Stralci dai discorsi dei Pontefici al Concilio

«Grande cosa è questo Concilio!»

a cura di Emilio Rocchi

 

Nel leggere gli interventi di Giovanni XXIII e Paolo VI nelle varie sessioni conciliari, viene in evidenza come faccia parte dell’evento del Concilio quanto hanno vissuto e condiviso i Padri conciliari nel periodo trascorso a Roma. Guidati dalla Parola di Dio, essi hanno imparato a conoscersi, stimarsi, condividere la loro vita e quella delle persone affidate, come anche a esprimersi con l’amore e la libertà dei figli di Dio.

 

Fiducia nell’agire di Dio

L’11 ottobre 1962, solennità di Maria Madre di Dio, Giovanni XXIII aprì il Concilio, dopo circa tre anni di lavori preparatori. Mai c’era stata un’assemblea conciliare così numerosa e universale: i vescovi provenivano da 116 paesi1.

Il discorso della Messa di apertura, Gaudet Mater Ecclesia, indicò il cammino del Concilio, tra cui una maggiore cura dell’aggiornamento e della pastoralità come anche uno sguardo capace di cogliere l’azione provvidente di Dio, nonostante le contraddizioni della storia: «Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale Ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina […] A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa»2.

Nel sottolineare la necessità di trasmettere pura e integra la dottrina, aggiungeva che «è necessario anzitutto che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio della verità, ricevuto dai padri; e al tempo stesso deve anche guardare al presente, alle nuove condizioni e forme di vita introdotte nel mondo odierno, le quali hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico»3.

E continuava dicendo: «Ora tuttavia, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne. […] Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, innalzando, per mezzo di questo Concilio Ecumenico, la fiaccola della verità religiosa, vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati»4. E dopo aver espresso il desiderio di promuovere l’unità nella famiglia umana, tornando all’evento conciliare affermava: «Il Concilio che inizia oggi, sorge nella Chiesa come un giorno foriero di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma già il primo annunzio del giorno sorgente di quanta soavità riempie il nostro cuore! Tutto qui spira santità, tutto suscita esultanza. […] Si può dire che il Cielo e la terra si uniscono nella celebrazione del Concilio: i Santi del Cielo, per proteggere il nostro lavoro; i fedeli della terra, continuando a pregare il Signore; e voi, assecondando le ispirazioni dello Spirito Santo, per far sì che il comune lavoro corrisponda alle odierne attese e necessità dei diversi popoli. Questo richiede da voi serenità di animo, concordia fraterna, moderazione di progetti, dignità di discussioni, e saggezza di deliberazioni. Voglia il Cielo che le vostre fatiche e il vostro lavoro, a cui volgono non solo gli occhi di tutti i popoli, ma anche le speranze del mondo intero, compiano abbondantemente le comuni aspirazioni»5.

 

Fratelli, nella libertà dei figli di Dio

E si espresse così a conclusione del primo periodo del Concilio, l’8 dicembre 1962. «La prima sessione è stata come un’introduzione lenta e solenne alla grande opera del Concilio […] Era necessario che i fratelli venuti da lontano e tutti riuniti attorno allo stesso focolare riprendessero i contatti con maggiore reciproca conoscenza: bisognava che gli occhi si fissassero negli occhi, per avvertire il palpito di cuori fraterni; occorreva esporre le singole esperienze, per uno scambio meditato e fecondissimo degli apporti pastorali, espressione dei più diversi climi e ambienti di apostolato. In un consesso così vasto si comprende anche come ci sia voluto qualche giorno per giungere a un’intesa su ciò che, salva caritate, era motivo di comprensibili e trepide divergenze. Anche questo ha la sua spiegazione provvidenziale per il risalto della verità, e ha dimostrato in faccia al mondo la santa libertà dei figli di Dio, quale si trova nella Chiesa. E non a caso s’è iniziato con lo schema de sacra Liturgia: i rapporti, che occorre stabilire sul solido fondamento della rivelazione e del magistero apostolico, per procedere in bonum animorum, con quell’ampiezza di visioni che nulla vuol mutuare dalla facilità o dalla fretta che – talora – regolano i rapporti di semplici uomini tra loro»6.

 

Quattro scopi del Concilio

I lavori aggiornati per il mese di settembre, furono proseguiti dopo la morte di papa Giovanni XXIII, da Paolo VI. Egli, il 29 settembre 1963, aprì il secondo periodo e nell’ampio discorso di apertura, dopo l’ossequio alla memoria del predecessore, invitò a riprendere il cammino ponendo ogni attenzione a ricentrarsi su: «Cristo! Cristo, nostro principio, Cristo nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine […] Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro»7.

Nell’indicare i quattro scopi del Concilio – «la conoscenza, o, se così piace dire, la coscienza della Chiesa, la sua riforma, la ricomposizione di tutti i cristiani nell’unità, il colloquio della Chiesa col mondo contemporaneo»8 – fece presente che era intenzione della Chiesa continuare a offrire agli uomini il messaggio di amicizia, di salvezza e di speranza di Cristo: «Lo sappia il mondo: la Chiesa guarda ad esso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito non di conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo»9.

 

Intensità e spontaneità

Nel discorso di chiusura, il 4 dicembre, disse: «Dobbiamo perciò, una seconda volta, interrompere lo svolgimento di queste magnifiche assisi sinodali, dobbiamo gli uni gli altri scambiarci i saluti della pace fraterna, dobbiamo ancora una volta sperimentare l’inesorabile flusso delle cose che il tempo genera e divora, dobbiamo separarci dopo aver goduto giorni e avvenimenti in stupenda conversazione fraterna. Ma ciò non può avvenire senza prima rendere grazie a Dio per i benefici che ci ha elargito in questa e mediante questa occasione; né possiamo tacere la nostra riconoscenza a quanti hanno partecipato a questa Sessione conciliare ed hanno in qualche modo positivo contribuito al suo felice svolgimento»10.

Nel dire che gli scopi erano stati raggiunti in parte, precisò: «e non intravediamo noi forse che, se uno sviluppo avrà la legge canonica, che governa la Chiesa, in due sensi sarà il suo incremento: nel riconoscere ad ogni persona e ad ogni funzione maggiore dignità e maggiore virtù di esplicazione, e nel rafforzare, al tempo stesso, quasi per intrinseca esigenza di amore, di armonia e di mutuo rispetto, la potestà che compagina gerarchicamente la comunità dei credenti? Gran cosa dobbiamo dire essere questo Concilio, grande favore di Dio alla sua Chiesa, se a questi pensieri ed a questi propositi sono così decisamente orientati gli animi nostri»11.

E nel mostrare compiacimento per il modo in cui si svolgevano i lavori, aggiunse: «Un duplice aspetto di questa attività anche qui noteremo: ch’essa è stata assai laboriosa e del tutto libera nelle espressioni delle sue voci. Pare a noi ben degno di rilievo tale duplice merito, che caratterizza questo Concilio e ne darà storico esempio: così opera oggi la santa Chiesa nel momento più alto e più significativo della sua attività: intensa e spontanea. Né a questa compiacenza toglie alcunché il fatto della varietà, della molteplicità e anche della diversità delle sentenze che hanno intessuto le discussioni conciliari; prova questa della profondità dei temi trattati, dell’interesse con cui sono stati trattati e della libertà, come dicevamo, con cui sono stati discussi»12.

Presentò i documenti promulgati, la costituzione sulla sacra liturgia – «prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, con noi credente ed orante [..] Sarà bene che noi facciamo tesoro di questo frutto del nostro Concilio, come quello che deve animare e caratterizzare la vita della Chiesa; è infatti la Chiesa una società religiosa, essa è una comunità orante, è un popolo fiorente di interiorità e di spiritualità promosse dalla fede e dalla grazia»13 – e il decreto sui mezzi di comunicazione. E dopo aver indicato i temi su cui avrebbero dovuto riflettere nel proseguo dei lavori, disse anche del pellegrinaggio in Terrasanta, che avrebbe svolto nel gennaio 1964: «Vedremo quel suolo benedetto, dove Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore; noi umilissimamente e brevissimamente vi ritorneremo in segno di preghiera, di penitenza e di rinnovazione per offrire a Cristo la sua Chiesa, per chiamare ad essa unica e santa i Fratelli separati»14.

 

Dimensioni della Chiesa: dottrina sull’episcopato e Maria

Paolo VI avviò il terzo periodo il 14 settembre 1964. Nel discorso in apertura, indicata con forza la presenza e l’azione dello Spirito Santo, affermò: «sul quadrante della storia è venuta l’ora in cui la Chiesa, che in noi si esprime e da noi riceve struttura e vita, deve dire di sé ciò che Cristo di lei pensò e volle, e che una meditazione protratta per secoli, nella sapienza dei Padri, dei Pontefici e dei Dottori, ha piamente e fedelmente esplorato […] Si deve così integrare la dottrina che il Concilio Ecumenico Vaticano primo si proponeva di enunciare»15.

Di grande interesse il discorso di chiusura del terzo periodo, il 21 novembre 1964 – «Venerabili Fratelli, dopo due mesi di intense fraterne fatiche, rendiamo grazie a Dio per la felice celebrazione di questo Concilio Ecumenico Vaticano secondo, di cui oggi concludiamo […] il terzo laborioso periodo. […] Troppe cose sarebbero da dire a commento del lavoro compiuto […] Resta tuttavia che il punto più arduo e memorabile di questa spirituale fatica ha riguardato la dottrina dell’Episcopato […] E migliore commento sembra a noi non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale […] Forse questa pluralità di studi e di discussioni porterà qualche difficoltà pratica: l’azione collettiva è più complicata di quella individuale, ma se essa meglio risponde all’indole insieme monarchica e gerarchica della Chiesa e meglio conforta con la vostra cooperazione la nostra fatica, sapremo in prudenza e in carità superare gli ostacoli propri d’un più complesso ordinamento del regime ecclesiastico»16 – anche per la solenne proclamazione di Maria, Madre della Chiesa: «La realtà della Chiesa invero non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici. La sua intima essenza, la sorgente prima della sua efficacia santificatrice sono da ricercarsi nella mistica unione con Cristo; unione che non possiamo pensare disgiunta da Colei che è la Madre del Verbo Incarnato, e che Gesù Cristo stesso ha voluto tanto intimamente a sé unita per la salvezza. Cosicché è nella visione della Chiesa che deve inquadrarsi la contemplazione amorosa delle meraviglie che Dio ha operato nella sua santa Madre. E la conoscenza della vera dottrina cattolica su Maria costituirà sempre una chiave per la esatta comprensione del mistero di Cristo e della Chiesa»17.

 

Chiesa che ama, con cuore ecumenico

È nel quarto e ultimo periodo, dal 14 settembre all’8 dicembre 1965, che abbiamo la maggiore pubblicazione di documenti. Nel discorso in apertura, il Papa esordì dicendo: «Grande cosa è questo Concilio! Godano gli animi nostri per così solenne e ordinata celebrazione dell’unità della Chiesa visibile, unità che non solo esteriormente, ma ancor più nell’interno dei cuori per la mutua conoscenza delle persone e per l’intensa conversazione orante, pensante, colloquiante, e alla fine consenziente, noi abbiamo qui goduta e professata, solleciti e felici di rispecchiare e di promuovere quella mistica unità, che Cristo lasciò ai suoi Apostoli, come il più prezioso e autentico retaggio e come suprema esortazione! […] Non passi quasi inavvertita per noi quest’ora solenne; non si confonda fra le tante e consuete vicende, di cui è intessuta la trama ordinaria della nostra vita, quest’unica esperienza; la simultanea presenza, che qui ci raccoglie […] non è da noi soli partecipata, perché con noi è quel Cristo, nel cui nome siamo adunati (cf Mt 18, 20), e la cui assistenza fiancheggia sempre il nostro cammino nel tempo (cf Mt 28, 20)»18.

E dopo aver richiamato il primo dovere di ascoltare lo Spirito Santo, aggiunse: «lasciare che lo Spirito Santo effonda nei nostri cuori quella carità, che si traduce in sapienza, in quella rettitudine cioè di giudizio, secondo le più alte ragioni del sapere, per cui risale a Dio, donde ha ricevuto quell’ineffabile dono, la mente umana, e diventa amore, diventa carità ogni suo pensiero, ogni sua azione. La carità, che da Dio discende, si trasforma in carità che a Dio ascende, e dall’uomo a Dio tende a tornare. Questo processo della carità dovrebbe caratterizzare la conclusione del nostro Sinodo ecumenico. Noi dovremmo essere quanto mai capaci di compierlo in noi stessi per dare a questo momento di pienezza vitale della Chiesa il suo più alto significato ed il suo più efficiente valore. Dalla carità dobbiamo attingere lo stimolo e la guida verso le verità, che qui intendiamo mettere in luce, e verso i propositi che qui vogliamo stabilire; verità e propositi, annunciati da questo Concilio, organo lui stesso della più alta e più amorosa autorità pastorale, non potranno non essere espressioni di carità»19.

E soffermandosi sull’importanza del vivere nella carità e di sperimentarne gli effetti, tra cui l’unità, ha aggiunto: «Nel tumulto degli avvenimenti contemporanei, nella previsione di altri futuri rivolgimenti, nella deludente esperienza delle sempre rinascenti discordie umane, avevamo bisogno di verificare, quasi sperimentalmente, l’unità, che ci fa tutti famiglia e tempio di Dio, corpo mistico di Cristo; avevamo bisogno di incontrarci e di sentirci davvero fratelli, di scambiarci il bacio della pace, di amarci, in una parola, come Cristo ci ha amati. […] questo Concilio lo dice: la Chiesa è una società fondata sull’amore e dall’amore governata! Amava, la Chiesa del nostro Concilio, ancora si dirà, amava con cuore missionario […] Amava, sì, ancora, la Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano secondo, con cuore ecumenico […] La Chiesa, in questo mondo, non è fine a se stessa; essa è al servizio di tutti gli uomini; essa deve rendere Cristo presente a tutti […] la Chiesa proclama l’amore. Il Concilio è un atto solenne d’amore per l’umanità. Cristo ci assista, affinché davvero sia così»20.

 

Accresciuta coscienza ecclesiale

È utile a richiamare ciò l’intervento di Paolo VI nell’ottava sessione, il 18 novembre 1965, prevedendo le difficoltà del post-concilio. «Ma, Fratelli Venerati, non tanto dobbiamo badare a queste pur necessarie riforme, sì bene a quelle morali e spirituali, che ci rendano più conformi al nostro divino Maestro e più atti ai doveri della nostra rispettiva vocazione. A questo dobbiamo principalmente attendere: alla nostra effettiva santificazione e alla reale capacità di diffondere fra gli uomini del nostro tempo il messaggio evangelico»21. Il Concilio aveva suscitato diversi e successivi atteggiamenti, dall’entusiasmo iniziale, alla problematicità per la complessità delle discussioni e alla comprensione ordinata e positiva dei testi promulgati. «La Chiesa si ricompone nelle nuove norme che il Concilio le ha date: la fedeltà le caratterizza, una novità le qualifica, quella della accresciuta coscienza della comunione ecclesiale, della sua meravigliosa compagine, della maggior carità che deve unire, attivare, santificare la comunione gerarchica della Chiesa. È questo il periodo del vero “aggiornamento” […] Aggiornamento vorrà dire d’ora innanzi per noi penetrazione sapiente dello spirito del celebrato Concilio e applicazione fedele delle sue norme, felicemente e santamente emanate. Noi pensiamo che su questa linea debba svilupparsi la psicologia nuova della Chiesa»22.

 

Umanesimo teocentrico

Nell’Omelia della celebrazione Eucaristica nella nona sessione, il 7 dicembre 1965, disse nel riassumere l’evento vissuto: «Che se, venerati Fratelli e figli tutti qui presenti, noi ricordiamo come nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (cf Mt 25, 40), il Figlio dell’uomo, e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste: “chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre” (Gv 14, 9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo. […] Amare l’uomo, diciamo, non come strumento, ma come primo termine verso il supremo termine trascendente, principio e ragione d’ogni amore. E allora questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente e amichevole invito all’umanità d’oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio “dal quale allontanarsi è cadere, al Quale rivolgersi è risorgere, nel Quale rimanere è stare saldi, al Quale ritornare è rinascere, nel Quale abitare è vivere”. Così noi speriamo al termine di questo Concilio Ecumenico Vaticano secondo e all’inizio del rinnovamento umano e religioso, ch’esso s’è prefisso di studiare e di promuovere; così speriamo per noi, Fratelli e Padri del Concilio medesimo; così speriamo per l’umanità intera, che qui abbiamo imparato ad amare di più ed a meglio servire»23.

 

Un Altro, presente nei rapporti umani

Con la celebrazione Eucaristica della decima sessione, l’8 dicembre, la lettura dei sette Messaggi – ai Governanti; agli uomini di pensiero e di scienza; agli artisti; alle donne; ai lavoratori; ai poveri, agli ammalati e a tutti coloro che soffrono; ai giovani – e della Lettera apostolica In Spiritu Sancto, si chiuse il Concilio. «Il nostro è un saluto non di congedo che distacca, ma di amicizia che rimane – volle precisare il Papa –, e che, se del caso, ora vuol nascere […] il nostro saluto tende ad un altro e superiore rapporto, perché non è solo scambio di voce bilaterale, tra noi, gente di questa terra, ma esso chiama in causa un altro Presente, il Signore stesso, invisibile sì, ma operante nel tessuto dei rapporti umani; e lo invita, lo prega a suscitare in chi saluta e in chi è salutato dei beni nuovi, di cui primo e sommo è la carità»24.

Emilio Rocchi

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1)            Cf G. Sale, «Gaudet Mater Ecclesia». L’allocuzione di apertura del concilio Vaticano II in “La Civiltà Cattolica” 2012 III 351.

2)            Giovanni XXIII, Gaudet Mater Eclesia. Discorso di apertura del Concilio (11 ottobre 1962) in Enchiridion Vaticanum I 40*-42*.

3)            Ibid., 49*.

4)            Ibid., 57*-58*.

5)            Ibid., 64*-66*.

6)            Giovanni XXIII, Discorso a chiusura del primo perido (8 dicembre 1962) in Ib., 108*-111*.

7)            Paolo VI, Discorso in apertura del secondo periodo (29 settembre 1963) in Ib., 144*-145*.

8)            Ibid., 146*.

9)            Ibid., 190*.

10)         Paolo VI, Discorso a chiusura del secondo periodo (4 dicembre 1963) in Ib., 204-205*.

11)         Ibid., 207*.

12)         Ibid., 210-211*.

13)         Ibid., 212*. 214*.

14)         Ibid., 231*.

15)         Paolo VI, Discorso in apertura del terzo periodo (14 settembre 1964) in Ib., 246*-247*.

16)         Paolo VI, Discorso a chiusura del terzo periodo (21 novembre 1964) in Ib., 277*. 280*-281*. 283*. 289*.

17)         Ibid., 303*-304*.

18)         Paolo VI, Discorso in apertura al quarto periodo (14 settembre 1965) in Ib., 328*. 331*.

19)         Ibid., 332*-333*.

20)         Ibid., 337*-340*. 343*. 346*. Il 4 ottobre 1965, Paolo VI visitò l’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, invitato ufficialmente per celebrarne il ventesimo anniversario.

21)         Paolo VI, Discorso nell’ottava sessione (18 novembre 1965) in Ib., 437*.

22)         Ibid., 440*-442*.

23)         Paolo VI, Omelia nella nona sessione (7 dicembre 1965) in Ib., 462*-464*.

24)         Paolo VI, Omelia nella decima sessione a conclusione del Concilio (8 dicembre 1965) in Ib., 472*.

 

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I sedici documenti

Quattro Costituzioni:

- Sacrosanctum Concilium (costituzione su la sacra Liturgia), 4 dicembre 1963 (votanti 2178, placet 2159);

- Lumen gentium (costituzione dogmatica su la Chiesa) 21 novembre 1964 (votanti 2145, placet 1921);

- Dei Verbum (costituzione dogmatica su la Divina Rivelazione) 18 novembre 1965 (votanti 2350, placet 2344);

- Gaudium et spes (costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo) 7 dicembre 1965 (votanti 2373, placet 2309).

Nove Decreti:

- Inter mirifica (sui mezzi di comunicazione sociale) 4 dicembre 1963 (votanti 2124, placet 1960);

- Orientalium Ecclesiarum (sulle Chiese Orientali Cattoliche) 21 novembre 1964 (votanti 2149, placet 2110);

- Unitatis redintegratio (su l’Ecumenismo) 21 novembre 1964 (votanti 2148, placet 2137);

- Christus Dominus (su l’ufficio pastorale dei Vescovi) 28 ottobre 1965 (votanti 2322, placet 2319);

- Perfectae caritatis (sul rinnovamento della vita religiosa) 28 ottobre 1965 (votanti 2325, placet 2321);

- Optatam totius (sulla formazione sacerdotale) 28 ottobre 1965 (votanti 2321, placet 2318);

- Apostolicam actuositatem (sull’apostolato dei Laici) 18 novembre 1965 (votanti 2342, placet 2340);

- Ad Gentes (su l’attività missionaria della Chiesa) 7 dicembre 1965 (votanti 2399, placet 2394);

- Presbyterorum Ordinis (sul ministero e la vita dei Presbiteri) 7 dicembre 1965 (votanti 2394, placet 2390).

 

Tre Dichiarazioni:

- Gravissimum educationis (su l’educazione cristiana) 28 ottobre 1965 (votanti 2096, placet 1912);

- Nostra aetate (sulle relazioni con le Religioni non-cristiane) 28 ottobre 1965 (votanti 2312, placet 2221);

- Dignitatis humanae (sulla libertà religiosa) 7 dicembre 1965 (votanti 2386, placet 2308).