Mons. Lambiasi, con i suoi sacerdoti, tenta una via di comunione

 

«Prima di tutto fratelli»

Intervista a Giancarlo Moretti

 

Abbiamo chiesto a Giancarlo Moretti, parroco nella diocesi di Rimini, di rispondere ad alcune domande sui prodromi, i contenuti e gli sviluppi della Lettera «Prima di tutto fratelli» che il suo vescovo, Mons. Francesco Lambiasi, attualmente Presidente della Commissione Episcopale della CEI per il clero e la vita consacrata, aveva indirizzato nell’Anno sacerdotale al presbiterio della diocesi. Da quelle prime indicazioni si è avviato un programma pastorale che sta coinvolgendo sempre più anche i fedeli laici.

 

GEN’S: Da dove, il vescovo Lambiasi ha preso ispirazione per questa Lettera ai presbiteri?

Appena entrato in diocesi, nel settembre 2007, è apparso fermamente determinato, a realizzare rapporti di comunione con i sacerdoti. Ha dedicato un anno intero, il primo, per incontrare ogni prete, nel proprio ambiente, nella massima gratuità.

Certamente questi incontri ravvicinati hanno evidenziato il desiderio e il gran bisogno di comunione presente in ogni prete della diocesi. Le attese colte negli incontri con il clero portano alla decisione di un soggiorno a Loreto, lì vicino alla Casa di Nazaret dove tutto ha avuto origine, al solo scopo di esperire ogni possibilità di dialogo fra sacerdoti e con il vescovo.

L’esperienza riuscita, chiedeva una prosecuzione: di qui la Lettera pubblicata pochi mesi dopo, nella festa del Curato d’Ars del 2009. È presente anche un esplicito riferimento all’Anno sacerdotale appena indetto dal Papa Benedetto XVI: «allo scopo di promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi». Con questo scritto il vescovo non ha dato un generico assenso al progetto del Papa, ma ne ha colto l’ispirazione e lo ha assunto per applicarlo alla diocesi: «la lettera inviataci dal Papa per l’occasione – scrive nell’introduzione – ci aiuta a fare sintesi del cammino percorso e a prepararci come presbiterio per il tratto di strada che ci attende».

GEN’S: Dunque l’esperienza fu positiva…

Molto! 171 i sacerdoti che compongono il clero diocesano, 102 i presenti fra la prima e la seconda convocazione: un successo l’adesione, di conforto il clima realizzato: l’obiettivo di vivere la fraternità è stato pienamente raggiunto.

Un velo di falso pudore nasconde la verità; condizioni propizie svelano invece quanto grande sia il desiderio di rapporti che non siano puramente funzionali alla pastorale, ma primariamente orientati alla conoscenza reciproca, a creare unità: uno spazio occupato interamente dalla vita evangelica. «Ci siamo concentrati – ha scritto il vescovo – su quel “cristiano” che è in ogni presbitero».

GEN’S: «Prima di tutto fratelli» è il titolo: quale il primo approccio per concretizzarlo?

Il vescovo proponeva di «“resettare” la nostra relazione con Cristo, reimpostarla sulla fede in lui come il solo Signore della storia e l’unico Sposo che ci ha preso il cuore, ha prodotto il benefico effetto di aiutarci a rinnovare la nostra carta di identità, che di tanto in tanto rischia di risultare “scaduta” o addirittura di andare smarrita».

GEN’S: Quali i contenuti principali della Lettera?

Mons. Lambiasi, nella sua discrezione, ha preferito mettere a fuoco non tanto le difficoltà (quelle vengono considerate piuttosto come indicatori per comprendere) ma gli aspetti ideali della vocazione presbiterale e degli intrecci esistenziali che ne derivano. Ci ha ricordato per questo il richiamo di quel grande conoscitore delle persone che fu Guglielmo di Saint Thierry: «Mentre il nostro amore è affectus, il tuo è effectus, un’efficacia che ci unisce a te grazie alla tua unità, allo Spirito Santo che ci hai donato».

«Competizione, diffidenza, carrierismo…: è una cupa litania di veri e propri peccati contro lo Spirito Santo – scrive il vescovo – il cui “carisma” è invece quello di unificare diversificando, di abbracciare senza soffocare, di raccogliere e concentrare, senza mai trattenere. È il moto di sistole e diastole della Pentecoste».

La Lettera tiene costantemente la barra dritta sull’azione dello Spirito, senza ripiegamenti moralistici, senza prestare il fianco a dubbi e incertezze quanto alle risposte; diffondendo invece fiducia nella perenne modernità della dottrina del Vangelo.

GEN’S: Quale il punto focale della proposta offerta ai presbiteri?

L’esperienza di Loreto, è risultata decisamente “nuova”, in modo particolare quando la si è rivisitata in un rapporto dialogico, che ha permesso di coglierne gli elementi ispiratori. Essi sono fondamentalmente due e costituiscono la base per «prolungarne lo spirito nella quotidianità della nostra vita».

Innanzitutto si tratta di scoprire la “fonte prima” della comunione ecclesiale: contemplare la santa Trinità. «È giunta l’ora di passare – scrive – dalla dimensione intrapersonale “la Trinità dentro di me”, alla dimensione interpersonale “la vita della Trinità tra di noi”. […]

Se la Chiesa è la “misteriosa estensione della Trinità nel tempo” (De Lubac), possiamo dire che la nostra comunione è veramente una “prolunga” della comunione trinitaria nel nostro presbiterio? Gli altri vedendoci dovrebbero dire: “guarda i preti come si amano; quanto si stimano, si rispettano e si aiutano!”».

Il secondo elemento – che fondamentalmente costituisce la porta di accesso al primo – è una nuova concezione della Croce e una nuova esperienza della medesima in tutto ciò che costituisce la vita di un prete nel suo presbiterio. Il vescovo non ha parlato delle “croci” presenti nella nostra vita, ma della “Croce” che s’incontra nel cammino di sempre più piena identificazione con Gesù, compiendo il proprio servizio in unità con la diocesi.

Costruire l’unità nella diversità

GEN’S: Segnata la direzione, in che cosa si è andati avanti?

L’incoraggiamento del vescovo, l’emulazione fra sacerdoti di diverse zone pastorali, hanno favorito l’organizzarsi di forme di convivialità periodica, ad esempio settimanale. «Ci siamo impegnati – mi ha detto un confratello – a vivere alcune ore assieme, compreso il pranzo una volta in settimana, e a non parlar mai male gli uni degli altri. Questo ha sciolto tanti nodi, ha fatto superare l’abituale timidezza: l’amicizia si è declinata in fraternità piuttosto che in cameratismo».

Il vescovo dedica, nella Lettera, un paragrafo denso ed esigente a questo punto: «conoscersi, per riconoscersi fratelli».

Si può «conoscere l’altro» – scrive –, se «mi metto in cammino e mi avvicino a lui. Se mi impegno lealmente a valicare le frontiere dei sospetti e a frantumare le barriere delle diffidenze. Se faccio mie le sue sofferenze e le sue gioie. Questa è stata la via percorribilissima di “Loreto”, al punto che in quei giorni varie volte ci è capitato di dire: “Credevamo di conoscerci, ma forse stiamo cominciando adesso. Pensare che bastava così poco!”».

Quel che fa maggiormente sperare è il fatto che si è attivata una riflessione – o forse addirittura una discussione – sulle motivazioni che possono condurre alla vita comune e sulle possibili criticità, nella ricerca di fondamenti su cui costruire l’unità nella diversità. Si è attivato un processo che sta facendo intravedere “flussi di vita nuova”, che coinvolgono man mano sempre più persone.

Intanto si percepisce sempre più la Chiesa come «casa – famiglia» e diventa realtà condivisa il profilo scolpito da Benedetto XVI: «la Chiesa è un corpo, non una corporazione. Non è una organizzazione, ma un organismo» (Udienza Generale del 10 dicembre 2008).

GEN’S: Quali le difficoltà riscontrate?

“Difficoltà”? Forse è più appropriato parlare di “resistenze” che stiamo sperimentando in noi e che sono costituite dalla sommatoria di tanti fattori consolidati nel tempo: convinzioni, abitudini, tradizioni, luoghi comuni… Sono modi di vivere che non si superano discutendo o dando spiegazioni. Non sono appunto difficoltà da superare, sono piuttosto nodi da slegare, sedimenti da disciogliere… Ed è richiesto perciò calore, pazienza, gratuità, perdono, insomma tanta carità reciproca!

La Lettera stessa affronta questa realtà: «Il primo dono che i presbiteri devono fare alla Chiesa e al mondo non è l’attivismo, ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta […] la carità non è un argomento, è un esercizio; si sperimenta, non s’indaga […] Gli atteggiamenti da coltivare sono la stima, l’ascolto, l’attenzione, l’aiuto reciproco, il perdono, la condivisione, l’incontro».

E l’attivismo, si sa, è una parvenza di sicurezza che nasconde una grande povertà di risorse.

Il vescovo, perciò, non dedica spazio alla considerazione delle difficoltà, o all’analisi di problematiche ecclesiali. Preferisce porre l’attenzione sul vasto orizzonte della carità aperto dal mistero trinitario e sull’accoglienza della Croce che lo svela e ci permette di viverlo: tale linea costituisce – mi pare – il grande dono di questa Lettera per la nostra Chiesa locale.

GEN’S: Come i fedeli laici hanno accolto queste indicazioni rivolte ai preti?

In quella zona pastorale nella quale sono inserito, per esempio, so che i fedeli laici sono molto contenti e rispettosi, e collaborano intensamente anche nell’organizzazione della mensa comune.

Il vescovo, da parte sua, ha trattato, sì, di problematiche che generano sofferenza nella Chiesa, ma ha usato “nomi” che non accennano all’inquietudine generata dalla cronaca, ma al dolore che invoca il perdono. L’individualismo, il centralismo per esempio sono visti come “patologie” che insidiano la salute della Chiesa, ne graffiano l’immagine trinitaria.

Ha preferito piuttosto citare testimonianze toccanti sull’unità come valore che scaturisce dall’amore trinitario, lasciateci da san Bernardo, da san Giovanni M. Vianney, per esempio.

Così, perché la Croce non sia considerata quale ostacolo, ma come via per “costruire” la Chiesa, ha fatta propria quella pagina del patriarca Atenagora che afferma: «bisogna riuscire a disarmarsi».

GEN’S: Si prevedono interventi o iniziative ulteriori?

Ulteriori iniziative? Credo che a questo metodo e alle scansioni adottate il vescovo tenga proprio a rimanervi fedele: il percorso di comunione non è breve, ma necessario e certamente efficace come un arco adeguatamente caricato. Si procede con l’attenzione che è chiesta ogniqualvolta si fa un itinerario con persone diverse di età, di sensibilità, di preparazione… ma si vuole andare avanti tutti insieme, senza lasciarsi alle spalle qualcuno.

Il nostro vescovo ha scelto di dare il massimo di sé, senza pretendere alcunché da nessuno, se non la totalità dell’adesione a Gesù. Sta portando avanti la Visita pastorale, coinvolgendosi con i sacerdoti e i fedeli laici per mettere in luce il Volto di Gesù: dedica una settimana per ogni parrocchia, rimanendovi in forma pressoché continuativa, senza tralasciare i normali impegni diocesani.

In tal modo prende per mano i preti e i laici, particolarmente gli animatori parrocchiali, portandoli a vivere quanto ha suggerito nella Lettera. Mi piace, a tale proposito, ricordare il commento di un ragazzo di prima media, di una parrocchia a me vicina: «Eccellenza, grazie: ci ha fatto vivere cose grandi sempre nel sorriso!».

Giancarlo Moretti