La Parola nella vita del vescovo Klaus Hemmerle

 

Un innamorato del Vangelo

 

di Wilfried Hagemann

 

Per il teologo tedesco e vescovo di Aachen, Klaus Hemmerle, defunto nel 1994, Gesù era veramente la Parola di Dio, venuta per farci più pienamente e più coscientemente partecipi della vita della Trinità: «Sin dall’inizio la sua vita è risposta. Sin dall’inizio la sua vita è un sì. In Lui convergono totalmente l’essere origine assoluta e l’essere risposta. Gli fu chiesto se voleva farsi uomo ed ha risposto: “Sì, io vengo Signore, per fare la tua volontà!” (Eb 10, 9). Così sin dall’inizio noi siamo presi dentro a questa realtà del rapporto trinitario tra il Padre e il Figlio. Questo sì tra Padre e Figlio è lo spazio in cui anche a noi viene detto sì, in cui anche noi veniamo pensati, viene resa possibile la nostra esistenza, siamo creati e siamo redenti. Questo sì tra il Padre e il Figlio fonda, abbraccia e circonda nella libertà me stesso, tutti gli altri e ogni cosa»1.

 

L’incontro con il carisma dell’unità

Hemmerle aveva studiato filosofia e teologia con uguale intensità e profondità. Grazie ai suoi professori Anton Vögtle (per il NT) e Alfons  Deissler (per l’AT), riceve una forte impostazione esegetica alla quale si affida profondamente, seguendo il metodo storico-critico, ed è nutrito dalla fede della Chiesa in cui si radica la sua teologia biblica. Ma è stato nell’incontro con Chiara Lubich che comprese che la Parola di Dio può davvero sprigionare tutta la sua forza quando viene vissuta. Grazie a Chiara intuisce che il vivere secondo la Parola, il vivere ogni Parola spalanca nuovi orizzonti, per l’esegesi come per la conoscenza. La Parola, che agisce dentro la vita dell’umanità e la trasforma profondamente, dischiude e rivela il suo significato più profondo attraverso questo processo dinamico esistenziale. Il vivere la Parola divenne per lui la chiave ermeneutica per una nuova comprensione dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Nel 1958 in una Mariapoli sulle Dolomiti conobbe per la prima volta il carisma dell’unità. Egli fece una scoperta fondamentale: il regno di Dio che Gesù ha annunciato è presente già qui, perché viene vissuto il comandamento nuovo, cioè l’amore reciproco: All’arrivo in Mariapoli si veniva subito circondati da un amore affettuoso tanto che in un primo momento mi sentii irritato. Ma presto ebbi l’impressione che in quell’enorme valle concava e sotto quel grande cielo aperto tutto mi dicesse: Dio è amore! L’amore non è solo un comandamento, ma in primo luogo è un dono: Dio è amore, Dio ti ama infinitamente. In questa realtà di dono Dio stesso era divenuto completamente diverso da come lo avevo conosciuto fino a quel momento.

Con il carisma dell’unità si aprì una nuova dimensione nella sua vita: si trattava di vivere la Parola più fortemente e condividendone gli effetti. Infatti, egli pronunciava il termine “Parola” con un rispetto sacro e profondo, persino con una certa commozione. Faceva le sue esperienze sulla Parola e le comunicava. La Parola divenentava la vera protagonista della sua vita. Lo raccontava con profonda gioia e con grande serietà, sia agli altri sacerdoti diocesani con i quali condivideva la vita di comunione nel Movimento dei focolari, sia più tardi tra i vescovi.

La Parola era il fondamento e la radice delle sue omelie che spiccavano per il loro contenuto dottrinale, per la chiarezza intellettuale e, al tempo stesso, per la vicinanza alla vita concreta grazie alla sua esperienza.

Alla fine degli anni Ottanta Chiara Lubich gli propose una sfida particolare. Con lo sguardo rivolto alla futura Scuola Abbà (centro studi del Movimento dei focolari) che stava nascendo, gli chiese di vivere la Parola con ancora più intensità di quanto non avesse fatto fino a quel momento, invitandolo a raccontarle cosa avveniva nella sua vita e intorno a lui.

Rispondendo a questa richiesta si rimise in cammino con nuovo vigore e giorno dopo giorno trascriveva quello che sperimentava e di tanto in tanto lo comunicava anche a Chiara.

Questa sua profondità era avvertita fortemente da coloro che lo incontravano, anche a detta del cardinal Lehmann che ne celebrò il rito delle esequie nel 1994 ad Aachen: Così il vescovo di Aachen, soprattutto donandoci la sua esperienza spirituale, ha operato un’efficace testimonianza della Parola e non solo per la sua autorità spirituale ed ecclesiale o per la sua posizione giuridica.

 

Alcune frasi della Scrittura

Certe parole della Scrittura gli erano particolarmente care, perché gli erano state proposte da Chiara stessa. Nel 1969, come molti allora facevano, egli aveva chiesto a Chiara di dargli una “Parola di vita”, cioè una frase biblica che costituisse per lui un programma contribuendo a realizzare in modo cristallino il disegno di Dio su di lui. E Chiara scelse per lui un’espressione tratta dai discorsi d’addio di Gesù: «In quel giorno saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi» (Gv 14, 20).

Questa Parola gli dischiudeva gli orizzonti della reciprocità, del reciproco essere l’uno nell’altro, l’impegno alla sequela di Cristo con quel particolare accento dell’«essere-nell’altro». Egli si impegnava in modo molto concreto a fare spazio per l’altro. Per Klaus Hemmerle, divenne decisivo l’incontro con Dio presente nel prossimo, ma anche l’incontro con ogni persona umana in quanto tale.

Quando fu eletto vescovo di Aachen, per prima cosa si chiese alla luce di quale Parola avrebbe potuto svolgere il suo servizio episcopale. Consigliandosi con Chiara, lei gli suggerì Gv 17, 21, che lui sintetizzò nella formula: Omnes unum, ut mundus credat. Al momento della consacrazione episcopale, egli rivolse all’intera diocesi l’invito a vivere insieme a lui questa Parola. E per lui in prima persona significava che Dio ha in cuore tutti, e che lui in qualità di vescovo non avrebbe potuto fare altro che dedicarsi pienamente a tutti. Questo si rifletteva e aveva conseguenze nel suo stile di vita e nel modo di esercitare il ministero. Rispondeva a tutte le lettere. Era disposto a parlare con ciascuno. Era raggiungibile al telefono persino a sera tardi. Naturalmente era consapevole della fatica, anche fisica, che si stava assumendo, per cui si impegnò a suddividere bene le varie parti della giornata, delegando alcuni compiti e curarando anche l’aspetto del riposo.

Così spiegò alla diocesi, nel momento della consacrazione episcopale, il «che tutti siano uno perché il mondo creda»:

Facciamo spazio a Gesù Cristo. Egli era infiammato da una sola e unica passione, fare la volontà del Padre. Egli ne è l’espressione, ne è la Parola. Ed essendo Parola ed espressione del Padre, egli è anche espressione e parola di tutti gli esseri umani. Tutto quello che è nel mondo, tutto ciò che esiste, si rispecchia nel volto di Gesù, servo obbediente di Dio. Egli ha portato su di sé i nostri pesi. Egli è il Figlio Unigenito, è la Parola del Padre e quindi è parola anche nostra. Anch’io comprendo il mio compito innanzitutto in questa maniera: non intendo portare me stesso, non intendo dire me stesso, ma voglio essere Parola, la Parola viva e incarnata del vangelo, la Parola di Dio. E con l’amare, ascoltare, accogliere, voglio essere parola che esprime la comunità, parola di ogni singola persona che posso incontrare.

Devo avere un cuore vuoto per fare spazio a Dio, devo avere un cuore vuoto per poter far spazio a ogni uomo e a ogni donna che incontro. Lo so che dire questo è rischioso. Ma questa è la misura di Gesù, e guai a me se non facessi mia questa stessa misura. Tutti noi vogliamo diventare Parola del Vangelo e Parola gli uni per gli altri.

C’è un insegnamento evangelico che lo affascinava particolarmente: il comandamento che Gesù chiama nuovo e suo. Per quanto riguarda il termine “nuovo”, nel testo greco si parla di kainos, non di neos. Non si parla quindi di “nuovo” come contrapposto a “vecchio”, ma si parla di “nuovo” nel senso della forza di ciò che è autentico, di un nuovo inizio che si apre per coloro che si lasciano calare nella realtà del Comandamento nuovo. E poi il “come io ho amato voi”. La Parola di Gesù è l’affermazione di una promessa. La Parola dona la forza di amare come ama Gesù.

È stata anche una profonda esperienza personale nel mio cammino spirituale. Non c’è nulla che funziona, se noi non viviamo una nuova realtà di reciprocità in un nuovo e profondo rapporto tra noi. […] Solo in questo modo, e cioè solo in una realtà comunitaria di appartenenza reciproca completamente nuova, in un appartenersi molto diverso da quello che si fonda sulla base di un’unica tradizione culturale o di un’unica ideologia, solo in quella realtà di reciprocità il cui vero fondamento è il dono totale di Gesù, ci sarebbe un’autentica alternativa […]. E questa realtà di reciprocità tra i gruppi, tra le generazioni, tra le Chiese, in tutti gli ambiti e in tutte le direzioni, tra le diverse ideologie, potrebbe essere una reale alternativa se decidiamo di interagire tra noi in quello stesso modo che Gesù ha voluto donarci e rivelarci con il suo comandamento nuovo.

Il culmine di tutte le Parole di Gesù, la “summa” di tutto quello che Gesù ci ha donato, per lui era Gesù abbandonato, con il suo grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34). In Lui vedeva la più alta rivelazione di Dio amore.

Molte volte ha raccontato come Chiara gli ha fatto dono di questa realtà. Gesù abbandonato è la più grande scoperta del XX secolo, dice insieme a Reinhard Pünder, che cita in modo indiretto nel saggio Vie per l’unità. In questo libro Hemmerle ci offre una esegesi teologica del testo di Chiara Ho un solo Sposo sulla terra. Egli spiega come Gesù abbandonato sia Parola di Dio nel senso più autentico: Così fino alla nostra lontananza da Dio e persino nella privazione di Dio, Dio stesso ci viene incontro, donando il Figlio suo. Nella situazione della nostra separazione da Dio, del nostro abbandono di Dio, che Gesù prende su di sé con amore, chiama il Padre, e riporta se stesso e noi nel Padre. Egli esprime qui il suo “sì” estremo e orante al Padre. Il “sì” di Dio all’umanità e il “sì” dell’uomo a Dio avvengono nel “sì” del Padre al Figlio e del Figlio al Padre. Il collegamento più profondo tra Dio e l’uomo che sorpassa l’abisso della lontananza e della separazione, avviene nell’intimo di Dio, nell’evento dell’amore trinitario tra Padre e Figlio nell’unico Spirito. L’immagine di Gesù sospeso tra cielo e terra, abbandonato dagli uomini e dal Padre suo, è l’Ecce Homo, è paradigmatica per l’uomo d’oggi, è il suo specchio. Uno specchio in cui, in verità, l’uomo può contemplare non soltanto se stesso, ma anche quanto lo trascende infinitamente: quel Dio che per amore si mette nella sua stessa situazione. La solitudine e l’abbandono stessi diventano il luogo in cui egli incontra l’amore di Dio.

Il «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20) attraversa tutto il suo agire. Si potrebbe dire che nella realizzazione di questa promessa di Gesù si compia tutto quello che ha vissuto con la Chiesa e per la Chiesa. Grazie a questa Parola si sentiva sullo stesso piano insieme a tutti i vescovi, i presbiteri e i fedeli laici. Questa Parola gli apriva lo spazio in cui Cristo si dona giorno per giorno in modo sempre nuovo. E allo stesso tempo questa era per lui un’altissima sfida: Riunirsi nel suo nome significa in sostanza: fare il suo cammino pasquale per arrivare attraverso la morte alla vita, per trovarsi nella presenza di Colui che è il Vivente. Possiamo rivedere e rifare questa strada ancora da una prospettiva nuova: dalla prospettiva dell`Incarnazione. In essa si manifesta Gesù in mezzo come il compimento della storia di Dio con l`uomo, dentro la storia.

 

La Parola di Dio e Maria

Questa Parola si palesava per lui ancor più con lo sguardo rivolto a Maria. Comprese con chiarezza che le persone che vivono la realtà del “dove due o tre“ compartecipano alla maternità di Maria nei confronti di Gesù: In questa sua dignità di genitrice di Dio, Maria è senza dubbio il vertice unico e irrepetibile della storia umana che si sposa così con la storia divina, cioè viene assunta da Dio nella sua storia con l`uomo in modo costitutivo. Eppure Maria non è solo compimento, ma anche tipo, modello, inizio. Nella vita della Chiesa avviene ciò che è avvenuto in Lei e per Lei. Anche nella Chiesa vive la maternità divina, vive l`azione divina che, attraverso la co-azione umana, fa entrare nella storia il Signore stesso. Attraverso l`annuncio e la testimonianza, la Parola viene data agli uomini per diventare vita di loro e per renderli “Parola viva”, “altri Cristo”.

In queste Parole di Dio particolarmente a lui care, sono contenute in nuce le altezze della sua teologia della Parola che svetta oggi davanti a noi e alla quale egli si è impegnato in tutta la vita. Mi limito a citare alcune frasi contenute nell’opera Vie per l’unità: In Gesù Dio ci rivela la sua Parola, affinché diventi la nostra vita; e il Verbo, che ha preso in Gesù la natura umana in modo sostanziale, deve incarnarsi e diventare vita anche nel suo corpo che è la Chiesa. Il Padre si esprime e si comunica eternamente nella sua Parola, come amore puramente donato. E questa Parola si riversa nel mondo mediante la donazione del Figlio, fino a raggiungere il nostro smarrimento e abbandono. Il Figlio è la Parola eterna del Padre, la Parola che lo comunica per intero e puramente e lo glorifica quale eterna e con-sostanziale risposta al Padre.

 

La Parola guida l’ortoprassi

Klaus Hemmerle aveva sempre sul tavolo da lavoro l’edizione in greco del Nuovo Testamento: la portava sempre con sé nei viaggi. Quando si presentava l’occasione, leggeva il passo neotestamentario in greco, nel testo originale; anche durante le vacanze.

Anche la raccolta dei commenti mensili alla “Parola di Vita” fatti da Chiara faceva parte del bagaglio che portava con sé in viaggio. Quando ci incontravamo nei convegni o nelle diverse manifestazioni egli per prima cosa ricordava la Parola che si stava vivendo quel mese. L’ascoltare la Parola, il vivere la Parola e il comunicarsi le esperienze, erano realtà entrate pienamente nella sua esistenza. La comunione serale delle esperienze riguardo alla Parola era per lui qualcosa di così naturale come la preghiera della sera e la compieta.

Senza esagerare si può dire che la sua pastorale, anche in qualità di vescovo, era completamente radicata nella Parola di Dio. Nella sua prima lettera pastorale – in Germania all’inizio della Quaresima in tutte le diocesi si è soliti leggere nelle parrocchie la Lettera pastorale del vescovo – egli invitò con insistenza a vivere la Parola di Dio. Prospettò di prendere una Parola da vivere tutti insieme, una Parola tratta dalle letture della domenica. Non era lui a proporre una Parola, rinviava piuttosto alle Parole della Scrittura che la Chiesa indica nel Lezionario durante l’anno liturgico. Terminò la lettera rivolta alla diocesi con questa frase semplicissima: Sarei felice di poter sentire ogni tanto qualcosa di queste esperienze.

Questa lettera pastorale scatenò una sorta di reazione a catena. Otto settimane dopo egli si rivolse a tutti coloro che gli avevano scritto raccontandogli le esperienze della Parola vissuta, e scrisse loro una lettera che poi è divenuta famosa, col titolo “Cari amici nella Parola”: Vorrei dirvi che sarebbe bene prendere una Parola da vivere per un certo periodo di tempo, almeno una settimana, per poterla declinare e concretizzare nella vita. E sarebbe bene cercare almeno una persona insieme con la quale vivere questa Parola, in modo tale che poi sia possibile condividere le esperienze fatte a riguardo.

E un po’ di tempo dopo scrisse ancora: Cari amici nella Parola! Lo scambio reciproco delle esperienze nel vivere la Parola del Vangelo tra così tante persone in diocesi è stato una delle esperienze per me più preziose in quest’anno.

La Parola “si mise subito in azione” in diocesi facendo maturare la comunione tra i credenti e con il vescovo. Nasceva e cresceva una comunità spirituale con una forte impronta della Parola, la cosiddetta “comunità degli amici nella Parola”. A queste persone scriveva con regolarità una lettera in cui per primo comunicava le sue esperienze con i commenti o le intuizioni che aveva avuto. Una volta l’anno invitava queste persone ad Aachen per un incontro in cui comunicarsi di persona le esperienze.

Grazie a questa vita in tutta la diocesi, egli comprese ancor più che nella Parola di Dio abita una forza vigorosa e decisa che unisce e lega, e che rende il Risorto presente in mezzo a coloro che sono uniti nel suo nome. La connessione di questa esperienza pastorale con le situazioni di necessità nella diocesi, come la mancanza di preti e anche la mancanza di fedeli (poiché molti in quel periodo disertavano le celebrazioni domenicali), lo portò a intuire che la Parola di Dio vissuta all’interno di una comunità e fra le diverse comunità, realizzava una particolare realtà di communio, un particolare modo di vivere la comunione che egli chiamava Weggemeinschaft, “comunione in cammino”. Una tale “comunione in cammino alla luce della Parola” riesce a trasformare alle radici i rapporti fra le persone: è un’alternativa e una importante chance in un’epoca che vive “senza Dio”, che vive la lontananza da Dio.

 

La Parola e l’ecumenismo

La vita alla luce della Parola aveva per lui una dimensione ecumenica che diventava sempre più evidente. Essa coinvolgeva in un unico abbraccio sia il sovrintendente evangelico della regione di Aachen sia i vescovi evangelici di tutta la Germania. Si può dire che questo sia stato un importante baricentro nella sua pastorale di vescovo.

Un punto di riferimento importante fu per lui Martin Kruse, allora vescovo luterano di Berlino. Klaus Hemmerle raccontava spesso che nel 1980 a Mainz si era recato all’incontro con Giovanni Paolo II insieme ai vescovi evangelici tedeschi. Mezz’ora dopo l’incontro, il vescovo Kruse gli chiese di scrivere il suo nome nella Bibbia che aveva con sé: Il vescovo Kruse tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una Bibbia in edizione tascabile che portava sempre con sé e mi disse: “E ora scriva il suo nome sulla prima pagina di questa Bibbia”.

Questo fatto è stato per lui un segno di quell’esperienza di unità che si radica nella Parola di Dio, e che viveva con questo vescovo come con tanti altri di diverse Chiese. Alcuni anni dopo il vescovo Kruse commentò questo fatto in un incontro ecumenico di duecento presbiteri cattolici e pastori evangelici nel Centro ecumenico di Ottmaring: Il tuo nome sta scritto nella mia Bibbia. Il tuo nome è scritto in quella Parola di cui vivo, in quella Parola che vivo, quella Parola che è Lui in pienezza, e al tempo stesso, sono io in pienezza: e insieme con me ci sei tu, perché tutti siano una cosa sola. Non è forse quello che accade tra noi, anche oggi?

La Parola di Dio è l’asse portante della sua vita, del pensiero come dell’azione.

Si può davvero definire Klaus Hemmerle un innamorato della Parola di Dio.

Wilfried Hagemann

 

1)            Il presente articolo sarà pubblicato, in versione più ampia, nella rivista di cultura “Nuova Umanità“, con i corrispondenti rimandi bibliografici di ogni citazione. Qui offriamo una versione breve e senza apparato critico.