«L’uomo 2.0»: opportunità da vivere

 

Tempesta di memi, relazioni e social media

 

di Ivan Turatti

 

L’articolo scritto da un giovane esperto di media communication, vuole dimostrare, insieme all’efficacia dei media, gli atteggiamenti virtuosi da coltivare affinché siano opportunità positive. Si tratta di una sfida da accettare e per cui predisporsi in modo adeguato, consapevoli che non è sufficiente acquisire le necessarie competenze tecniche.

È ormai prassi comune accettare l’idea dell’evoluzione dell’uomo intesa come mutamenti nelle caratteristiche fisiche, nelle abilità o nel pensiero. Da sempre, però, in parallelo all’evoluzione genetica si può riscontrare quella che chiameremo metaforicamente un’evoluzione memetica. Così come un gene a riguardo delle caratteristiche fisiche, il meme contiene quelle informazioni che rendono unica un’idea e/o concetto. Questa piccola particella metaforica si diffonde ed evolve seguendo leggi virali analoghe a quelle che normalmente riscontriamo in un organismo vivente, ad ogni passaggio essa cambia pur mantenendo la sua unicità caratterizzante.

 

L’era digitale

Fino all’avvento dell’era digitale il contagio memetico poteva avvenire solo da fonti “limitate” in quanto potevano influenzare un numero relativamente basso di persone ad ogni passaggio.

Per capire meglio, immaginiamo un villaggio in cui si deve dire a tutti che sta arrivando la pioggia. Se inizialmente questo meme informativo è presente in un singolo individuo quanti passaggi saranno necessari per “contagiare” tutti gli abitanti? La risposta esatta è: dipende dal mezzo di diffusione usato!

Se il nostro esempio avvenisse nella preistoria l’unico mezzo sarebbe quello del passaparola da una persona all’altra, forse in alcuni casi un singolo potrebbe arrivare a parlare a più persone urlando o correndo per tutto il villaggio; ma se invece avessimo a disposizione una stampante, il telefono, la radio o la televisione la trasmissione sarebbe decisamente più veloce; forse nel tempo in cui il nostro amico preistorico avvisava il suo villaggio, con i mezzi del ’900 riusciremmo ad avvisare una nazione o un continente intero.

Eppure ci sarebbe ancora un problema: una volta avvisati tutti dell’arrivo del maltempo, ognuno penserà ad un modo per mettersi al riparo; ma c’è il rischio che non tutti sappiano cosa fare, quindi devono scambiare “memi” con altre persone per organizzarsi. Mezzi quali i giornali, la tv e la radio sono per lo più unidirezionali, il telefono predigitale aveva serie difficoltà a connettere più di due persone: cosa fare allora?

 

Siamo in rete

La forma di comunicazione mediatica a cui più siamo abituati è senza dubbio quella uni-direzionale o verticale: la fonte (che può essere una tv, il prete durante la Messa, il maestro di scuola, ecc.) lancia un messaggio che noi riceviamo passivamente, senza potere rispondere, l’unica cosa che possiamo fare è decidere se passare il messaggio ad altri o no. Per fortuna esiste anche la comunicazione orizzontale, che usa uno schema bi-direzionale nel quale ognuno è contemporaneamente emittente e ricevente, questo tipo d’interazione, che nell’era massmediatica del ’900 era passata in secondo piano, è oggi la base per capire il funzionamento delle reti. In una rete non esiste una fonte principale precostituita, ogni membro può essere una fonte importante per qualcuno, secondaria per altri e un semplice ricevente per i restanti.

Da qualche anno quando si usa la parola rete non si può non pensare ad internet che, oltre ad essere il mezzo di comunicazione e interazione più usato di sempre, è per molti l’unica esperienza cosciente di appartenenza a una rete. Non bisogna dimenticare, però, che le reti relazionali, informative e interattive non sono un’esclusiva del web ma sono la quotidianità per ogni essere umano, basti pensare come in un villaggio senza internet le notizie si possono diffondere dalla rete relazionale informale che si crea in occasione del mercato o di altri eventi di aggregazione sociale.

Internet è un mezzo che ha portato all’estrema coscienza l’idea di rete: ottimizzando le interazioni e accelerando i tempi ci permette di gestire un numero praticamente illimitato di contatti, un fatto che porta moltissime opportunità ma anche tante domande o paure.

 

Evoluzione antropologica

È stato calcolato che il numero di persone ideale in una conversazione è 4, e che un cervello medio è in grado di gestire in modo ottimale relazioni con un massimo di 150 individui. È interessante sapere che, in alcune tribù antiche, quando un villaggio andava oltre le 150 unità, esso veniva diviso in due villaggi in modo da favorire una gestione ordinata della tribù. Ma nell’era del web, di facebook e twitter, dove riusciamo a riunire potenzialmente tutte le persone con cui veniamo a contatto nella vita, come fa il nostro cervello a gestire in modo corretto e funzionale le relazioni? A capire quali sono le fonti a cui affidarsi e quali invece scartare? Come facciamo a credere in una verità assoluta quando ad ogni click possiamo trovarne una diversa a cui non avevamo mai pensato?

È su queste domande che l’evoluzione antropologica dell’uomo ha lavorato e ci permette oggi di avere nelle nostre menti gli schemi e le strategie necessarie per provare almeno ad affrontare e gestire la complessità post-moderna.

 

Non solo abilità tecniche ma anche coerenza di vita

Riprendiamo il nostro metaforico villaggio globale che sta per essere investito dalla pioggia, senza riconoscere le autorità istituzionali come il sindaco, intorno a chi si rivolgerà la popolazione per organizzare un piano di gestione dell’emergenza? Insomma, come potrebbe fare il sindaco per essere considerato una guida autorevole, specialmente se i lavori di pulizia dei canali di scolo non sono ancora stati fatti poiché non era previsto l’arrivo delle piogge prima di un altro mese?

È qui che intervengono i fattori fondamentali della società delle reti: trasparenza, merito, fiducia, ascolto, dialogo, autorevolezza e infine, forse il più importante, coerenza.

Il sindaco dovrebbe essere trasparente, e non provare a nascondere i problemi e le difficoltà per paura di essere criticato; contemporaneamente dovrebbe darsi da fare per trovare soluzioni e riconquistare la fiducia della popolazione.

Ovviamente non tutti sarebbero subito suoi “fan”, ma potrebbe iniziare ad ascoltare chi viene da lui e a dialogare con quella minoranza di persone che lo ritiene autorevole. Saranno poi loro, se lo ritengono all’altezza, che si trasformeranno in metaforici “discepoli” e convinceranno gli altri, tramite il passaparola ed i mezzi a disposizione a provare a dare fiducia al sindaco.

Ma il nostro primo cittadino autorevole deve stare attento ad essere sempre coerente tra ciò che comunica e ciò che fa, poiché ora è responsabile della fiducia della sua “tribù”, e dovrà continuare a impegnarsi giorno dopo giorno. L’incoerenza lo farebbe precipitare in una mancanza di fiducia istantanea, che aprirebbe spazi ad altre fonti improvvisamente più autorevoli.

Questa piccola e banale storiella metaforica, ci aiuta a capire come i comportamenti e le strategie di rete non sono poi dei concetti così innovativi, esclusivi dell’era postmoderna. Molti di essi erano già presenti all’epoca di Gesù; quindi oggi cosa è cambiato?

Molto semplicemente, grazie alle tecnologie ed al progresso culturale, oggi l’umanità ha raggiunto un’inedita consapevolezza dell’importanza delle reti e del loro funzionamento. Le nuove generazioni crescono con internet e i social media, imparano l’uso degli strumenti e le regole che stanno alla base delle reti in modo totalmente naturale e nativo. Per questo non è pensabile continuare ad applicare schemi educativi o di comunicazione unilaterali e verticali.

 

Una meravigliosa opportunità da vivere bene

È impensabile che un nativo della rete possa avere un atteggiamento dogmatico aprioristico nei confronti di Dio o della Chiesa, ma questo non vuole dire la fine della fede, anzi, è un’opportunità e una sfida per aiutare a crescere nuove generazioni di cattolici, veramente convinte, consapevoli dell’importanza di ciò in cui credono, poiché grazie alla trasparenza, al merito, alla fiducia, all’ascolto, al dialogo, all’autorevolezza ed alla coerenza potranno vivere e fare esperienza di una Chiesa e di un Dio vero e tangibile nella quotidianità di un mondo che ha ancora tanto bisogno di Lui.

 

Ivan Turatti