelli delle altre tradizioni cristiane s’incontrano e «agiscono da ambasciatori per le loro comunità nel santo compito di ricercare la riconciliazione e l’unità dei cristiani, in modo che  il mondo possa credere (cf Gv 17, 21)» (n. 49).

Determinante anche nel documento la visione che presenta sulla necessità del “dialogo con il mondo” in fedeltà alla grande Costituzione conciliare Gaudium et spes. Bisogna scrutare “i segni dei tempi” che sono «quegli avvenimenti o fenomeni nella storia umana che in un certo senso, in ragione della loro portata o impatto, definiscono un periodo e danno espressione a particolari esigenze o aspirazioni dell’umanità di quel tempo» (n. 54).

La Chiesa si spinge a saper leggere questi segni per annunciare il Vangelo sulle orme di Cristo e per rendere testimonianza alla giustizia e misericordia di Dio (cf n. 54). Ne segue quindi come un altro dei criteri per una teologia autentica, la necessità d’essere «in dialogo costante con il mondo» (n. 58).

Rendere ragione della Verità di Dio

Dopo la trattazione della fonte di tutte le discipline teologiche nella rivelazione divina ricevuta per e nella fede (primo capitolo), e dopo il fare teologia nella comunione della Chiesa (secondo capitolo), il nostro documento giunge al capitolo conclusivo. La verità di Dio data nella rivelazione ed elaborata nelle teologie dev’essere sempre più capita. Fides quaerens intellectum è la formula classica risalente fino a Sant’Agostino e rifiorita dai santi Anselmo, Bonaventura e Tommaso nel Medio Evo.

Il capitolo studia tre grandi tematiche: (1) la teologia cerca di tradurre in discorso scientifico la Parola di Dio espressa nella rivelazione; (2) la compatibilità del numero piuttosto elevato di metodi teologici e la pluralità delle discipline che devono essere armonizzate con l’unità fondamentale della teologia; (3) il legame fra teologia ed esperienza spirituale aprendosi alla vera sapienza (cf n. 60).

Rivelazione e riflessione

Nell’evento dell’annunciazione leggiamo nel racconto di Luca (cf 1-2) che Maria non solo ricevette dall’angelo la rivelazione dell’incarnazione per mezzo della fede, ma che ella meditava e conservava la parola dell’angelo. Maria non considerò sufficiente la fede, ragionava; non solo accettò, lavorava. Così ella è modello e guida sia per il credente che per il teologo che deve misurare e ragionare, paragonare e analizzare4.

Il TO segue proprio questa stessa strada. La verità rivelata, anche se supera infinitamente le nostre capacità di comprensione, non è contraria al tentativo di comprendere. «La verità rivelata di Dio, quindi, richiede e al contempo stimola la ragione del credente... E così ha inizio l’intellectus fidei, la forma assunta qui sulla terra dal desiderio del credente di vedere Dio» (n. 63).

Un argomento assai attuale affrontato dal testo è quello della varietà della nozione di scienza. «Esiste una tendenza moderna che riserva il termine “scienza” alle sole scienze dure o hard sciences (matematica, scienze sperimentali, ecc.), considerando invece irrazionale o semplice opinione la conoscenza che non corrisponde ai criteri di queste scienze. Questa visione univoca della scienza e della razionalità è riduttiva e inadeguata» (n. 62). Non solo si chiude nei riguardi della rivelazione e del dinamismo della fede, ma anche danneggia seriamente l’entelechia e il dinamismo della ragione che, come Aristotele rilevava, «vuol diventare in qualche modo (quodammodo) ogni cosa».

Al testo non manca il coraggio di affrontare gli sviluppi avvenuti dopo la Scolastica e durante la Riforma e l’Illuminismo, quando la filosofia e la teologia si separano e si oppongono l’una all’altra, per un indebolimento reciproco in forma di razionalismo o/e fideismo.

Mantenere l’unità nella diversità

Ecco perché è necessario un altro criterio per la teologica cattolica: «deve cercare di dare una presentazione, argomentata scientificamente e razionalmente, della verità della fede cristiana... così da superare sia il fideismo sia il razionalismo» (n. 73).

Com’è alla vista di tutti, oggi c’è una pluralità di metodi e indagini, e perciò di teologie nella Chiesa e nelle sue Facoltà e Accademie. Questo fatto costituisce una vera sfida per la Chiesa come per la teologia stessa. Il compito principale è quello di mantenere l’unità nella legittima diversità.

Seguendo il Vaticano II, il testo propone un principio per guidare una tale avventura, e cioè: «Tutti i “misteri” contenuti nei diversi trattati teologici si riferiscono a quello che è, nel senso più stretto, l’unico Mistero assoluto, ossia il Mistero di Dio... Poiché il Mistero di Dio è rivelato in Cristo per la potenza dello Spirito Santo» (n. 74).

In quel senso è necessario sempre immergere tutte le verità nel mistero rivelato, nell’amore sconfinato del Cristo che oltrepassa ogni conoscenza (cf Ef 3, 19). Il dialogo fra la scienza della teologia e in genere le scienze nuove, siano Geisteswissenschaften che Naturwissenschaften, poggia «sull’unità della verità e quindi sull’unità fondamentale della teologia stessa» (n. 85).

Infine la dimensione sapienziale della teologia. La Sacra Scrittura come sappiamo parla spesso della sapienza. Infatti, «... è l’intuizione dei saggi d’Israele che la sapienza di Dio opera nella creazione e nella storia e chi comprende ciò comprenderà il significato del mondo e degli eventi (cf Pr 7ss; Sap 7ss)». Ma che cosa è la sapienza?

Il TO risponde dicendo che «la sapienza è l’arte di conoscere il mondo e di orientare la propria vita alla devozione a Dio» (n. 87). Attraverso la sapienza, umana e divina, riusciamo a percepire in un certo modo il Mistero di Dio rivelato in Gesù il Cristo, anche se «attraverso uno specchio indistintamente» (1Cor 13, 12).

Il testo riassume il discorso sul Mistero di Cristo in chiave patristica. Si contempla in esso, infatti, un disegno di ekstasis, di kenosis, e di theosis.

L’ekstasis esprime l’amore, la comunione e la compenetrazione delle tre Persone Divine. La kenosis consiste nella «rinuncia alla figura di Dio da parte di Gesù nella sua incarnazione, per assumere quella di schiavo (cf Fil 2, 5-11». Infine, la theosis – tema amatissimo tra i fratelli ortodossi – sottolinea  il fatto che «gli esseri umani sono chiamati a partecipare alla vita di Dio e a partecipare “della natura divina” (2Pt 1, 4) attraverso Cristo, nello Spirito» (n. 98).

La sapienza della croce

La sapienza in teologia è molto sensibile al «senso di vuoto e di assenza di Dio che molte persone sperimentano oggi, e che pervade una così vasta parte della cultura moderna» (n. 98). Questa assenza costituisce un volto particolare del Redentore il quale morendo per tutti (cf Mc 10, 45; Gal 2, 20) mostra la vera sapienza di Dio (1Cor 1, 24). È la parola della croce (1Cor 1, 18) che ci mostra e ci dà in dono incomparabile la sapienza rivelata dal Dio di Gesù Cristo. Il dramma della storia consiste nel fatto che questa sapienza-amore è vista come stoltezza per il mondo (1Cor 1, 18-25; 2, 6-16).

In conclusione. Il lettore incontra, attraverso la lettura di tutto il documento, lo spirito dell’ouverture, e cioè, «un senso profondo della gioia e del privilegio della vocazione teologica» (n. 100), un senso nutrito dalla visione dell’indagine teologica come diakonia alla Parola di Dio, rivelata e trasmessa nella Scrittura e nella Tradizione alla Chiesa di Dio.

Questo servizio si estende ai fratelli e alle sorelle di altre comunità cristiane e persino delle grandi religioni mondiali.

Come la preghiera eucaristica si conclude in una dossologia «caratterizzata dalla lode e dal ringraziamento» (n. 100), così fa il nostro documento citando la Lettera agli Efesini: «A colui che in tutto ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen» (3, 20-21).

Thomas Norris

 

1)            Dei Verbum, 2.

2)            Ibid., 5.

3)            J. H. Newman, Preface to the Third Edition, in H. D. Weidner (ed.), The Via Media of the Anglican Church, Oxford 1990, 27.

4)            Cf J. H. Newman, Oxford University Sermons, London 1871, Sermon XV.