La Parola trasforma interamente la vita

Spesso le cose che sembrano più semplici e scontate si colgono con difficoltà. È ciò che succede quando si parla della necessità di “vivere il Vangelo”, di “vivere la Parola di Dio”.

È facile sperimentarlo quando si cerca di spiegarlo ad altri, magari a dei catechisti, oppure in un corso biblico o teologico, in ritiri spirituali, nelle stesse omelie, nonostante si faccia il possibile per mostrare concretamente le conseguenze pratiche di quanto si sta dicendo.

Qualche volta, specialmente in persone con una certa preparazione o esperienza ecclesiale, si trova una diffidenza pregiudiziale riguardo a questo tema. Bisogna prendere con serietà tali difficoltà, soprattutto quando esprimono il timore che la proposta di accostare Parola ed esperienza di vita possa poggiare su una lettura biblica “fondamentalista”, ingenua, spiritualista, che non tenga conto della complessità delle situazioni umane e della necessità di una giusta conoscenza del testo biblico.

Allo stesso tempo, a contatto con studiosi della Bibbia, è abbastanza comune ascoltare confidenze del tipo: «un approccio biblico soltanto scientifico, storico-critico, taglia le gambe, produce ateismo…».

Infatti, non manca letteratura, anche di valore, che mostra l’importanza del nesso tra una teologia e una spiritualità evangelica adatte ai tempi, o la necessità di un rapporto stretto tra studio e esperienza vissuta, o dove si fa riferimento alla vita dei santi come “luogo teologico”, e via dicendo.

Di fatto il primo effetto di ogni carisma o autentica spiritualità cristiana, come mostra tutta la storia, è un riavvicinamento alla freschezza del Vangelo, una riscoperta della novità evangelica anche per chi credeva di conoscerla, provocando un incontro con la Scrittura biblica che trasforma la vita.

Un altro esito che producono i grandi carismi è che mettono in rilievo delle risorse che sono presenti nel Vangelo, ma risultano come “nascoste”, non avvertite o non vissute sufficientemente dal popolo cristiano. Come più volte ha rilevato Von Balthasar, i veri carismi apportano per qualche verso «una nuova interpretazione della rivelazione»1: «grandi carismi possono ricevere, donati dallo Spirito, sguardi nel centro della rivelazione, sguardi che arricchiscono la Chiesa»2.

È importante perciò che quanti attraverso nuovi carismi e movimenti ecclesiali sperimentano un “risveglio” evangelico, testimonino la propria esperienza, ma che avvertano che la loro esperienza della Parola non è l’unica né comprende tutti gli approcci possibili; l’importante è che sia autentica e con un compito nella grande sinfonia della Chiesa.

Ciò fa cogliere quanto sia decisivo che tutti siamo attenti ai carismi con cui lo Spirito offre delle risposte alle novità della storia, e quanto i seguaci dei vari carismi debbano essere sempre accoglienti gli uni verso gli altri.

Oggi si prova un certo disagio riguardo al linguaggio con cui si presenta il cristianesimo. Con chiarezza teologica e pastorale Benedetto XVI lo avverte e lo trasmette soprattutto nei suoi incontri con il clero: «non è sufficiente predicare o fare pastorale con il bagaglio prezioso acquisito negli studi della teologia. Questo è importante e fondamentale, ma deve essere personalizzato: da conoscenza accademica, che abbiamo imparato e anche riflettuto, in visione personale della mia vita, per arrivare alle altre persone. In questo senso vorrei dire che è importante, da una parte, concretizzare con la nostra esperienza personale della fede…, la grande parola della fede, ma anche non perdere la sua semplicità. Naturalmente parole grandi della tradizione – come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale – sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell’annuncio di Dio all’uomo nell’oggi»3.

Illustrare il Vangelo con esperienze vissute in tutti gli ambiti dell’esistenza, lo rende più comprensibile e attraente, perché ci aiuta ad acquistare “il pensiero di Cristo” (1Cor 2, 16), ad avere più luce per cogliere la verità del cristianesimo non solo in quanto realtà di fede, ma pure nel suo spessore antropologico e nei valori universali che la Parola di Dio contiene.

Realmente, «ciò di cui abbiamo bisogno è una sorta di “icona sociale” del Vangelo»4, cioè di comunità cristiane che mostrino con la loro vita la novità e rilevanza della Parola. In questo senso non ci sono esperienze “piccole”, tutto è importante. Non riducendoci però all’intimismo o a un vissuto che si limiti all’interno delle comunità, ma sapendo che le relazioni nuove che provoca il Vangelo «suscitano fermenti di rinnovamento culturale e sociale»5. A cominciare dai poveri e da quelli che l’opinione pubblica considera ultimi, perché con questi si è identificato particolarmente Gesù, come segnalava Giovanni Paolo II con un’espressione che è passata quasi inosservata nonostante la sua importanza: «Su questa pagina (Mt 25, 35-36), non meno che sul versante dell’ortodossia, la Chiesa misura la sua fedeltà»6.

E.C.

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1)            Cf Sorelle nello Spirito. Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione, Jaca Book, Milano 1991.

2)            Teo-logica/III, Jaca Book, Milano 1992, 22.

3)            Ai parroci e al clero della diocesi di Roma (26 febbraio 2009).

4)            K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria, Città Nuova, Roma 1996 (II ediz. rinnovata e ampliata), 110.

5)            P. Coda, Quale lezione dalla crisi? Una riflessione teologica, in A. M. Baggio – L. Bruni – P. Coda, La crisi economica appello a una nuova responsabilità, Città Nuova, Roma 2009, 80.

6)            Novo millennio ineunte 49.