Riflessioni alla luce dell’esperienza nella diocesi di Ascoli Piceno

«Abitare» il mondo della comunicazione

 

di Giampiero Cinelli

 

L’autore, direttore dell’ufficio delle comunicazioni sociali della diocesi di Ascoli Piceno (Italia), con alcune iniziative mostra concretamente gli aspetti positivi dell’impiego dei nuovi media, sia a livello diocesano (Commissione Comunicazioni Sociali) nonché parrocchiale (Sala della Comunità, Natale in un click, WebTV, Facebook). Sono strumenti che possono moltiplicare occasioni di conoscenza e di contatto in vista di potersi incontrare poi di persona e costruire comunità vere.

Cercherò di rispondere al “perché comunicare?” sia nella dimensione interpersonale, che rimane l’esperienza primaria anche nella cultura cross mediale, sia nell’uso dei mezzi di comunicazione, da quelli più “antichi” ai new media.

Questi ultimi, pur presentando ombre (per cui occorre sempre avvicinarli con spirito critico) possono essere di grande utilità per costruire un mondo più unito e per realizzare una condivisione e uno scambio che avvicini le persone, i popoli e le culture.

Cercherò di sviluppare tre punti, corredando ciascuno di esperienze personali vissute con l’intento di “abitare” il mondo della comunicazione.

 

Relazionalità:rapporti virtuali e reali nella nuova cultura digitale

Perché comunicare? È una necessità insita nella struttura dell’uomo, nel suo essere! Il modello a cui noi cristiani possiamo guardare è quello di Dio Trinità: Dio che è Amore e proprio per questo è Comunione e Relazione. Ogni persona creata a immagine e somiglianza di Dio è chiamata a realizzare la comunione e a vivere la relazionalità: questa è l’essenza e il fine di ogni comunicazione.

In definitiva “Perché comunicare?”, perché è insito nel DNA (come molecola e come analogia) della persona umana. Quindi al centro c’è la visione antropologica. I mezzi, la tecnologia possono aiutare la persona a realizzare questo progetto o impedirlo o deviarlo…

Oggi, nella nuova cultura mediale, i mezzi stessi entrano nella relazionalità (pensiamo ai Social Network). Più che mai vale l’assunto di MacLuhan che «il mezzo è il messaggio» anzi potremmo dire che “il mezzo è la relazione” e la Chiesa è esperta di reti e quindi di relazioni[1].

Anche la dimensione della relazionalità cambia e può ampliarsi superando i limiti dello spazio e del tempo, ma come dice il Santo Padre nel Messaggio per la Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali del 2011: «È importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita»[2].

In questo senso è stato molto importante nel lavoro in seno alla Commissione Comunicazioni Sociali della mia Diocesi puntare anzitutto sui rapporti, da un lato, e sulla formazione specifica dei comunicatori, dall’altro.

Abbiamo creato un gruppo di lavoro fatto da: una cinquantina di operatori, per la stragrande maggioranza volontari, per le trasmissioni radiofoniche; una trentina per il giornale e una decina per il web. Il gruppo si fonda su rapporti non solo virtuali (via mail, sms, skype, facebook,…) ma anche reali, fatti di incontro di scambio, di condivisione di progetti e di difficoltà. Abbiamo pure sfruttato le opportunità che si presentavano per formare in modo specifico persone che potessero operare tecnicamente conoscendo i mezzi (corsi di dizione per conduttori radiofonici, corso ANICEC di formazione annuale organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana, ecc.).

 

Comunicazione-Annuncio:detentori di una ricchezza che non è nostra

Perché comunicare? Siamo detentori di un dono immenso che è quello della fede: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8). La necessità e l’esperienza della comunicazione nascono dal voler condividere ciò che si è gratuitamente ricevuto. Lo stile necessario è quello del dialogo che tende alla reciprocità.

In questo senso, nella mia esperienza, assume un posto di grande rilievo la “Sala della comunità” della parrocchia come punto di incontro fra il «tempio ed il mondo»[3].

Nella nostra Sala si realizzano proiezioni di film (abbiamo acquistato una macchina 35 mm) con dibattiti, incontri con autori, registi ed attori, conferenze sui temi più vari dalla bioetica all’ambiente, dall’uso consapevole dei media ad incontri con testimoni (don Oreste Benzi, don Fortunato Di Noto, don Luigi Ciotti,…), collaborazioni con Associazioni laiche e cattoliche (Libera, Unitalsi, Commercio equo e solidale, associazioni sportive dalla pallavolo, al calcio, al rugby,…).

Anche nel lavoro a livello diocesano con la radio e il giornale lo slogan che abbiamo coniato è: “Comunità e territorio fanno notizia” (per il quindicinale La Vita Picena ) e “La voce del territorio” (per Radio Ascoli) proprio per sottolineare la vicinanza al territorio, per dare voce a chi non ha voce (trasmissioni sul Volontariato, in collaborazione con la Confartigianato, ecc.) per affrontare con una logica che parte dal Vangelo temi della vita della comunità locale e non solo.

  

La tradizione della Chiesa a confronto col mondo dei media: sfide e prospettive

Perché comunicare? Da sempre la Chiesa ha tradotto il messaggio eterno del Vangelo nella cultura del tempo. Il “nuovo contesto esistenziale”, profondamente segnato dai nuovi media, nel quale tutti ci troviamo a vivere ed operare è un territorio che i cristiani non si possono più accontentare di “occupare”, quasi per assolvere ad un dovere di firma, ma devono sempre più imparare ad “abitare” per essere presenti in questo «primo areopago del tempo moderno»[4].

Per entrare in dialogo con i cosiddetti “nativi digitali”, noi “immigrati digitali” siamo chiamati a cogliere le opportunità e le sfide che nascono dalla nuova cultura digitale con gli aspetti positivi e quelli critici. In questo senso vale sempre la “tecnica” del “farsi uno”, dell’imparare dall’altro per entrare in comunione. In questo senso credo sia fondamentale il mettersi in ascolto dei giovani per cogliere e purificare le novità che ci vengono dalle loro conoscenze tecniche ma soprattutto dal loro essere nativi digitali in modo tale che il gap tecnologico, cioè la differenza fra noi e loro nell’uso di questi messi, non diventi una separazione ma possa costituire un punto di incontro intergenerazionale.

Molte delle esperienze nuove che sono emerse, in questi anni, nella mia attività nel campo della comunicazione sono partite dall’ascolto dei giovani con cui ero a contatto e nell’aiutarli a “purificare” le idee. Penso al Concorso “Natale in un click”: la proposta di lanciare agli studenti delle superiori (e da due anni anche a quelli della terza media) della diocesi un concorso per rappresentare il Natale (e la tradizione del Presepe) con tecniche multimediali. L’idea innovativa ha trovato l’appoggio dell’Ufficio Scolastico Regionale e del Centro Servizi per il Volontariato.

O penso all’esperienza della WebTV parrocchiale con la trasmissione di eventi significativi della vita della parrocchia e della S. Messa domenicale (è anche un’occasione di dialogo intergenerazionale: chiediamo ai nipoti di connettere il PC ai nonni che non possono uscire di casa per venire a Messa in modo che possano seguire la vita della Comunità parrocchiale!).

O penso anche ad aspetti più ludici come al Fantacalcio online sul sito della parrocchia che nell’ultima edizione ha raccolto ben 160 squadre dietro le quali a volte si celano famiglie intere o gruppi di amici e da cui è nata l’idea del Fantapranzo (reale!) di beneficenza: dal virtuale nasce l’occasione di un incontro reale e di costruire comunità.

 

Conclusioni

 Credo che la sfida che rende necessaria la presenza cristiana nel mondo della comunicazione sia duplice:

–   la comunità cristiana (nella visione della ecclesiologia di comunione) ha un patrimonio straordinario da offrire al mondo di oggi alla ricerca (spesso inespressa) di rapporti veri, non superficiali: la possibilità di mostrare nel virtuale una comunità e un’esperienza di comunione reale. La testimonianza di rapporti veri autentici che si riverberano nel mondo virtuale e che dal virtuale aiutano a rafforzare la comunità reale in uno scambio di reciprocità;

–   la vita della Chiesa è analogicamente connaturale con l’idea della rete, dei nodi interscambiabili e interconnessi (pur con le necessarie distinzioni; internet spesso è “anarchico”, ogni “verità” è ammessa e ha lo stesso “peso”; è difficile capire l’autenticità, ecc.: proprio per questo parlo di analogia!). Ma la Rete è alla ricerca di un’anima, di rapporti che non si fermino alla sola dimensione superficiale ma che sappiano andare in profondità: partendo dall’esperienza della comunione vissuta si può essere non “navigatori” solitari ma portare l’esperienza dell’unità per farla emergere in questo nuovo universo.

Chiudo con una citazione di Giovanni Paolo II nella XXXVI Giornata per le Comunicazioni Sociali: «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la ‘buona notizia’ della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo». Il volto di Cristo che dobbiamo e possiamo comunicare è quello di Lui presente fra noi per “abitare” realmente il continente digitale.

 

Giampiero Cinelli

 



[1]Cf http://it.gloria.tv/?media=3055.

[2]«Come ogni altro frutto dell’ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano… La chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altro canto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiacimento. Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? È importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita» (Benedetto XVI, Messaggio per la VL Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali 2011).

[3]Il Direttorio sulle comunicazioni sociali della CEI ne sottolinea il fine e l’importanza, riportando le parole di Giovanni Paolo II: «Le vostre sale sono diventate così propedeutiche al tempio, punto di riferimento e di interesse anche per i lontani, servizio al popolo di Dio, ma anche a tutti i figli di Dio ovunque dispersi... La sala della comunità diventi per tutte le parrocchie il complemento del tempio, il luogo e lo spazio per il primo approccio degli uomini al mistero della Chiesa e, per la riflessione dei fedeli più maturi, una sorta di catechesi, che parta dalle vicende umane, e si incarni  nelle gioie e nelle speranze, nelle pene e nelle angosce degli uomini». E continua il Direttorio: «Per realizzarla non è necessario possedere un tradizionale cinema parrocchiale abilitato come luogo di spettacolo pubblico; basta disporre di una struttura, attrezzata con gli strumenti odierni della comunicazione audiovisiva, in grado di diventare luogo di incontro ed aggregazione» (CEI, Comunicazione e Missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa, n. 115).

[4]Già Giovanni Paolo II diceva: «Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – “un villaggio globale”. I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali… Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (Redemptoris Missio, 37).