Agire come parte di un organismo vivente

 

Il vivere «a corpo»

di Wolfgang Schneck

 

L’esperienza pastorale offre, quando si hanno “occhi semplici”, opportunità di imparare da tutti, anche dai bambini, e di avere il coraggio di intraprendere vie nuove che, insieme alla cura dei contenuti, possano creare quegli spazi per incontrare il Signore della vita. Il ministero presbiterale si svolge così al servizio del sacerdozio comune e risplende ogni volta di più quando si vive, anche nell’esercizio dell’autorità, da fratelli accanto ad altri fratelli e sorelle, tutti parte viva del Corpo di Cristo. Ognuno per la sua parte… unica e insostituibile.

 

«Padre ... ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e sangue di Cristo lo Spirito Santo ci unisca in un solo corpo» (Preghiera eucaristica II).

Sono già 31 anni che come sacerdote pronuncio questa preghiera. Ho capito che si tratta del Corpo di Cristo. Ma che ciò diventi una realtà così esistenziale l’ho scoperto in modo concreto in parrocchia.

L’importanza del cuore

Un giorno una bambina di terza elementare, nell’imminenza della prima comunione suona al campanello della canonica e, piangendo, si rivolge a me dicendomi che, per la festa, il papà non potrà venire. Infatti, i genitori erano separati e la mamma non poteva sopportare la presenza dell’ex marito. Parlando con la bambina, mi viene da suggerirle un’idea: «E se festeggiassi, la domenica seguente, la seconda comunione con il papà?» La bambina incuriosita che esistesse anche una seconda comunione, accettò e riuscì a calmarsi.

Alla fine del nostro colloquio, la invito a fare insieme una preghiera, mettendoci in ascolto della “voce” dentro di noi. Durante questa breve “meditazione” la bambina si rallegra e mi confida di aver percepito il Cuore di Colui che avrebbe ricevuto la domenica seguente, dandole l’impressione di voler donare alla festa un amore speciale  e personale. «Adesso ho capito – diceva la bambina –, domenica è importante il cuore», e tutto si relativizza, la mamma, il papà, i regali…

Il giorno seguente, in quanto insegnante di religione cattolica, giungo nella terza classe e vedo tutti i bambini allegri, mentre stanno danzando. Che cosa era successo? Uno di loro mi sussurra all’orecchio: «Claudia ci ha detto che domenica è importante il Cuore». Capisco subito che era passato un messaggio che tutti avevano intuito, non con la testa ma con l’anima. Devo dire sinceramente che vedevo come inutile ciò che avevo cercato di insegnare come professore di religione; avevo fatto tanti sforzi per convincere e – finalmente – ho capito che bastava l’intervento di un “membro” di questo corpo della classe perché tutti si accorgessero, si svegliassero, ognuno con un modo di esprimerlo tutto suo.

Questo episodio che cosa ci ha fatto capire?

Racconto questa piccola storia perché in parrocchia ci ha suggerito come cambiare la preparazione al sacramento della confermazione, e cioè puntando a coloro che veramente desideravano approfondire la vita cristiana. In genere, si cerca di avere condizioni facili per poter ricevere la cresima, e le linee pastorali della diocesi prevedevano che tutti potessero riceverla con almeno queste caratteristiche basilari: aver seguito le lezioni di religione a scuola, essersi confessati, aver partecipato alle prove liturgiche per avere una degna presenza nella celebrazione.

Trenta dei cento candidati hanno accolto una “nuova” proposta. La preparazione oltre agli aspetti suddetti, cercava d’interessare anche le dimensioni concrete della vita, e quindi si faceva in modo di imparare ad affrontare le sfide di ogni giorno vivendo il Vangelo. E per raggiungere questo obiettivo, ci siamo molto impegnati e abbiamo dato il meglio di noi stessi.

È stato veramente sorprendente verificare che, alla fine della preparazione, quasi tutti ne erano stati contagiati. Nei diversi ambienti frequentati dai giovani passava un messaggio non verbale, un linguaggio, forse, non esplicitamente ecclesiale, ma era un messaggio che toccava l’anima e il loro sentire.

Fino a quel momento era accaduto che la maggior parte di coloro che avevano ricevuto la cresima perdevano il contatto con la Chiesa, per cui ci eravamo detti che nel “corpo parrocchiale” era in azione un virus. Eravamo sicuri però che, un giorno, quanto di positivo avevamo cercato di seminare avrebbe portato frutti, anche al di fuori di un nostro diretto “controllo” e delle nostre attese.

Cura per il Corpo

Il rinnovamento attuato nel modo di preparare al sacramento della confermazione, aveva cambiato questi nostri giovani: non erano più gli stessi e il “corpo” andava risanandosi con questa cura di Vangelo. Il “vaccino” aveva funzionato. Questo tempo di preparazione era diventato prezioso.

E questo evento faceva sì che io cominciassi a perdere l’ansia di essere “efficace” in parrocchia, perché vedevo che il Corpo di Cristo è una realtà effettiva e sperimentabile, quasi palpabile. In questo modo, ho percepito sempre di più che Dio “lavora” continuamente e che la mia parte è di essere strumento docile nelle sue mani. E mi rendevo conto che questa era l’enorme responsabilità che avevo.

Infatti, vivendo secondo la volontà di Dio potevo dare il mio contributo al Corpo e alla sua salute.

Vedevo crescere però la mia responsabilità nei confronti dei miei confratelli, e la necessità di vivere questa dimensione – come primo ambito – con il clero della zona pastorale, e i fedeli laici corresponsabili con noi della vita e della missione della Chiesa. Non ero più portato a lamentarmi dei tanti che non erano praticanti, ma piuttosto sentivo che potevo nutrire ogni giorno con la Parola e l’Eucaristia, vere presenze di Gesù, quei pochi che venivano quotidianamente a Messa. E così ho visto il “corpo” crescere. Certo, non come avrei voluto io, e cioè anche nelle pratiche di pietà, ma nella vita in tutte le sue espressioni. Nella parrocchia e nella città sono aumentate, secondo me, il clima di rispetto e il senso di responsabilità civile. Chi partecipava alla vita della Chiesa diventava buon lievito anche nella città.

Piccolo gregge germe validissimo di unità

Anni dopo, precisamente qualche mese fa, mi sono trovato a leggere nuovamente un testo del Vaticano II che durante gli anni in cui facevo gli studi teologici mi aveva tanto impressionato. Mi sono sentito confermato in ciò che deve essere la Chiesa, Corpo di Cristo:

«Questo popolo messianico ha [...] per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cf Gv 13, 34). E ha per fine il Regno di Dio. Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo in atto tutti gli uomini, e apparendo talora come piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità, di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf Mt 5, 13-16), è inviato a tutto il mondo» (cf LG 9).

Ora mi sembra di pregare con maggiore convinzione e consapevolezza quando, nella celebrazione della Messa, sempre durante la Preghiera eucaristica II, affermo: «Ricordati, Padre della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore, in unione con il nostro Papa, il nostro vescovo N., e tutto l’ordine sacerdotale».

Wolfgang Schneck