L’esperienza di un vicario foraneo in Sicilia

 

Condividere e poi agire

di Stefano Trombatore

 

L’autore è vicario foraneo in una città della Sicilia. Nel suo servizio si lascia guidare dalla convinzione che la comunione vissuta dai preti tra loro e con il vescovo è un fattore determinante da cui dipendono in molti casi la qualità e l’incidenza di ogni iniziativa o proposta pastorale. Già dopo i primi mesi può constatare che il tempo impiegato per curare le relazioni e la vita fraterna è tra quelli spesi meglio, non solo in sé, ma per gli effetti rilevanti e duraturi che è capace di produrre.

 

Sono parroco a Rosolini, una cittadina al sud della Sicilia (22 mila abitanti, 4 parrocchie, 7 presbiteri, due diaconi). Il vescovo, dopo alcuni mesi dal suo ingresso in diocesi, mi ha nominato vicario foraneo in un particolare momento di difficoltà ecclesiali, prima di tutto tra presbiteri.

Primi passi un po’ insoliti

Il primo incontro lo teniamo… in piedi. Si tratta solo di stabilire le modalità della concelebrazione eucaristica di tutto il presbiterio, presso il cimitero in occasione del 2 novembre. «Tu, in quanto nuovo vicario, farai certamente il celebrante principale, vero?», mi dice uno di loro. «Dove è scritto che tocchi necessariamente al vicario – rispondo –; per esempio, potresti presiedere te, che hai dovuto cambiare parrocchia con tanta sofferenza tua e della gente. Sarei felice di esserti vicino assieme agli altri sacerdoti».

Questo mio gesto ha creato immediatamente un clima più disteso, fugando la preoccupazione che poteva essere latente in qualcuno che io volessi approfittare del mio ruolo per esercitare un certo “potere” o acquisire maggiore prestigio presso la gente.

Durante quella solenne concelebrazione, mentre il mio confratello predicava e io ero tra gli altri preti, mi sentivo di essere veramente unito all’Unico Sacerdote, di rinnovargli il mio “sì”: Sei Tu, Signore, l’unico mio Bene, l’unico Sposo. Cercavo di offrirmi con Lui per la nostra gente, e questo volevo dirlo, innanzitutto, con la vita.

Il vero primo incontro tra noi avvenne, poi, in modo alquanto insolito. Infatti, sapendo dei diversi cambiamenti avvenuti (per motivi ecclesiali e di salute, che hanno toccato nel concreto ognuno di noi), ho invitato ciascuno a raccontare come sta vivendo interiormente tale nuova condizione di vita. E per facilitare la comunicazione, ho cominciato per primo.

Il mio narrare alcuni aspetti simpatici di come era avvenuta la mia nomina, distende il clima e ne ridiamo di cuore. In questo modo viene in rilievo che la cosa che più dovrebbe importarci è il nostro volerci bene, perché è questo che rende visibile la fraternità.

Così ciascuno comincia a raccontare di sé: chi dei contraccolpi subìti a causa di certi preconcetti, chi d’incomprensioni sofferte, chi del travaglio nel lasciare tanti amici e nell’intraprendere l’avventura di nuovi rapporti, chi di quella seria malattia (sopravvenuta proprio mentre per motivi di età si congedava dalla sua gente) che lo sta segnando  nell’intimo… In questo modo si parla di noi, condividendo sofferenze e gioie, creando le condizioni necessarie perché, quando avremmo dovuto trattare delle attività pastorali, tutto sarebbe filato liscio come l’olio, in un clima più cordiale e di vera condivisione. Insomma, un momento semplice e solenne, dove non è mancato neanche un bel pranzo, preparato dalle suore.

Fiducia e stile fraterno

Con questi buoni auspici, andando avanti cerco di coltivare l’amicizia con ciascuno. E avviene che crescano la fiducia e le visite tra noi, anche per risolvere insieme quei problemi e quelle tensioni che fanno parte della vita normale.

Quando si tratta di prendere delle decisioni comuni, espongo il mio parere senza volerlo imporre. Lanciando il messaggio che prima dobbiamo essere uniti tra noi, poi vengono le cose da fare, che per quanto relative, possono diventare occasioni stupende quando nascono dalla comunione.

Gli altri presbiteri conoscono la mia particolare propensione nell’agevolare la nascita nel paese di una politica sana, nell’evitare la collaborazione con politici poco trasparenti, nel condannare le palesi ingiustizie… Ma, anche per l’incarico che mi è stato affidato, mi rendo sempre più conto che Dio mi chiede di saper aspettare una maturazione comune, cioè di saper “perdere” credendo soprattutto a quel lavorìo, silenzioso ma non meno efficace, che fa calcolo della presenza invisibile ma viva del Risorto.

Nelle celebrazioni liturgiche cerco di adoperarmi affinché ciascuno abbia un compito (ambientazione, presentazione delle letture, omelia, congedo finale, ecc.) in modo che la nostra gente ci veda concretamente uniti e collaborativi.

Con questo modo di agire discreto, positivo e, in questo senso, “mariano”, i frutti non si fanno attendere e mostrano sempre più l’operare di Dio.

In uno degli incontri tra noi, mi viene detto: «Sappiamo che a te interessa soprattutto la comunione». E un altro propone: «A proposito delle spese superflue in occasione delle feste parrocchiali, sarebbe opportuno avvicinarci allo stile di don Stefano», e i presenti annuiscono.

Ne rimango sorpreso, perché in passato qualche volta qualcuno bonariamente ironizzava sul mio essere un prete diocesano focolarino, o criticava – magari non senza qualche ragione – il mio agire nei riguardi dei poveri. E mi rendo conto di come la cura dei rapporti e un’attenzione sincera al fratello possano fare delle diversità motivo di arricchimento reciproco.

Senza che io abbia fatto esplicita richiesta, non è mancato qualche confratello che mi si è avvicinato dicendomi di voler condividere sempre di più questo stile di vita. Dopo tutto non è altro che vivere tra noi la preghiera di Gesù per l’unità (cf Gv 17, 21).

Risonanze ecclesiali

Il frutto più visibile è la ripercussione di tutto ciò nel mondo laicale. Si respira un’aria nuova che determina conseguenze sin ora impensabili. Nel recente passato, durante gli incontri del Consiglio pastorale cittadino, organismo che coinvolge sia preti che laici responsabili di ogni parrocchia e movimento ecclesiale, si erano verificate tensioni notevoli, simili a quelle che vediamo nella politica.

Si arrivava anche a votare ma si tornava poi a casa col nulla di fatto perché il voto raggiungeva la parità assoluta! Soprattutto, si ritornava tristi. Ora, a motivo di un clima di maggiore fraternità, prima di tutto tra noi preti, si scopre sempre di più che non abbiamo avversari a cui dimostrare o imporre le nostre visioni; ciò che ciascuno dice viene seriamente ascoltato e poi si cerca di procedere insieme.

Le cose più delicate vengono precedentemente discusse da noi presbiteri e da me presentate al Consiglio pastorale come nostra proposta unitaria, da vagliare e da ridiscutere insieme a tutti i laici. Questo modo di fare, oltre a mettere sul tappeto  proposte interessanti e condivise, aiuta tutti i presenti ad acquisirne lo stile. Così scelte che prima si prendevano faticosamente (con risvolti che non raramente continuavano anche dopo la riunione), ora vengono assunte in poco tempo.

Tra i vicari foranei

Ho raccontato la mia esperienza nell’incontro dei vicari foranei della diocesi (tutti più giovani di me, ma come me freschi di nomina) con il vescovo. Parecchi avevano manifestato le difficoltà esistenti, di non essere accolti dagli altri presbiteri, che l’ufficio del vicario non veniva capito e valorizzato… Si era quindi chiesto al vescovo di emanare un suo decreto che mettesse in risalto il ruolo del vicario secondo le norme del Diritto canonico e degli altri documenti della Chiesa, ecc. Egli aveva acconsentito e chiesto a uno di loro di approntare una bozza di testo. Dopo la mia esposizione, qualcuno ha detto: «Ma così ti salgono addosso; che vicario sei?». Ho allora aggiunto: «Pensateci bene: non è meglio perderci qualcosa, se questo può servire a creare concordia, che poi ha anche dei risvolti positivi e un’efficacia pratica? In ogni caso, non siamo così più vicini allo stile di Cristo?».

Mi accorgo con gioia che il messaggio viene recepito da tanti. Anche il vescovo mi guarda con un atteggiamento che definirei a metà tra il sorpreso e l’ammirato. Fatto sta che non si è più parlato di documenti… da aggiungere ai tanti già esistenti e che magari non producono molto frutto.

Quanto risulta vero che con la buona volontà di tutti, la carità può far sì che la verità si faccia strada da sé, anche tra noi preti. È un principio d’oro quello agostiniano riportato più volte dal Vaticano II: «Ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità» (GS 92; cf UR 4).

Stefano Trombatore