Nuclei familiari che si trasferiscono per il Vangelo

 

Famiglie «in missione»

di Marisa e Agostino Peretti

 

La vicenda di una coppia di coniugi che si è resa disponibile ad andare ovunque fosse necessario per contribuire a consolidare la presenza del Movimento dei focolari, e che è stata inviata a Santo Domingo. Nel loro racconto fanno gustare la bellezza di essere pronti a portare il Vangelo anche in terre lontane, dove si imparano a conoscere persone che diventano veri fratelli e sorelle, ma anche di tornare, per calarsi in una situazione diversa, pur sempre entusiasmante, perché alla sequela di Gesù.

 

Disposti a seguire Gesù, ovunque

Agostino: Da giovani siamo stati impegnati entrambi nel Movimento gen, la parte giovanile del Movimento dei focolari. Dopo sposati sentivamo che questo nostro desiderio di vivere per gli altri non poteva diminuire, non potevamo chiuderci nel nostro mondo, e abbiamo continuato a dare una mano per i giovani, poi per le famiglie, e tante altre cose. Avevamo anche dato la nostra disponibilità per un eventuale trasferimento in una nazione dove il Movimento stava iniziando, anche se pensavamo che questo non sarebbe mai successo.

A un certo punto avevamo anche avviato un’attività in proprio. Dopo sei anni che eravamo sposati, un bel giorno, con nostra sorpresa, ci è stato proposto un trasferimento in un Paese dell’America Latina, per contribuire allo sviluppo del Movimento, che lì era arrivato da pochi anni.

Ci siamo presi un colpo. A me l’avventura era sempre piaciuta, ma a Marisa piacevano le cose stabili, sapere dove metteva i piedi, ecc.

Non era facile l’idea di lasciare tutto: i parenti, gli amici, un lavoro in proprio ben avviato, la patria, tutto quanto avevamo vissuto fino a quel momento. Ma entrambi, fra le mille voci della trepidazione, dell’incognita per il futuro, della gente che ci diceva che eravamo  pazzi, ne sentivamo una in particolare, che ci dava una grande pace e una grande serenità: quella di Gesù che ci proponeva il “vieni e seguimi”.

 Per scoprire se era proprio quello il progetto di Dio per la nostra vita, abbiamo cominciato a muovere i passi verso quella direzione: parlarne con i genitori, cercare un lavoro in quella nazione, ecc.

Non stiamo a raccontare tutti i particolari, ma dopo quasi tre anni, nell’aprile del ‘90, siamo partiti per la Repubblica Dominicana, dove siamo rimasti fino al 2000.

Ci sarebbero tante cose da raccontare di quegli anni.

Innanzitutto, non avremmo mai pensato che si potesse arrivare veramente ad amare un’altra patria come la propria.

Lasciare l’Italia quella volta non era stato facile, ma più difficile ancora è stato partire definitivamente dalla Repubblica Dominicana.

Ci siamo trovati in un ambiente completamente diverso da quello a cui eravamo abituati; spesso mancava l’energia elettrica, per cui si rimaneva anche senza acqua corrente. Era estate perenne, per cui ci trovavamo a dover necessariamente rallentare i ritmi a cui eravamo abituati. Ci mancavano tante cose, ma via via sentivamo che in cambio ne trovavamo altre, come la ricchezza del rapporto con molte persone.

Al momento della partenza per Santo Domingo ci era stata regalata una foto con il volto di un Crocifisso. Lo abbiamo appeso di fronte al nostro letto, in modo che ogni mattina, svegliandoci, ci aiutasse a metterci a fuoco sull’essenziale, ci ricordasse che Lui era morto per ogni persona, anche per quelle che avremmo incontrato nel corso di quella giornata. Avremmo dovuto perciò solo cercare di amare con il Suo stesso cuore, il resto lo avrebbe fatto Lui.

Sentivamo infatti che non dovevamo essere “noi” a portare la vita del Vangelo, a conquistare i cuori, ma che l’avrebbe potuto fare solo Gesù in noi e fra noi; la cosa più importante perciò era amarLo e amarci, il resto – ne eravamo certi – sarebbe poi venuto da sé.

Siamo partiti intanto per due anni; poi, di due in due, gli anni sono diventati alla fine undici.

Fin da subito abbiamo sentito che il non sapere quanto tempo avremmo avuto a disposizione per amare quelle persone ci manteneva attenti, vigilanti a non sciupare il tempo che avevamo.

Come ci «organizzavamo»

Marisa: Con le famiglie che erano venute in contatto col Movimento abbiamo iniziato a organizzare dei gruppi nelle varie città. Periodicamente viaggiavamo nell’una e nell’altra località, dove ci fermavamo per tutto il fine settimana.

Prima dell’incontro con le famiglie, cercavamo di aver costruito un rapporto personale con loro: telefonavamo a ognuna, ci interessavamo alla loro situazione economica, di salute, di crescita dei bambini. In casa avevamo una scatola dove andavamo mettendo dei piccoli doni che portavamo sia dall’Italia, tipo bomboniere dei matrimoni, o altre oggetti che ci venivano regalati e che magari erano in più: un portachiavi, una candelina di cera colorata, un fazzolettino ricamato, un quadretto con dei fiori secchi, ecc. Prima di ogni viaggio cercavamo in quella scatola qualcosa per ogni famiglia, in modo che sentissero che avevamo pensato a ognuna di loro personalmente.

Dopo aver cercato di amarle così, si arrivava al momento dell’incontro di gruppo con una grande gioia. Sembrava che l’incontro fosse già iniziato nei giorni precedenti, per cui quelle due ore fruttavano tantissimo.

Il programma dell’incontro consisteva in genere in tre momenti fondamentali:

– il primo di meditazione, con degli scritti di Chiara Lubich, sul punto che avevamo pensato di trattare (ad esempio l’amore di Dio per ognuno di noi, o la Volontà di Dio, o la presenza di Gesù fra noi, ecc.);

– il secondo dove si applicava questo punto alla vita della famiglia. Lo approfondivamo anche con nostre esperienze di vita. Ve ne raccontiamo una, sull’economia familiare.

Una sera avevamo organizzato con le famiglie una festicciola per salutare un comune amico, un religioso, che partiva. Ogni famiglia portava qualcosa di tipico per la cena. Noi eravamo appena tornati da un viaggio in Italia, e ci eravamo portati un bel pezzo di parmigiano, dato che lì il prezzo era proibitivo. Eravamo combattuti fra il desiderio di condividerne una parte con le famiglie e il pensiero che presto saremmo stati nuovamente senza. Ci siamo guardati e ci siamo detti: ma come, abbiamo lasciato la patria, il lavoro, i parenti, e ora ci attacchiamo a un pezzo di parmigiano… Decisi, ne abbiamo tagliato un pezzo per la festicciola, cosa che è stata gradita da tutti. Due giorni dopo suona il campanello: era un turista che non conoscevamo, amico di nostri amici, che ci portava un pacco da parte loro. Apriamo: era un grosso pezzo di parmigiano.

– il terzo dedicato alle esperienze di vita e alla comunione fra tutti. Questo era il momento più bello, il culmine dell’incontro, dove ogni famiglia si sentiva libera di comunicare gioie, dolori, difficoltà. Naturalmente salvando la riservatezza, ma sicuri anche che quanto veniva detto lì era considerato sacro, perché l’atmosfera che si creava era intrisa dell’amore del Vangelo.

Si passava poi a comunicare notizie sulla vita delle famiglie in altre Paesi, dilatando così gli orizzonti di ognuno al mondo intero.

Alla fine dell’incontro sentivamo di poter dire che «Gesù era stato presente fra noi durante quelle due ore».

Lo sentivamo dall’ardore che noi e ogni famiglia aveva in cuore, quell’ardore che suscita generosità, interesse verso i bisogni dell’altro, disponibilità di tempo, ecc.

Ricordiamo un fatterello. Eravamo appena tornati da un viaggio in Italia, e avevamo raccontato alle famiglie l’esperienza fatta lì, la provvidenza ricevuta, ecc. La famiglia che ci ospitava quel giorno aveva appena avuto una bambina, e stavano ricevendo diversi regali: pannolini, vestitini, ecc.

Alla fine dell’incontro ci hanno detto che durante l’incontro avevano capito che dato che nel loro bilancio familiare avevano previsto quegli acquisti, sentivano che potevano dare l’equivalente di quei regali  che avevano ricevuto per le necessità di qualche altra  famiglia…

Una scuola di vita

Agostino: Dopo un paio d’anni che eravamo lì, abbiamo iniziato anche con un appuntamento annuale per tutti i gruppi di famiglie insieme, che si è trasformato in una tradizione che continua tuttora: una “scuola di vita del Vangelo” di tre giorni, dove di anno in anno si andavano approfondendo le tematiche tipiche della famiglia: l’unità nella coppia, l’educazione dei figli, ecc. Ogni anno trattavamo anche un sacramento, invitando qualche sacerdote, con il quale preparavamo il programma insieme.

Potremmo dire che il programma di queste “scuole” annuali di tre giorni scaturiva proprio dalla vita con le famiglie durante tutto l’anno. Oltre a questi, erano tanti altri i momenti che passavamo con loro: inviti periodici a cena, fine settimana che le famiglie trascorrevano a casa nostra, gite che facevamo con loro. Riguardo alle cene, alcune famiglie ci dicevano che “coltivavamo le persone con gli spaghetti”.

Durante questi incontri di famiglia, ascoltando quanto ci raccontavano della loro vita, ci sorgevano delle idee proprio sul programma della futura scuola annuale. Ricordiamo un episodio.

Eravamo andati in una città ai confini con Haiti, ospitati da una giovane famiglia con una bambina di due anni. Il sabato pomeriggio ci hanno portati a visitare la città e siamo entrati anche in chiesa. Avvicinatici al fonte battesimale, per gioco, ho preso in braccio la bambina e ve l’ho messa, dato che non c’era acqua, dicendo: ti battezzo.

Poi mi è venuto un dubbio: ma sarà battezzata? L’ho chiesto ai genitori, che con naturalezza hanno risposto: “No, pensiamo di battezzarla quando sarà più grande, quando potrà decidere da sola.” Visto che erano molto impegnati in parrocchia, questa risposta ci ha sorpresi, ma abbiamo cercato di comprendere le loro convinzioni. Ci è però venuto da dir loro: ma per mandarla a scuola non aspetterete che decida lei, considerate che è per il suo bene e deciderete voi. Non pensate che questo criterio possa valere anche per le cose della fede? E ne abbiamo parlato ancora un po’.

Tornando a casa, questo episodio ci tornava spesso in mente, e abbiamo sentito che forse sarebbe stato proprio amore per le famiglie mettere nel programma della successiva “scuola” l’approfondimento del sacramento del battesimo.

L’abbiamo fatto. Alla fine di quei tre giorni quei genitori ci hanno detto che avevano capito e che avevano deciso di battezzarla, e visto come erano nate le cose, hanno anche chiesto a Marisa di esserne la madrina.

Realtà cruciale: l’unità

Marisa: Con quella bambina c’è stato sempre un profondo rapporto, soprattutto spirituale, tanto che lei, pur essendo piccola, più volte è voluta venire a stare a casa nostra per un fine settimana, anche se aveva paura del buio, di dormire da sola, ecc.

Al momento della nostra partenza da Santo Domingo aveva sette anni, e ci ha detto che sarebbe stata contenta di venire a passare un periodo con noi anche in Italia.

Quest’anno ha compiuto 15 anni, e approfittando di un incontro internazionale per ragazzi e ragazze della sua età organizzato dal Movimento, è stata con noi per tutto il mese di maggio. Mi sembra che in lei ci sia veramente un desiderio di donazione a Dio; e col tempo di certo si capirà.

Sempre riguardo al programma sia di questa scuola annuale, che ai periodici incontri con le famiglie, sentivamo fortemente che prima di affrontare un qualsiasi argomento dovevamo cominciare sempre “dall’inizio”, e cioè dall’unità della coppia, per poi “proseguire” con un altro tema.

Assieme alle famiglie constatavamo infatti che non era la presenza dei figli, o la certezza di un lavoro, o altro, che teneva insieme la coppia;  lo dimostravano le tante separazioni e divorzi che vedevamo attorno a noi.

Qual era allora il punto cruciale, da mettere e mantenere costantemente a fuoco? Era proprio il rapporto di coppia, il dialogo, la comunione, quell’unità costruita e ricostruita che illuminava poi tutti gli altri campi: l’educazione, ecc.

Nel corso degli anni abbiamo visto famiglie scoprire il valore del sacramento del Matrimonio e sposarsi in chiesa; altre cominciare a ricordare con un segno gli anniversari del matrimonio; altre cominciare a pregare insieme; altre trovare la forza, nell’unità fra loro, di non cedere alla tentazione della sterilizzazione dopo il terzo figlio, com’era consuetudine…

Agostino: Altre scoprire il valore della fedeltà: una di loro infatti ci diceva: «voi non immaginate cosa significa per noi, che viviamo in un ambiente dove il matrimonio ha poco valore, essere riusciti a superare le difficoltà, essere ancora insieme, e felici, mentre tanti nostri amici, divorziati e risposati, sono infelici».

Per ogni coppia un progetto di Dio

Marisa: Vi raccontiamo ancora un episodio. Era l’ultimo giorno di una di queste scuole: avevamo costruito il programma intorno a una frase di Chiara Lubich sull’unità della coppia, frase che riguardava l’economia della famiglia. Diceva Chiara, infatti, che una delle cose che tengono insieme la famiglia, è quando il papà e la mamma, anche insieme ai figli, vedono insieme la loro economia familiare.

Dopo il pranzo della domenica, in attesa di partire, vediamo una coppia seduta all’ombra di una palma, in profonda conversazione fra loro due. Avevano gli occhi che brillavano, lucidi di commozione. Li abbiamo osservati un po’, poi ci siamo avvicinati, discretamente. Arrivati vicino a loro ci dicono: Sapete? In questi due giorni, cercando di guardare a fondo alla nostra situazione economica, abbiamo sperimentato un’unità profonda fra di noi, così profonda che abbiamo sentito il desiderio di sposarci in chiesa. Sono sparite le paure che sentivamo nel legarci per sempre. Ora siamo certi che il nostro amore è vero e lo vogliamo consacrare davanti a Dio. Voi però dovrete essere i nostri testimoni.

Si sono preparati per un anno, fra difficoltà di tutti i tipi: non si trovava più l’atto di nascita né l’atto di battesimo di lui, perché la chiesetta del suo paese anni fa aveva subito un incendio. Non si trovava la registrazione da nessuna  parte.

Il parroco poi, incredulo di questo loro desiderio, faceva la parte del diavolo, cercando di mettere alla prova la loro decisione. Ma dopo un anno tutto era pronto per il matrimonio. Nell’omelia quel sacerdote ha detto che non aveva mai incontrato una coppia così convinta del passo che stava per fare, cosa che aveva dato tanta gioia anche a lui.

Il sabato pomeriggio abbiamo fatto i testimoni al matrimonio, la domenica mattina i padrini al battesimo del loro secondo bambino, che aveva un anno.

Sono passati nove anni e da qualche tempo questa coppia segue le famiglie della loro città, con grandi frutti, proprio perché la loro convinzione è contagiosa.

Nel corso degli anni insieme alle famiglie siamo andati scoprendo che veramente per ogni coppia c’è un progetto d’amore da parte di Dio; per la coppia e per chi gli sta intorno. Un progetto da scoprire.

Un altro momento che si è rivelato molto bello per l’evangelizzazione delle famiglie sono state le giornate distensive passate insieme. Ci trovavamo in qualche istituto che avesse a disposizione sia un parco che una saletta.

Di solito, nelle diverse città, lo organizzavamo con le famiglie che già conoscevamo: chi preparava qualche bevanda, chi portava il ghiaccio, chi i bicchieri, ecc.. Ma soprattutto facevamo come un patto, di essere attenti a volerci bene fra di noi e di accogliere con amore ogni persona che veniva per la prima volta, in modo da creare veramente un atmosfera di famiglia.

Ci trovavamo per l’ora di pranzo, ognuno portava il suo pranzo a sacco.

Nel pomeriggio si facevano dei giochi; cercavamo dei giochi che oltre ad essere divertenti e distensivi potessero anche contribuire a costruire l’amore reciproco fra tutti.

Poi, verso la fine del pomeriggio, ci trovavamo per un’ora in una saletta, mentre qualcuno badava ai bambini. A questo punto della giornata si era costruito veramente un ambiente di famiglia, sia fra chi già si conosceva, sia fra chi era venuto per la prima volta. Dedicavamo quest’ora a un momento di riflessione, di approfondimento su qualche aspetto riguardante la vita di famiglia, sempre corredati da testimonianze di vita vissuta.

In ogni occasione, tante famiglie che erano venute per la prima volta, esprimevano il desiderio di rimanere in contatto.

Cosa ci sosteneva?

Agostino: Cosa ci sosteneva in queste attività? Era il continuo confronto, sia fra noi due che con altri con i quali viviamo questa spiritualità dell’unità.

Fra noi due sentivamo che avevamo sempre bisogno di confrontarci, di parlarci in profondità. Una volta la settimana, nel limite del possibile, cercavamo di ricavare un paio d’ore per noi. Ci fermavamo, proprio fisicamente, per parlarci, per comunicarci desideri, idee, preoccupazioni, a fare piani, a cercare di capire come amare quella persona, o quell’altra.

Riprendevamo poi le normali occupazioni con una grande gioia nel cuore, con la certezza che era Gesù presente fra noi che portava avanti ogni cosa. E, puntualmente, ogni volta, succedeva che in quel tempo non squillavano né telefono né campanello, mentre quando avevamo concluso, cominciavano entrambi a suonare. Anche questo ci faceva capire l’importanza di queste due ore, veramente sacre.

Poi, a un certo punto,  mi è  stato chiesto di tornare al Centro del Movimento dei focolari per lavorare nel settore audiovisivi. Essendo infatti un tecnico video avevo già a Santo Domingo lavorato come tecnico e, poi, come direttore tecnico in una grande televisione. E ora viviamo a Grottaferrata, nei Castelli Romani.

Quando ci è stato chiesto di tornare in Italia, il dolore del distacco è stato grande, per noi come per le famiglie. Ma anche quel momento si è rivelato un’opportunità per testimoniare il Vangelo. Tante famiglie ci dicevano: «Ma non siete liberi? Non potete dire di no? Non potete rimanere qua?». Ricordo che abbiamo risposto: «Certo, possiamo dire di no, ma avremmo potuto dire di no anche 11 anni fa, quando ci è stato proposto di venire, e avremmo perso una straordinaria esperienza come quella che abbiamo vissuto qui». E, con nostra sorpresa, hanno infine detto: «Abbiamo capito, ora tocca a noi portare avanti quello che voi avete seminato».

Sono passati ormai diversi anni da allora, e tutte le famiglie hanno continuato in questa esperienza e, con nostra grandissima gioia, sappiamo che ne hanno “contagiato” delle altre, da autentici discepoli del Signore.

Marisa e Agostino Peretti