Ruolo dei Movimenti ecclesiali per la recezione del Vaticano II

I carismi: un contributo specifico da valorizzare

di Mons. Christoph Hegge

 

La relazione del vescovo ausiliare di Münster (Germania), tenuta nel giugno scorso a un seminario di studi sul Concilio Vaticano II organizzato dalla nostra rivista, aiuta a guardare la questione della recezione del Concilio da una prospettiva non tenuta sempre presente. Leggere cioè i carismi come dono dello Spirito per tutti e, d’altro canto, comprendere il servizio del magistero come aiuto affinché portino quei frutti per i quali sono stati donati alla Chiesa e alla società.

 

Questa mia esposizione cerca di spiegare il ruolo paradigmatico dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità per la recezione – e più esattamente per la trasposizione in vita concreta di comunione – dei testi del Concilio Vaticano II. Ruolo specifico che deriva dal fatto che i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità si fondano su un carisma originario quale principio di vita e dono dello Spirito Santo, il quale anima pure i processi di recezione.

 

1.            Che cosa significa “recezione” in generale e nella Chiesa

In senso generale, per “recezione” si intende il procedimento «attraverso il quale un bene materiale o spirituale di un indivi­duo o di un gruppo diventa possesso di un altro individuo o di un altro gruppo»1. Il termine “recezione” indica dunque essen­zialmente il processo stesso e con esso il modus dell’eventuale sviluppo del destinatario, del mittente e del messaggio. Il pro­cesso di recezione esercita un influsso co-costitutivo sui portato­ri della recezione, sui destinatari e sul contenuto da recepire. Non va inteso pertanto come evento puramente ricettivo-passivo, come una sorta di «accettazione esplicita di decisioni prese senza la partecipazione di coloro i quali attuano la recezione»2. La recezione è piuttosto il «processo creativo (...), nel quale una co­munità fa proprio ciò che le viene annunciato, dandogli for­ma»3. Le implicazioni ermeneutiche dei processi di recezione, qui solamente accennate, fanno riferimento al valore centrale della dimensione esistenziale dei partner della recezione in comunicazione tra loro, poiché il contenuto “da comprende­re” – la cosa o il bene stesso – fa parte come sostanza «dell’esperienza intersoggettiva dell’autocomprensione»4. In ambito ecclesiale ciò corrisponde all’esperienza di fede comunionale, sia della Chiesa globalmente intesa, che di ogni singolo.­

Limitandoci al concetto di recezione postconciliare si può constatare che la recezione rappre­senta il processo di conoscenza che traduce il kairós conciliare per l’unità comunionale della Chiesa in quella forma di vita re­lazionale dei fedeli, attraverso la quale la presenza e la storia della fede, la Chiesa e il mondo vengono mediati tra di loro. Si cerca così di tornare all’unità originaria (“prescolastica” o “mistica”) di spiritualità e intelletto. I testi del Vaticano II possono essere com­presi e recepiti in modo pressoché completo solo se la corri­spondente forma di vita pneumatico-carismatica dei fedeli con­duce appunto a quell’incontro (o corrispondenza) con i testi, così come viene inteso e sollecitato dai testi conciliari e dallo spirito che li anima. «Poiché come il Concilio comprese se stesso quale evento pen­tecostale, anche la sua vera recezione può essere solo un rinnovamento della Chiesa nello Spirito Santo. Riguardo a ciò ­l’ermeneutica si trova davanti a un compito che va ben oltre un’oggettiva interpretazione del testo [...] – tutto ciò che costituisce il Concilio come movimento, lo ‘Spirito’ del Concilio, non so­no nient’altro che doni dello Spirito Santo. Al di là del signifi­cato tecnico del termine, ‘recezione’ del Concilio vuol dire dunque recezione, accoglienza dei doni di Dio, nei quali egli istaura il suo Regno»5. La recezione odierna del Concilio, come la recezione ecclesiale in genere, richiede pertanto un apporto attivo e “creativo” di tut­ti i fedeli nel leggere e interpretare (discretio spiritum) i “segni dei tempi” (cf GS 11, 4, 44; cf Gv 16, 12-47)6. A tal proposito la Commissione Teologica Internazionale fa giustamente presente che l’interpretazione attualizzante degli articoli di fede «non è un processo meramente intellettuale, e neppure solo esistenziale o sociale. Essa […] è ispirata, sostenuta e guidata dall’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel cuore di ogni cristiano. Si compie nella luce della fede; riceve il proprio impulso dai carismi e dalla testimonianza dei santi che lo Spirito di Dio dona alla sua Chiesa in una data epoca. Ugualmente in tale contesto si situano la testimonianza profetica dei movimenti spirituali e la sapienza interiore derivante dall’esperienza spirituale dei laici ripieni dello Spirito di Dio (cf DV 8)»7.

In questo senso, i Cammini e i Movimenti carismatici potrebbero rivelarsi entità paradigmatiche per la recezione, in quanto proprio la dimensione pneu­matica di tali Movimenti si collega con la di­mensione pneumatica e comunionale dei processi di recezione ecclesiale.

 

2.            La dinamica recezionale come aspetto intrinseco dei carismi ecclesiali

Per intendere bene il ruolo paradigmatico dei Movimenti ecclesiali nel processo di recezione del Concilio bisogna spiegare la natura stessa dei loro carismi che rappresentano il principio vitale della loro stessa esistenza.

Il Vaticano II, pur soffermandosi sul tema dei carismi in diversi documenti conciliari8, non ha voluto esprimere una visione dot­trinale teologicamente conclusa sui carismi9. Senza poter riportare qui un’analisi approfondita dei testi conciliari, elenchiamo brevemente alcune conclusioni di maggiore importanza riguardanti il tema del ruolo paradigmatico dei Movimenti ecclesiali nel processo di recezione del Concilio Vaticano II.

(1)          Spiegando che lo Spirito Santo provvede la Chiesa «di diversi do­ni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige» (LG 4,1) il Concilio sottolinea la co-originarietà dei carismi e dei ministeri gerarchici nello Spirito Santo, che è lo Spirito del Risorto. Qualsiasi ten­denza di un’ottica concorrenziale – che vorrebbe contrapporre l’istituzione del ministero in Cristo da un lato e dei carismi nello Spirito Santo dall’altro – correrebbe il rischio di non prendere sul serio la costituzione comunionale della Chiesa e, in fondo, la sua origine nella Trinità. Lo Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, è il primo garante proprio di questa unità personale nella di­versità di ministeri, servizi, funzioni e carismi nella Chiesa (cf LG 4,2).

(2)          Secondo LG 7,3 tra i diversi doni dello Spirito Santo eccelle (praestat) quello degli apostoli, alla cui autorità «ipse Spiritus etiam charismaticos subdit (cf 1Cor 14) (a cui lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici)». Non è quindi in virtù propria che l’autorità gerarchica sottomette a sé i carismatici, bensì “ipse Spiritus (lo stesso Spirito)” ha sottomesso i carismi all’autorità degli apostoli. La responsabilità del ministero pastorale nei confronti dei carismi va pertanto compresa come as­sunzione di un impegno che ha origine nello Spirito Santo, e quindi come compito spirituale (“Spiritum nolite extinguere”; “quod bonum est tenere”) e non prevalentemente giuridico (cf LG 12,2). Con­temporaneamente al loro particolare carisma, ai carismatici vie­ne dato il loro “essere-in-relazione” quale modo d’essere “trinitario” che proviene dallo Spirito. I carismi sono veramente carismi ecclesiali solo se nella loro essenza sono espressione comunionale dello Spirito trinitario.

(3)          Inoltre i carismi hanno per loro scopo specifico il rinnovamento e la piena edificazione della Chiesa10. Lo Spirito Santo stesso, mediante i carismi, rende i fedeli adatti e pronti (“aptos et promptos”) ad operare nella Chiesa. Egli incide dunque sulla loro volontà. Sotto la sua influenza, l’agire umano, se non ci sono interferenze di altro genere, diventa quasi-sacramentale.

(4)          Il Concilio sottolinea “il diritto e il do­vere” dei credenti di esercitare i carismi (cf AA 3,3-4). Guidata dallo Spirito, la gerarchia è chiamata ad accogliere con animo aperto e con gioia quest’azione dello Spirito Santo nei fedeli e a favore dei fedeli11.

Riassumendo quanto abbiamo detto sulla dottrina conciliare sui carismi, risulta palese la corri­spondenza fra carisma e recezione. Guidati dallo Spirito per mezzo dei rispettivi carismi, i processi di recezione del Vaticano II nei Movimenti ecclesiali hanno una loro credibilità e plau­sibilità e in questo senso anche un’autorità morale che possono servire da punto di riferimento per tutti i processi di recezione all’interno della Chiesa.

 

3.            I deficit nella recezione postconciliare del Vaticano II

Si può constatare che la recezione dell’ecclesiologia di comunione, nel senso di una appropriazione spirituale ed esistenziale del concetto e del contenuto della Chiesa-comunione da parte del popolo di Dio, non è ancora pienamente avvenuta12. Il teologo Hermann Josef Pottmeyer descrive tale deficit insieme alla grande sfida di un rinnovamento e un approfondimento della vita ecclesiale. Riferisco qui la sua analisi: «Il fatto è che la prima attuazione del Concilio avvenne ancora nel contesto di una mentalità di Chiesamaggioritaria (Volkskirche). In questa coscienza di Chiesa maggioritaria, l’appartenenza alla Chiesa era considerata ancora ovvia. Non sembrava rappresentare un problema, bensì il passo in avanti del Concilio veniva identificato con la maggiore valorizzazione del ruolo dei laici e con la loro corresponsabilità, per la quale si trattava di creare le strutture corrispondenti. Ciò spiega perché la riforma della Chiesa verso una comunione del popolo di Dio significava per noi soprattutto una riforma delle strutture. Ora, senza dubbio la creazione di strutture di corresponsabilità a tutti i livelli della Chiesa faceva parte delle proposte del Concilio, poiché l’approfondita autocoscienza della Chiesa doveva esprimersi e attuarsi nelle nuove forme di partecipazione alla edificazione e alla missione della Chiesa. Tuttavia, l’intenzione del Concilio era molto più profonda. L’edificazione di una Chiesa popolo di Dio era innanzi tutto e primariamente una sfida e un compito di ordine spirituale. Al giorno d’oggi, dove l’appartenenza alla Chiesa ha perso il suo carattere di ovvietà, questo messaggio del Concilio non ci raggiunge più come verità teorica, bensì in maniera molto più esistenziale, come chiamata ad una decisione cosciente dalla quale dipende il futuro della Chiesa e della comunità. L’ineludibilità del compito di ri-generare la comunità diventa sfida e opportunità di recuperare adesso quel passaggio a un approfondimento spirituale della nostra comprensione di Chiesa e di riforma, il quale, secondo l’intenzione del Concilio, avrebbe dovuto precedere o accompagnare gli altri passi della riforma»13.

La cosiddetta “rivoluzione culturale” dei tardi anni ’60 era un’altra circostanza che «accentuò l’unilateralità con cui l’intento della riforma conciliare venne recepito nel nostro contesto nel senso di una mera riforma delle strutture. L’anelito del ’68 verso una democratizzazione in tutti gli ambiti della vita trovò risonanza anche nella Chiesa. La partecipazione corresponsabile venne considerata da gruppi e voci altosonanti come rigorosa democratizzazione della Chiesa e abolizione del suo assetto gerarchico. Quello che nelle intenzioni del Concilio doveva essere un riconoscimento positivo ma chiaramente anche critico e ponderato delle conquiste della modernità, rischiava ora di essere malinteso come un adeguarsi ai trend dell’epoca»14.

«In effetti, con il tempo si prese sempre più coscienza di questo difetto della recezione del Concilio fin qui compiuta. Nel 1985, Papa Giovanni Paolo II convocò un Sinodo dei vescovi straordinario al fine di fare un bilancio della realizzazione del Concilio fino a quel momento. Il principale risultato dell’analisi di questo Sinodo fu la constatazione esattamente di quel deficit di cui abbiamo appena parlato: di aver osservato troppo poco la priorità del rinnovamento e approfondimento della coscienza ecclesiale rispetto a qualsiasi altra riforma. Il Sinodo mise quindi in rilievo il concetto della communio come punto focale della visione conciliare della Chiesa: la Chiesa è la communio del popolo di Dio, che ha il suo fondamento nella communio con la Trinità divina e da essa deriva e trae continuamente vita»15.

In questo contesto l’autore ricorda l’eredità di Giovanni Paolo II così come egli la formulò nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, a chiusura del grande giubileo del 2000. Giovanni Paolo II «si rifà al bilancio del Sinodo dei vescovi del 1985 che, nell’attuazione del Concilio, aveva rilevato la mancanza di dare adeguata priorità alla riforma spirituale rispetto ad ogni riforma esteriore. Dalla Chiesa come comunione del popolo di Dio, che vive della comunione della Trinità e da essa si rinnova, da questa affermazione centrale del Sinodo il Papa deriva l’orientamento pastorale per il prossimo futuro. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo” (NMI 43). E qui enuncia l’istanza che a mio avviso è l’intuizione profetica di questo Papa: l’edificazione della Chiesa come comunione necessita una spiritualità della comunione, di modo che la Chiesa cresca nei cuori. Scrive il Papa: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione”. Egli non si limita però a una richiesta teorica, ma formula precise caratteristiche di una tale spiritualità della comunione»16. Il Papa «conclude l’enumerazione di queste caratteristiche di una spiritualità della comunione con un chiaro monito: “Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita” (NMI 43). Questo è un chiaro giudizio negativo riguardo a tutti i tentativi di affrontare il tramonto della Chiesa maggioritaria (Volkskirche) solo attraverso una riorganizzazione pastorale delle parrocchie. […] Una simile riorganizzazione – questo l’intento del Papa che egli condivideva con il Concilio – può avere buon esito solo tramite un cambiamento di mentalità che sia motivato e guidato spiritualmente. Ogni altra via misconosce e non centra quel mistero che è la Chiesa»17.

 

4.            La recezione del Vaticano II da parte dei Movimenti ecclesiali

(1)          Furono proprio le Comunità e i Movimenti spirituali, nella prima metà del 20° secolo, a contribuire in un modo peculiare allo sviluppo di quelli che sarebbero poi stati i contenuti essenziali del Concilio Vaticano II, riguardo ad esempio all’ecclesiologia di comunione e alla riscoperta dell’insegnamento sulla dimensione carismatica e pneumatica della Chiesa. Negli anni dopo il Concilio, fino agli anni ’90 circa, il punto di forza di questi Movimenti era l’approfondimento del loro carisma attraverso un’assimilazione e un approfondimento teologico ed esistenziale dei contenuti centrali dell’ecclesiologia di comunione del Concilio. Attualmente sembra invece che i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità siano concentrate soprattutto su un consolidamento delle proprie strutture. Per questo, essi vengono spesso definiti come “spirituelle Laboratorien” (laboratori di vita spirituale) (Michael Hochschild), “Wahlheimaten” (patrie elettive) (Andreas Wollbold) o “geistliche Selbsthilfegruppen” (gruppi spirituali di reciproco aiuto) (Joachim Wanke). Si ha l’impressione che i Movimenti e le Comunità ecclesiali non si donino ancora pienamente in senso missionario o diaconale alla Chiesa, ma si concentrino soprattutto sull’obiettivo di aggregare nuovi membri. Detto questo, bisognerebbe riformulare la missione attuale dei Movimenti ecclesiali in base alla forza recezionale, comunionale e visionaria dei loro carismi di fondazione. Mi limito solo a qualche cenno al riguardo.

(2)          I vari Movimenti ecclesiali sono realtà carismatiche in quanto si fondano su un carisma originario dono dello Spirito Santo. «…nella storia i movimenti apostolici appaiono in forme sempre nuove, e necessariamente, poiché sono precisamente la risposta dello Spirito Santo alle mutevoli situazioni in cui viene a trovarsi la Chiesa»18, ha affermato Benedetto XVI, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. I fondatori dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità si sentono chiamati da Dio a una vita di fede ben determinata e concreta, in forza del carisma ricevuto in dono. Scoprono in uno specifico aspetto della fede (ovvero del Vangelo), ciascuno alla luce del proprio carisma, la loro particolare vocazione come risposta alle sfide presenti nella Chiesa e nella società. Essendo inerente a ogni autentico carisma ecclesiale la dimensione comunionale della vita concreta e della vita spirituale – come abbiamo esposto sopra – nei Movimenti ecclesiali e nelle nuove Comunità la vita del carisma conduce alla formazione di una spiritualità comunionale, il cui nucleo rappresenta in genere un ritorno attualizzante alle origini della vita cristiana (battesimo, Sacra Scrittura, lode a Dio, Chiesa delle origini, cf At 2, 42-47; 4, 32-35). Nell’atto di recezione carismatico-esistenziale, i nuovi Movimenti realizzano l’aspetto battesimale della libertà dei figli di Dio e l’aspetto comunionale di vita della Chiesa primitiva e conciliare dialogando allo stesso momento in forza della loro testimonianza di vita con la mentalità post-moderna.

Ecco il primo risultato della recezione carismatica-comunionale dei nuovi Movimenti: il rinnovamento della Chiesa secondo Gesù Cristo e secondo il Vangelo avviene laddove i credenti si abbandonano personalmente e comunitariamente e con la loro storia all’azione dello Spirito di Dio lasciando che sia la sua guida a indicare la via e il modo di rinnovarsi della Chiesa e obbedendo contemporaneamente ai vescovi, al Concilio e al Papa. In questo senso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità riescono ad affrontare i grandi problemi culturali e sociali che minacciano l’esistenza della Chiesa non soltanto con soluzioni strutturali e organizzative, ma con un’offerta di vita spirituale che è in grado di entrare in un dialogo, fondato nella testimonianza di vita cristiana e in un confronto spirituale convincente, sia con il senso di libertà dell’uomo di oggi sia con la sua ricerca di valori e di stili di vita autentici19.

Nello stesso processo di recezione carismatico-esistenziale del Concilio Vaticano II i Movimenti e le nuove Comunità riescono a trasmettere in modo nuovo la fede e i valori della Chiesa, perché esse danno origine ad ambienti di vita religiosi nei quali gli insegnamenti della Chiesa vengono sperimentati in modo nuovo, nella loro rilevanza per la fede e per la vita. Questo le qualifica come «luoghi dell’esperienza spirituale […], come realtà portatrici di vita e di dottrina. […] Non offrono teorie agli aderenti, ma una vita»20. Esse pongono al centro la fede vissuta insieme e sperimentata integralmente. In sostanza a loro preme la cosa più importante della nostra fede, «vale a dire il centro esistenziale dell’uomo che viene toccato nel suo rapporto con Dio e nel suo amore verso il prossimo. Cioè il fatto che il nostro cuore risuona davanti a Dio. L’esperienza di questo venir toccati e ciò in modo tale che la scintilla della gioia di credere si propaghi anche ad altri: proprio nei giovani questo è diventato relativamente raro nella nostra normale vita quotidiana della Chiesa di oggi»21.

(3)          Quest’analisi viene confermata dai diversi interventi intorno al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali a Roma nel 1998. L’esigenza di una “nuova evangelizzazione” soprattutto nei Paesi di antica tradizione cristiana, sottolineata da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte (n. 40), trova una concretizzazione nella sua allocuzione davanti ai membri di circa 60 Movimenti ecclesiali e nuove Comunità riuniti in Piazza S. Pietro per celebrare la veglia di Pentecoste 1998. Dice il Papa: «Voi qui presenti siete la prova tangibile di questa “effusione” dello Spirito. Ogni movimento differisce dall’altro, ma tutti sono uniti nella stessa comunione e per la stessa missione»22.

Nella sua lettera autografa inviata al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali (27-29 maggio 1998), organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici23, che precedeva la veglia di Pentecoste 1998, il Santo Padre spiega più profondamente la dinamica di recezione tra carismi/Movimenti e Chiesa/magistero mettendo in rilievo che «pur nella diversità delle forme, i movimenti si caratterizzano per la comune consapevolezza della ‘novità’ che la grazia battesimale porta nella vita, per il singolare anelito ad approfondire il mistero della comunione con Cristo e con i fratelli, per la salda fedeltà al patrimonio della fede trasmesso dal flusso vivo della Tradizione»24.

“Comune consapevolezza” nella grazia battesimale vissuta ed attualizzata per mezzo del carisma originario di ciascun Movimento che porta, secondo il teologo Piero Coda, alla recezione di tre punti della dottrina del Concilio Vaticano II: «la forma della comunione come realizzazione e manifestazione dell’essere Chiesa, il volto laicale della Chiesa e il principio della sua “identità mariana”»25. Riguardo la Chiesa “comunione”, l’autore sottolinea: «Se ciò che lo Spirito ha voluto dire alla Chiesa, attraverso il Concilio Vaticano II, è l’idea-forza della comunione, allora si comprende perché – come ha scritto Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte – sia indispensabile una spiritualità della comunione che faccia sì che la Chiesa diventi esistenzialmente ciò che già è sacramentalmente. In forme diverse eppure convergenti, mi pare si possa dire che le nuove realtà ecclesiali sono sorte per attuare in forma vitale l’ecclesiologia di comunione proposta dal magistero del Vaticano II. [...] I nuovi Movimenti ecclesiali e le esperienze affini costituiscono una preparazione e una recezione carismatica e dinamica, in qualche caso anche eccedente e profetica, del progetto di ecclesiologia proposto nelle sue grandi linee dal Concilio, ma in realtà ancora in via di definizione teologica e pastorale»26.

Risulta allora che la recezione vitale dell’ecclesiologia conciliare di comunione da parte dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, così come è avvenuta negli ultimi quarant’anni, viene – per cosi dire – “ri-recepita” dal magistero universale del Papa. La novità di questa “ri-recezione” consiste nel fatto che il Papa, nello sviluppo post-conciliare della Chiesa, considera l’unità dei Movimenti quale espressione della « stessa comunione e per la stessa missione»27. Sembra inoltre che lo stesso Spirito che anima i processi comunionali e recettivi dei Movimenti spinga il Papa a recepirli come realtà ecclesiali.

Si può inoltre constatare che la novità del dialogo tra i Movimenti risale proprio all’iniziativa del Papa. In virtù del carisma petrino egli lo approva come dialogo ecclesiale e lo pone sul piano dell’autorealizzazione della Chiesa e della partecipazione alla sua missione28. Il dialogo tra i Movimenti a partire dall’evento di Pentecoste 1998 non è più una iniziativa meramente privata, ma un aspetto ufficiale della rinnovata missione e nuova evangelizzazione nella Chiesa e della Chiesa.

Benedetto XVI condivide questa visione riguardo alla missione dei nuovi Movimenti dicendo: «Molti dei nuovi movimenti ecclesiali hanno un carisma particolare per l’evangelizzazione e son certo che continuerete ad esplorare vie appropriate ed efficaci per coinvolgerli nella missione della Chiesa»29. Corrisponde alla visione espressa nell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini: «Il Sinodo riconosce, inoltre, con gratitudine che i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono, nella Chiesa, una grande forza per l’evangelizzazione in questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme d’annuncio del Vangelo» (n. 94). Questa riproposta e rimessa in vita del bimillenario patrimonio di fede alla luce del Vangelo vissuto si svolge nei nuovi Movimenti senza diminuzioni né compromessi. Dice Benedetto XVI: «Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento di Cristo»30. Così i nuovi Movimenti ecclesiali realizzano un «rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino»31.

(4)          Risulta chiara quindi la missione universale dei Movimenti ecclesiali per una nuova evangelizzazione. Essi si devono lasciare guidare dalla convinzione di essere, analogamente alla missione della stessa “Chiesa-sacramento” (LG 1), una realtà d’insieme di diversi carismi uniti e fondati nell’unico Spirito. Oltre l’attenzione ai futuri aderenti o membri del proprio Movimento, essi sono chiamati a formare una rete missionaria e diaconale, che si dona al mondo offrendo un nuovo stile concreto di vita comunitaria e spirituale per mezzo della comune testimonianza e della comune offerta di catechesi fondamentali, di esperienze di fede vissuta, di preghiera e di liturgia mistagogica, di vita della Parola di Dio e di impegno per i più poveri ed emarginati nel campo sociale e politico a tutti i livelli di vita della Chiesa e del mondo. Solo così la recezione carismatica dei Movimenti ecclesiali condurrà a una nuova evangelizzazione e al compimento della loro meta di “perdersi” pienamente nella Chiesa, per concorrere alla sua vita e missione con il proprio carisma, facendo vivere dovunque lo Spirito Santo, che solo è in grado di rinnovare il mondo e di portarlo al suo compimento nel Regno di Dio. Fu proprio Maria, la madre di Gesù, a insegnare quest’atteggiamento del “perdersi”, come condizione fondamentale per dar vita a una Chiesa sempre più fiorente, variopinta di carismi e unita, perché nasca e rinasca Gesù Risorto in mezzo ai suoi quale Luce, Vita e Verità del mondo.

Mons. Christoph Hegge

 

1)            W. Beinert, Die Rezeption und ihre Bedeutung für Leben und Lehre der Kirche, in W. Beinert (ed.), Glaube als Zustimmung. Zur Interpretation kirchlicher Rezeptionsvorgänge, QD 131, Freiburg-Basel-Wien 1991, 16.

2)            G. Alberigo, Wahl - Konsens - Rezeption im christlichen Leben, in Concilium 8 (1972), 478.

3)            H. Müller, Rezeption und Konsens in der Kirche - Eine Anfrage an die Kanonistik, in ÖAfKR 27 (1976), 5.

4)            K. Lehmann, Hermeneutik, in Herders Theologisches Taschen­lexikon, 8 voll., K. Rahner (ed.), Freiburg-Basel-Wien 1972-1982, III, 281.

5)            H.J. Pottmeyer, Vor einer neuen Phase der Rezeption, in H. J. Pottmeyer - G. Alberigo - J. P. Jossua (edd.), Die Rezeption des II. Vatikanischen Konzils, Düsseldorf 1986, 47-65.

6)            A questo corrisponde, nell’ambito dell’ecclesiologia della comunione, sia un obbligo morale di consultazione del magistero che un diritto di consulta­zione dei fedeli, compresa la formazione delle relative strutture comunionali di consulenza, consultazione e sinodali a ogni livello ecclesiale. Cf H. Müller, Rezeption und Konsens in der Kirche, cit., 16ss.

7)            Commissione Teologica Internazionale, L’interpretazione dei dogmi (1990), 3.3.2. Testo italiano secondo “La Civiltà Cattolica” 141 (1990), II, 144-173.

8)            Cf X. Ochoa, Index Verborum cum documentis Concilii Vaticani Secundi, Roma 1967. Charisma ricorre in: LG 12,2; 25,3; 30; 50, 1; DV 8,2; AA 3,3-4; 30, 11; AG 23, 1; 28, 1; PO 4, 2; 9,3; charismaticus viene usato in: LG 4, 1; 7, 2; AG 4. Da tener presente che il concetto di donum nei testi conciliari ricorre 74 volte mentre lo Spirito Santo è menzionato 258 volte. Cf Y. Congar, Der Heilige Geist, Freiburg-Basel-Wien 1982, 147.

9)            Cf D. Iturrioz, Los carismas en la Iglesia. La doctrina carismal en la Constitución “Lumen gentium”, in “Estudios Eclesiásticos” 43 (1968), 212.

10)         Cf la relatio sulla bozza di testo del 1964, in AS., III, 1, pp. 199s.

11)         Cf in merito ampiamente G. Rambaldi, Carismi e laicato nella Chie­sa, cit., 90-92.

12)         Per “popolo di Dio” si intendono qui le parrocchie, i consigli pastorali, le istituzioni ecclesiastiche e caritative, le associazioni e gruppi ecclesiali, i catechisti e il clero, ecc.

13)         H.J. Pottmeyer, Die konziliare Vision einer neuen Kirchengestalt, in: C. Hennecke (ed.): Kleine Christliche Gemeinschaften verstehen. Ein Weg, Kirche mit den Menschen zu sein, Würzburg 2009, 34s. Evidenziazioni mie.

14)         Ibid., 35s.

15)         Ibid., 37s.

16)         Ibid., 44s. Dice il Papa: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie» (NMI 43).

17)         Ibid., 44-46.

18)         J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in: J. Ratzinger (Benedetto XVI), Nuove irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 43.

19)         Questo è confermato in prospettiva sociologica da M. Hochschild, Neue Geistliche Gemeinschaften und Bewegungen – Prototypen einer Kirche als sozialem Netzwerk, in: Sociologia Internationalis, vol. 38, 1 (2000), 115-139.

20)         J. Castellano Cervera, Tratti caratteristici dei movimenti ecclesiali contemporanei, in: “Rivista di vita spirituale” 39 (1985), 568.

21)         M. Kehl, Heilsames Korrektiv, in: Neue Stadt 6 (2000), 17-20, 18.

22)         Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell’Incontro con i Movimenti ecclesiali e le Nuove comunità (Roma, 30 maggio 1998) in Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma, 27-29 maggio 1998), Città del Vaticano 1999, 221.

23)         Per la prima volta il Congresso era promosso direttamente dalla Santa Sede attraverso il Pontificio Consiglio per i Laici in stretta collaborazione con i Movimenti stessi. Erano presenti in 350 tra fondatori, dirigenti a livello internazionale e delegati di una cinquantina di diversi Movimenti e Comunità, oltre diversi rappresentanti di dicasteri della Curia romana, vescovi e osservatori cattolici e di altre Chiese e comunità cristiane; cf Nota Editoriale, in: Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, cit., 10.

24)         Giovanni Paolo II, Messaggio, in: Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, cit., 16. Secondo il Pontefice «l’originalità propria del carisma» di ciascun Movimento «costituisce un sostegno potente, un richiamo suggestivo e convincente a vivere appieno, con intelligenza e creatività, l’esperienza cristiana». E in ciò vede «il presupposto per trovare risposte adeguate alle sfide e alle urgenze dei tempi e delle circostanze storiche sempre diverse» (ibid., 18).

25)         Cf P. Coda, Il volto pluriforme della Chiesa: epifania di comunione, in “Gen’s” (2001/4), 165-167 (numero della rivista che pubblica gli Atti del convegno “I Movimenti ecclesiali per la Nuova Evangelizzazione” tenuto nel giugno 2001 a Castelgandolfo).

26)         Ibid., 165.

27)         Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell’Incontro con i Movimenti ecclesiali e le Nuove comunità, cit., 221.

28)         Cf. ibid., 222.

29)         Benedetto XVI, Discorso ai vescovi di Inghilterra e Galles (19 settembre 2010).

30)         Benedetto XVI, Discorso a Fatima (13 maggio 2010).

31)         Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana (22 dicembre 2005).