Prospettive di una comunicazione partecipata in America Latina

Radio in rete

di Isabel Gatti

 

L’Autrice, laureata in Scienze della comunicazione sociale all’Università di Buenos Aires e specializzata in comunicazione comunitaria e in pedagogia della comunicazione, offre un quadro della situazione della comunicazione in America Latina, specialmente radiofonica, sviluppatasi negli anni e che ha favorito la crescita di una “rete popolare”.

 

“Comunicazione comunitaria” a favore dei senza voce

 L’America Latina è l’incontro e lo scontro, frutto dell’epoca della colonizzazione, dei processi migratori e dell’imposizione del progetto moderno, che ha lasciato come eredità zone di sviluppo diseguale, grandi masse di popolazioni in condizioni di povertà e povertà estrema.

Creatività, iniquità, solidarietà, esclusione sociale, senso della comunità, dipendenza, speranza: questo è il nostro contesto culturale.

Lo sviluppo dei progetti politici popolari nel continente, fra gli anni ’60 e ’70, sullo sfondo di correnti di liberazione nazionale e con la visione di uno “Stato Benefattore”, hanno favorito lo sviluppo di politiche di partecipazione sociale, orientate a ridurre le spaccature e garantire diritti posticipati.

Questa è la cornice culturale necessaria per parlare di ciò che alcuni chiamano: “l’altra comunicazione”: la comunicazione alternativa, la comunicazione popolare, la comunicazione comunitaria.

La prima affermazione che possiamo fare, è che stiamo parlando di due logiche diverse[1]:
–   i mezzi di massa si preoccupano dell’attualità dell’informazione e cercano, mediante il frequente rinnovo di ciò che comunicano, di riattivare l’interesse della propria audience;
–   i mezzi comunitari si orientano verso una funzione educativa e di coscientizzazione dei propri diritti e necessità, delle proprie identità territoriali. La comunicazione comunitaria ha un altro ritmo: quello della famiglia, dell’educazione dei propri figli, delle prospettive di crescita economica e talora della disoccupazione.

La riflessione sulla comunicazione popolare, alternativa o comunitaria, sorge negli anni ’60, legata a quelle che nell’ambito sociologico sono state chiamate “teorie della dipendenza”. In quel decennio era molto evidente l’ingerenza degli Stati Uniti nei sistemi politici latino americani. L’“Alleanza per il progresso” fissava la rotta dello sviluppo: l’incorporazione di tecnologia e l’indicazione del proprio modello di crescita come l’unico possibile e raccomandabile. La concentrazione economica corrispondeva alla concentrazione mediatica, articolata in diverse maniere in ogni Paese.

Possono evidenziarsi come pionieri in questa traiettoria teorica e pratica, le linee sviluppate, tra gli altri, da Francisco Gutierrez, Mario Kaplun, Rosa Maria Alfaro, Regina Festa, Daniel Prieto Castillo. Queste prospettive si fondavano in una posizione critica verso i massmedia dominanti e proponevano di creare spazi alternativi di comunicazione. Consideravano la comunicazione come un fatto culturale e la sua mobilità aveva l’imperativo di dare voce ai settori storicamente ammutoliti.

 

Approfondimento teorico e prassi corrispondente

 Questo approccio ha fatto riflettere molte persone sulla possibilità di utilizzare i mezzi con un altro senso.Qui vorrei tener presente quanto ha fatto Antonio Pasquali che, attraverso il suo lavoro teorico, ha messo in luce lo sguardo antropologico sulla comunicazione, in modo da portarla alla sua realtà più essenziale, e cioè di essere, al di là dei mezzi di trasmissione, comunicazione fra persone. L’importanza di questo studioso sta nel fatto di aver saputo trasmettere le sue proposte teoriche di comunicazione alternativa allo Stato, mediante il progetto “Ratelve”.

Questi gruppi definivano la comunicazione alternativa: come insieme di pratiche comunicative che cercano opzioni trasformatrici della realtà sociale, con un progetto alternativo di società.

L’America Latina è attraversata da molte reti di comunicazione comunitaria; basta pensare l’ALER formata da 300 radio che hanno portato avanti campagne di alfabetizzazione, di evangelizzazione e di sviluppo locale in tutto il continente, mediante le reti di Fede e gioia dei Gesuiti, o i canali comunitari della televisione.

Queste esperienze si caratterizzano nell’avere[2]: gruppi di destinatari differenziati, il che  permette di stare più vicino alle necessità reali; una relazione più prossima fra il mezzo e i destinatari; la partecipazione collettiva al mezzo di comunicazione, perché la comunità dei ricettori incide nella programmazione e in molti casi sono essi stessi i produttori degli spazi; mezzi poveri ma con un’alta vocazione di servizio in relazione alla comunità di origine; comunicazione e educazione basate sulla partecipazione; orientamento attivo verso pratiche di trasformazione sociale e insegnamento della comunicazione come tensione alla qualità del processo comunicativo.

La riflessione posteriore, particolarmente degli autori come Garcia Canalini e Jesus Martin Barbero ha messo in questione un certo manicheismo presente in queste proposte. Molte volte si presentava l’alternativo come il luogo del buono e il mediatico come l’incarnazione del male, mentre, in realtà, ciò che si osservava erano pratiche trasformatrici e riproduttive simultaneamente. Né la dominazione era totale, né le pratiche popolari erano totalmente rivoluzionarie.

 

La presenza della Chiesa

 Non possiamo tralasciare di menzionare il ruolo della Chiesa in questi processi. Forse, come nessuna altra istituzione, la Chiesa ha utilizzato la comunicazione come mezzo per lo sviluppo integrale, promuovendo la dignità della persona umana. A partire dalla Conferenza dell’Episcopato latino americano a Medellin si ha la nascita delle Comunità ecclesiali di base. Mons. Helder Camara, Mons. Romero, Mons. Proano (400 radio in mano a comunità originarie) hanno utilizzato la comunicazione comunitaria per rafforzare le loro proposte, per salvaguardare i diritti umani.

Ad es. la Radio Pio XII della Bolivia, nei suoi 50 anni di vita, ha trasmesso molteplici esperienze di promozione comunitaria. Nella sua pagina Web c’è una affermazione che può essere la sintesi del suo credo: «Quando i profeti dei potenti ci hanno raccontato che “la storia è arrivata alla sua fine”, la Radio Pio XII non ha creduto alla storiella e ha deciso di andare contro corrente. Si è aggrappata alla sua fede e ha detto: è possibile che sia diverso, è possibile costruire una comunità e una società migliori, è possibile costruire un sogno collettivo differente».

 

Cittadinanza: fra il locale e il globale

 Gli anni ’80 hanno portato la democrazia e con essa una certa rinascita di queste proposte. “FM_Reconquista” che ha compiuto oltre 20 anni di trasmissione ininterrotta, si trova in questo gruppo.

Gli anni ’90 si caratterizzano nel nostro continente per il trionfo di una egemonia neoliberale che ha riordinato le società, creando un mercato mondiale che può esser definito di globalizzazione o mondializzazione. La novità di questo periodo è l’articolarsi di nuovi movimenti sociali che in forma globale e locale rendono presente una nuova visione sul nostro presente culturale.

In questo contesto sono rinati gli studi sulla identità, la costruzione di cittadinanza e le articolazioni fra il locale e il globale.

Oggi, la comunicazione comunitaria è arrivata su Internet e questo ne ha potenziato in grande misura le azioni. Si costituiscono reti per rafforzare l’incidenza sociale, come: Farco (Federazione Argentina di Radio Comunitarie), la Coalizione per una Radiodiffusione Democratica.

 

Gestione partecipata dei mezzi

 Concludo mettendo in rilievo alcuni punti salienti.  Ciascun media, ciascun comunicatore deve realizzare una necessaria inculturazione di fronte a qualsiasi proposta: è cambiato l’essere “alternativo a…” o “contro …” per una visione più ampia, per dare maggior forza “al fare con… cominciando da …”, articolando l’agire concreto con molte istituzioni della società civile; come in nessun altro spazio emerge l’impegno di una comunicazione informata da principi etici in tutte le istanze del processo di comunicazione: produzione, circolazione e consumo; c’è un’alta considerazione della reciprocità nella costruzione comunitaria della trama sociale.

La democratizzazione delle comunicazioni è inseparabile dalla democratizzazione della società ed è l’antidoto a quella concentrazione multimediatica che va a braccetto con la concentrazione economica.

La comunicazione comunitaria è conscia del fatto che non esistono “messaggi individuali” poiché, come segnalava Mijail Bajtin, questi si intersecano sempre con altri; essa è la produzione cosciente e voluta di messaggi collettivi ed è, contemporaneamente, una comunicazione “situata” in un ambito geografico ed in una comunità locale, regionale, o nazionale, con interessi e progetti concreti: nei suoi messaggi non c’è alcuna pretesa di “obiettività” o “neutralità”, bensì un racconto storico che scaturisce da una presa di posizione di fronte agli avvenimenti.

La gestione sociale e partecipata dei mezzi di comunicazione è un distintivo identitario del movimento di comunicazione comunitaria, è un orizzonte strategico per il futuro della comunicazione comunitaria nel continente latino americano.

Oggi in America Latina ci troviamo davanti ad una nuova sfida: come far arrivare a livello nazionale quanto proponiamo attraverso media e new media poveri e locali? Ciò è necessario  per garantire a tutti i cittadini il diritto alla comunicazione. In Argentina c’è una recente legge per gli audiovisivi, e anche in altri Paesi si sta operando in questo senso. Tutto dipenderà da come queste nuove leggi saranno attuate, potranno contribuire a democratizzare la comunicazione o, al contrario, promuovere la costituzione di nuovi monopoli di Stato.

Anche questo ci chiama all’impegno, a essere attori e non spettatori in questo nuovo “areopago”. Come ai tempi di San Paolo il nostro mondo ha bisogno di un nuovo annuncio, nel linguaggio 2.0, tenendo conto delle sue aspettative, delle sue speranze, dei suoi sogni.

 Isabel Gatti



[1] N. García Canclini, Culturas híbridas, Grijalbo, México 1990.

[2]Cf F. J. Berrigan, La Comunicación comunitaria, UNESCO, Parigi 1981.