Quale futuro per la fede?

 

È ben nota la diminuzione, soprattutto in Europa ma in numeri assoluti nel mondo intero, dei cristiani impegnati nella vita del Vangelo ed enucleati istituzionalmente, specie nelle cosiddette Chiese storiche. Perciò gli ultimi Papi hanno parlato reiteratamente di “crisi della fede”, di “notte oscura della fede epocale e collettiva”. Gli studi e le riflessioni al riguardo si moltiplicano.

Quale il motivo di un tale “allontanamento” e della crescita di secolarismo, indifferenza, agnosticismo, oltre l’ateismo che in gruppi sempre più consistenti diventa militante, cioè operativo e spesso aggressivo nell’opporsi alla religione?

Si tratta di una realtà talmente estesa, diversificata e complessa che sarebbe ingenuo pretendere di offrire una risposta minimamente completa in poche righe.

Una cosa è certa: che oltre i malesseri che ciò produce, costituisce – come ogni svolta storica – un’occasione per scoprire nuovi aspetti della bellezza, novità e verità contenute nel cristianesimo. Emblematici a riguardo i tentativi attuali, con esiti alterni, di trovare modi di presentazione che siano al contempo aderenti all’autentica fede cristiana e più comprensibili e attraenti per il mondo d’oggi. Si segue con ciò il criterio indicato dal Vaticano II, valido per i teologi ma non solo: «ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca: altro è, infatti, il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono espresse» (GS 62).

Qui vorremmo rilevare solo un aspetto, poco esplorato, che può contribuire a far cogliere quella che è forse la più importante motivazione dell’ateismo.

È vero che gli atei d’oggi ripetono argomenti già presentati in passato. Però con delle novità. La prima che non vengono esposti tanto da pensatori individuali, ma è una sensibilità che si diffonde a livello delle masse. Un’altra caratteristica è l’affermazione, non solo tra gli intellettuali ma in un gran numero di persone, del fatto che desidererebbero aver fede, ma “non ci riescono”; prevale una persuasione quasi invincibile della non esistenza di Dio.

Quello che produce una tale percezione, non è solo il male e la sofferenza di fronte a cui si domanda perché Dio, se è Buono e Onnipotente, non interviene in modo evidente per evitarcele. In stretto rapporto con ciò, ma più ampiamente, è “l’invisibilità” di Dio che fa difficoltà, la sua assenza, il suo silenzio, la non necessità dell’“ipotesi Dio” per spiegare quanto normalmente succede nei rapporti umani e nell’universo.

Alcuni hanno avvertito da tempo questa crescente sensibilità, anticipando i tempi e trovando risposte che rendono possibile “il coraggio” (l’espressione è di Etty Hillesum) di credere in Dio.  Tipico il caso di Simone Weil, che scriveva: «Dio solo può essere presente nella creazione come assente… L’assenza di Dio è la testimonianza più meravigliosa dell’amore perfetto».

Se Dio è Amore, lì deve trovarsi la spiegazione del suo presentarsi all’umanità in modo tale che possa essere negato. L’amore infatti deve offrire all’amato la possibilità di riamare a sua volta. Ma perché ciò possa avverarsi, deve lasciare all’altro la libertà. Con i rischi che ciò comporta.

L’amore non può non correre tali rischi. Non può essere paternalista, sovraprotettore, ricattatore, tiranno, giustiziere, arrogante, fazioso, prepotente... Per questo l’Amore di Dio non può presentarsi all’umanità con una presenza evidente e innegabile che s’imporrebbe a noi: deve farci “uguali a Sé”, cioè capaci d’amare liberamente, veri protagonisti del nostro destino.

Questo spiega che Lui prenda sul serio la storia umana rispettando i suoi ritmi, pur con le sue lentezze e atrocità. Sorreggendoci, ispirandoci, accompagnandoci, attendendoci con pazienza infinita, perdonandoci, chiamandoci a un amore più grande dietro ogni dolore… senza mai sostituirsi a noi! Non si può chiedere di meno o di diverso all’Amore. La sua presenza attraverso la sua “assenza” è il modo con cui Dio dice all’umanità: “ti amo”.

Solo un Dio così è plausibile e credibile. Prima si diceva: «se lo capisci totalmente, non è Dio»; oggi si aggiunge: «se è Dio, non può mostrarsi con evidenza».

Su quest’ordine di idee spesso ci si trova d’accordo. Ma oggi è necessaria e si sta aprendo strada una comprensione ulteriore, più completa e ultimativa. Raramente viene colta, nonostante aggiunga qualcosa di decisivo nell’esplicitare le caratteristiche dell’Amore di Dio e le sue conseguenze per noi.

Precisamente perché è Amore, nell’intimo della vita del Dio Uno e Unico ci devono essere pluralità, relazioni, donazione, accoglienza, reciprocità, la più assoluta unità nella più piena distinzione. È un’esigenza costitutiva del Suo Amore – come si evince dagli insegnamenti e dalla vita di Gesù –, una dinamica comunionale. Perciò la fede cristiana afferma contemporaneamente l’unità e trinità di Dio, della quale una caratteristica fondamentale è l’Essere-Se-stesso-facendo-essere-l’Altro. Nell’amore vero ognuno si fa nulla perché l’altro sia e, nella reciprocità, ritrova più pienamente se stesso.

Perciò quando Dio si rapporta “fuori di Sé” non può farlo che “trinitariamente”. Si relaziona con il cosmo e con la storia “annullandosi” per amore per farci essere noi stessi.

Solo se in risposta a ciò, da parte nostra, impariamo ad amare “assumendo l’assenza”, nella ricerca della più intima unione con Dio e fra noi in Lui, rendiamo possibile un futuro per la fede. 

E.C.