I primi sposi che scrivono la «Via crucis» per il Papa

 

Un’inedita esperienza ecclesiale

di Anna Maria e Danilo Zanzucchi

 

Non poteva non attirare l’attenzione dei media il fatto che per la prima volta è stato chiesto a due sposi di scrivere i commenti per le stazioni della “Via crucis” del Venerdì Santo al Colosseo di Roma. Durante la preparazione, i coniugi Zanzucchi sono stati contattati per numerose interviste. Speriamo di fare un servizio utile ai lettori, raccogliendo qui alcune delle risposte più significative, in particolare sul rapporto con la Chiesa.

 

Papa Benedetto XVI vi ha scelti per scrivere le meditazioni della Via Crucis al Colosseo di questo anno. Come vi è stato comunicato e quale è stata la vostra prima reazione?

Anna Maria: Abbiamo avuto una chiamata dal Segretario di Stato, il Card. Tarciso Bertone, e a seguire una sua lettera, in cui ci comunicava la decisione del Santo Padre che i testi della Via Crucis del Venerdì Santo quest’anno fossero composti da una coppia di sposi. Diceva di aver pensato a noi per questo compito sia per l’esperienza di famiglia cristianamente impegnata, sia per l’apporto che abbiamo dato alla fondazione del Movimento Famiglie Nuove e il contributo offerto in passato al Pontificio Consiglio per la Famiglia.

Siete la prima coppia cui viene affidato un tale compito. Con quale emozione e responsabilità avete svolto questo servizio per la Chiesa?

Danilo: Abbiamo appreso la notizia con stupore, emozione e, non lo nascondiamo, con trepidazione e timore. D’altra parte anche una grandissima gioia, perché avvertiamo il fatto che il Santo Padre abbia chiamato una famiglia a stendere il pensiero della Chiesa per le meditazioni della Via Crucis, è un mettere in evidenza il nuovo ruolo della famiglia nella Chiesa stessa, che non è solo oggetto di evangelizzazione, ma una vera e propria “via” della Chiesa per vivere e portare il Vangelo, secondo quanto scritto da Giovanni Paolo II nella Lettera alle Famiglie nel 1994.

Poi abbiamo avvertito interiormente che attraverso questa circostanza Dio ci rivolgeva una chiamata, l’invito ad affrontare questo lavoro proprio come un momento “a tu per tu” con Gesù, in cui Lui ci interpellava a partecipare più profondamente alla Sua Passione.

Avete avuto l’occasione di collaborare ancora, in passato, con il Papa?

Abbiamo conosciuto Papa Benedetto XVI quando una volta – da prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede – venne a visitare Chiara Lubich durante un incontro al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo; eravamo stati incaricati di accoglierlo e accompagnarlo in ascensore; lì abbiamo avuto modo di un breve dialogo con lui. Ci chiese quanti figli e prospettive avevamo, che cosa ci aveva dato la spiritualità del Movimento. È stato un colloquio, direi, da fratelli.

Molte volte gli avevamo presentato gruppi di famiglie del Movimento, che erano presenti alle udienze o in diverse manifestazioni. Ci è rimasto un amore profondo anche per lui, quell’amore che avevamo anche per Giovanni Paolo II che abbiamo conosciuto più profondamente.

Con lui abbiamo senz’altro avuto un rapporto privilegiato. Pochissimi giorni dopo la sua elezione ci ha chiamati a collaborare alla nascita di quello che è attualmente il Pontificio Consiglio per la Famiglia. È stato lui a desiderare questo nuovo organismo nella Chiesa, a progettarlo, a sostenerlo. Ci ha sempre impressionato il suo grande amore per la famiglia, per tutte le famiglie! E questo ci sorprendeva pensando che la sua esperienza personale era stata segnata soprattutto dal dolore, per la perdita dei genitori e del fratello quand’era ancora molto giovane… Ma aveva una profondità, una capacità straordinaria di cogliere tutti gli aspetti della vita della famiglia!

Voi siete stati proprio all’inizio di questo Pontifico Consiglio per la famiglia.

Sì, è stato fin dall’inizio, quando ci fu il Sinodo della famiglia celebrato nel 1980. Paolo VI, in verità, aveva costituito un Comitato, che poi Giovanni Paolo II trasformò in Pontificio Consiglio. È stata una scelta molto importante. Abbiamo lavorato parecchio quegli anni; veramente è stato anche un aprirsi alle famiglie di tutto il mondo, di tutte le culture. In questo modo, come sposati, ci siamo sentiti accolti e portati nel cuore della Chiesa, anche per esser ascoltati.

Come membri di questo Consiglio fin dall’inizio, che ruolo avete avuto in questa importante struttura della Chiesa?

Danilo: Noi siamo stati membri fino al 2008. Abbiamo avuto tanti incontri con Giovanni Paolo II che ci interrogava e voleva verificare con noi le suggestioni che gli venivano sul ruolo della famiglia nella Chiesa e nella società.

Durante il Sinodo dedicato alla famiglia, abbiamo avuto modo di esporre a lui e ad alcuni Padri sinodali, alcune nostre esperienze con le famiglie, ma anche prima c’era stato un sostanzioso colloquio con lui. Tutto questo ha contribuito a far nascere una visione della famiglia come vera protagonista dell’evangelizzazione.

Anna Maria: Ovviamente non siamo stati solo noi a fare questo. Però è stato il momento storico in cui la famiglia è entrata in maniera più viva nella Chiesa e anche nelle realtà delle diocesi…

Danilo: Mi ha fatto impressione in diverse occasioni in cui abbiamo avuto modo d’incontrare il Papa, invitati a pranzo da lui o in qualche incontro personale il suo atteggiamento di ascolto; come lui si metteva davanti a noi – certamente tante cose le sapeva – ma voleva tirarle fuori dalla nostra esperienza di famiglia. Ci interrogava, e ascoltava, e dopo si esprimeva lui, ma le cose che diceva erano verificate dalla vita.

Anna Maria: Naturalmente, Giovanni Paolo II aveva rapporto con numerosissime famiglie di tanti movimenti ecclesiali. Ed era bello costatare come nel suo cuore ci fosse la famiglia volendo dare spazio a questi nuovi impulsi che c’erano, di prendere parte cioè come famiglie alla vita della Chiesa.     

Da più parti si critica la Chiesa di essere dominata da un clericato maschile che, viene asserito, non capisce i problemi e le difficoltà dei laici e delle coppie sposate in particolare. Cosa rispondereste?

Anna Maria: Questa idea viene da una consuetudine, da un concetto che c’era, anche perché – per diverse circostanze che qui non è il luogo di analizzare – il laicato non era del tutto maturo a prendersi delle responsabilità nella Chiesa. Quindi c’era questo squilibrio che veniva in evidenza, come del resto succedeva nella vita civile.

Però noi abbiamo visto com’è cambiata la società. E anche la Chiesa ha acquisito questa nuova mentalità. Perciò ha costituito il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in modo da ascoltare direttamente e intervenire sulle realtà che queste persone riportavano, affrontando i problemi che c’erano in tutto il mondo con il contributo della loro competenza e della loro testimonianza.

A volte si è pensato che solo i preti e le suore siano chiamati alla santità, mentre i laici fanno il meglio che possono. Nella vostra esperienza, in che modo la spiritualità dell’unità vi ha aiutato ad allargare gli orizzonti fino a includere il resto dell’umanità – con tutte le sue vocazioni – in questa chiamata?

Anna Maria: In realtà, sempre più persone pensano che siamo chiamati tutti alla santità, ma che alla fine quelli che hanno possibilità maggiori sono preti e suore. Mentre in quest’ultimo secolo sono stati riconosciuti santi tanti laici, uomini e donne, comprese coppie di sposi. Più che nel passato.

Danilo: C’erano nel mondo cattolico già dalla fine del ‘800 e i primi del ‘900 dei laici che sentivano di essere parte della Chiesa e volevano entrare in essa come elemento vivo, ma non sapevano come fare. C’era questa aspirazione, ma alcune forme tradizionali non soddisfacevano più.

Con Chiara Lubich è maturata la realtà di essere tutti chiamati al regno di Dio, anche gli sposati. L’esempio della sua famiglia, di altri sposati che l’hanno seguita le hanno evidenziato una cosa che già lei aveva dentro fin dall’inizio: l’ut omnes, “Che tutti siano uno” (Gv 17, 21).

La “battaglia” di Igino Giordani (primo focolarino sposato) è stata questa: portare in evidenza l’uguaglianza di tutti verso la santità. Ma è giusto anche aggiungere, che nessuno ha riconosciuto, come lui, la grandezza della scelta di Dio nella verginità e nella consacrazione. Egli più che di santità parlava di totalitarietà. Di vivere tutto per Dio e lo faceva con gli esempi di uno che lavora, di uno che ha la famiglia, di uno che tira su i figli… cioè i suoi esempi erano sempre immersi nella società, nella famiglia, nella persona così com’è.

Questo modo di vedere le cose si è andato consolidando nel tempo, anche attraverso la tragica esperienza della guerra, dell’odio. Possiamo dire che ciò ha contribuito a far crescere nel popolo di Dio la “nuova” mentalità che la Chiesa ha poi definito e proposto, soprattutto, a partire dai documenti del Concilio Vaticano II.

Perché il Papa ha scelto voi?

Anna Maria: Non sappiamo esattamente perché questa scelta sia caduta su di noi… Ma si può dire che, sempre di più, nella Chiesa, la famiglia è vista come protagonista dell’evangelizzazione, come protagonista nel portare il Vangelo nel mondo.

Questo è un passo nuovo che sta avvenendo, anche nella cultura, perché anche socialmente la famiglia di oggi è vista come soggetto sociale. Ma siccome è una sottolineatura recente, non è ancora diventata una consapevolezza acquisita da tutti.

Il fatto che il Santo Padre abbia chiamato degli sposi a scrivere queste meditazioni per la Via Crucis è stato un modo per mettere in evidenza anche questo compito della famiglia nella Chiesa stessa. Sempre la famiglia ha svolto un suo ruolo, ma ora è invitata a creare una realtà nuova, a portare il messaggio del Vangelo in un modo proprio. Non è più solo oggetto di evangelizzazione, ma una vera e propria via della Chiesa.

Quello che ha voluto fare il Papa è il segno di un passo fondamentale che sta avvenendo.

Anna Maria e Danilo Zanzucchi