Prospettive di attuazione del Documento di Aparecida 2007
l’esperienza di una diocesi del Nordest brasiliano

 

 

Nuova evangelizzazione
in America Latina

 

di Mons. Francisco Biasin

L’autore, fino a pochi mesi fa vescovo della diocesi di Pesqueira (Pernambuco) nel nordest del Brasile, ha partecipato attivamente alla V Assemblea generale dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida nel 2007. Su nostra sollecitazione ci racconta dei frutti incoraggianti che l’applicazione del “Documento finale di Aparecida” ha avuto nella sua comunità diocesana e più ampiamente nel subcontinente latinoamericano.

 

Audacia di una Chiesa alla
ricerca di risposte adeguate ai tempi

Qualche teologo e pastoralista, esprimendo impressioni a caldo sul documento di Aparecida (DA), ha detto che forse mai nella storia della Chiesa in America Latina un documento aveva osato tanto, neppure Medellin che aveva reinterpretato in chiave latino-americana il Vaticano II.

Quali le novità? Innanzi tutto, il documento prende atto delle radicali trasformazioni di carattere culturale presenti nel mondo di oggi, la cui influenza in America Latina provoca un cambiamento di prospettive per l’evangelizzazione. Una seconda è che, per rispondere a queste nuove sfide, i pastori della Chiesa ritornano alle fonti, proponendo ai fedeli un percorso di formazione ispirato all’iniziazione cristiana, di carattere battesimale, di sequela di Cristo come discepoli. La terza novità, molto coraggiosa, sta nell’invito di «abbandonare le strutture caduche che non favoriscono più la trasmissione della fede» (DA 365). Ciò richiede da tutta la Chiesa una conversione pastorale, superando un impegno pastorale di «mera conservazione per una pastorale decisamente missionaria» (DA 370).

Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una nuova architettura ecclesiale che esige nuove strutture, nuovo “materiale edilizio”, nuovi operatori e una fedeltà creativa di fronte alle nuove sfide. «Non dobbiamo dare nulla come presupposto o scontato – affermano i vescovi –. Tutti i battezzati sono chiamati a “ricominciare a partire da Gesù Cristo”» (DA 549). Ci si può chiedere allora: dove trovare l’ispirazione, la forza motrice, le motivazioni interiori per un’impresa di tale portata?

La risposta decisiva, che offre il documento, è questa: «Oggi, come mai, la testimonianza di comunione ecclesiale e la santità si presentano come un’urgenza pastorale. La programmazione pastorale deve ispirarsi al comandamento nuovo dell’amore (cf Gv 13, 35)» (DA 368).

Questo è il segreto per una nuova evangelizzazione in America Latina, la nuova spiritualità di cui abbiamo bisogno, chiamata nel Documento “spiritualità di comunione missionaria” (DA 203).

 

Senza comunione
non esiste discepolato

Tutto il capitolo V di Aparecida – emblematicamente al centro dei 10 capitoli che compongono il documento finale – può e deve essere considerato il capitolo centrale che ci comunica la chiave di interpretazione dell’insieme. Alcuni stralci possono darci l’idea della ricchezza di questo capitolo:

«La vocazione al discepolato missionario è una con-vocazione alla comunione nella Chiesa. Senza comunione non esiste discepolato. Dinanzi alla tentazione, molto frequente nella cultura attuale, di essere cristiani senza la Chiesa e di fronte alle nuove ricerche spirituali individualiste, affermiamo che la fede in Gesù Cristo ci è giunta attraverso la comunità ecclesiale ed essa “ci dà una famiglia, la famiglia universale di Dio nella Chiesa cattolica. La fede ci libera dall’isolamento dell’io, perché ci porta alla comunione”. Questo significa che una dimensione costitutiva dell’avvenimento cristiano è l’appartenenza a una comunità concreta, nella quale possiamo vivere un’esperienza permanente di discepolato e di comunione con i successori degli apostoli e con il Papa» (DA 156).

«Tutti i battezzati in America Latina e nei Caraibi “per mezzo del sacerdozio comune del popolo di Dio” sono chiamati a vivere e a trasmettere la comunione con la Trinità, poiché l’evangelizzazione è una chiamata a partecipare alla comunione trinitaria» (DA 157).

«La Chiesa, come “comunità d’amore”, è chiamata a rispecchiare la gloria dell’amore di Dio, che è comunione, per attrarre le persone e i popoli a Cristo. Nell’esercizio dell’unità, voluta da Gesù, gli uomini e le donne del nostro tempo si sentono convocati e percorrono la bella avventura della fede. “Siano anch’essi in noi una cosa sola perché il mondo creda” (Gv 17, 21). La Chiesa non cresce per proselitismo ma per “attrazione”: come Cristo “attira tutti a sé” con la forza del suo amore. La Chiesa “attrae” quando vive in comunione, poiché i discepoli di Gesù saranno riconosciuti se si amano gli uni gli altri come egli li ha amati (cf Rm 12, 4-13; Gv 13, 34)» (DA 159).

«La Chiesa è comunione nell’amore. Questa è la sua essenza e il segno per il quale è chiamata a essere riconosciuta come seguace di Cristo e serva dell’umanità. Il nuovo comandamento è il vincolo che unisce i discepoli tra di loro, riconoscendosi come fratelli e sorelle, obbedienti allo stesso Maestro, membri uniti allo stesso capo e, per questo, chiamati a prendersi cura gli uni degli altri (1Cor 13; Col 3, 12-14)» (DA 161).

«Nel popolo di Dio la comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro (...). La comunione è missionaria e la missione è per la comunione» (DA 163).

Queste affermazioni ed esigenze, che mettono in rilievo che esiste un nesso inscindibile tra comunione e fecondità della missione, lungo tutto il documento si applicano concretamente ai vescovi, ai presbiteri, alle religiose e ai religiosi, alla formazione dei seminaristi, alla diocesi, alle parrocchie, ai membri dei Movimenti e delle nuove Comunità, a tutti: «Nelle Chiese locali, tutti i membri del Popolo di Dio, secondo la loro specifica vocazione, sono convocati alla santità nella comunione e nella missione» (DA 163).

 

Dalle intuizioni di Aparecida
alla prassi nel quotidiano

Certamente i pastori riuniti in Aparecida hanno puntato a un ideale molto alto che d’altronde è l’ideale di Gesù. Viene da domandarsi: in questi quattro anni, le intuizioni del Documento sono passate alla pratica? In che misura hanno inciso nella vita delle comunità ecclesiali? Stanno davvero cambiando la vita e le strutture della Chiesa?

La risposta non è facile. Come sempre la ricezione di un Documento è diversificata, ma credo di non esagerare se dico che è cambiata e sta cambiando la mentalità e che là dove l’“evento Aparecida” è stato accolto con serietà e intensità, le cose stanno mutando di fatto. Intere diocesi e addirittura intere regioni episcopali hanno fatto la scelta prioritaria di realizzare la “missione continentale” coordinando energie ed esperienze in questa direzione. Il risultato in molti casi ha superato qualsiasi aspettativa!

 

L’esperienza di una diocesi

E qui parlo in prima persona, come vescovo della diocesi di Pesqueira. Aderendo alla scelta della regione episcopale, formata da 18 diocesi, siamo entrati appieno nel clima della Conferenza di Aparecida quando era ancora in preparazione, e abbiamo iniziato un percorso di formazione di fedeli laici missionari, della durata di circa due anni, per poi lanciarli nella missione diocesana in cui abbiamo visitato praticamente tutte le famiglie della diocesi, passando di parrocchia in parrocchia.

Il mio primo impegno però è stato quello di persuadere i sacerdoti, perché solo con il loro appoggio convinto e la comunione tra di loro saremmo riusciti a trasmettere ai laici l’ardore missionario necessario per l’immane lavoro che ci aspettava.

Abbiamo quindi preparato circa 2.000 missionari provenienti dalle più diverse espressioni di impegno laicale: agenti di pastorale, membri di Movimenti e Associazioni laicali, persone non impegnate in gruppi ecclesiali... Si sono ingaggiate pure molte religiose delle diverse congregazioni presenti in diocesi.

La conquista più bella è stata quella di riuscire a trasmettere a tutti questi fedeli la coscienza di essere dei battezzati, quindi membri della Chiesa e missionari nella diocesi per le Sante Missioni al Popolo, inviati dal vescovo ad annunciare il Vangelo con la testimonianza della vita e con la parola.

Così un po’ alla volta è cambiata la prospettiva: ciascun missionario non partiva dal suo nido particolare, dal suo Movimento, dalla sua pastorale, ma dal grembo della Madre Chiesa. La comunione ecclesiale dava valore, forza e senso alla comunione sperimentata nel gruppo di appartenenza originario e la ampliava per aprirsi al dono di altri gruppi e carismi, tutti messi al servizio dell’evangelizzazione.

Era bello, dopo una celebrazione di invio in ogni parrocchia, veder partire in piccoli gruppi uomini, donne, giovani di ambo i sessi e perfino bambini, con la maglietta del missionario, con la croce al petto e una bisaccia di panno contenente la Bibbia, il piccolo manuale del missionario, un biglietto di presentazione del vescovo da lasciare in ogni casa e un volantino da affiggere nella porta d’ingresso come segno dell’avvenuta visita. Sembrava la riedizione dell’invio dei 72 discepoli.

 

Felici di raccontare
le meraviglie di Dio

Più bello ancora era vederli tornare stanchi, ma felici e desiderosi di raccontare le meraviglie che Dio aveva operato per mezzo loro nella vita di tante persone e famiglie. Molte volte mi sono commosso fino alle lacrime ascoltandoli nella loro semplicità. Ricordavo le parole di Gesù: «Ti rendo grazie, Padre, perché hai rivelato ai piccoli i segreti del Regno... Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo!».

Ci sono state famiglie e persone singole riconciliate, poveri in estrema miseria soccorsi, guarigioni straordinarie di malati, un ravvivarsi della vita cristiana, autentiche conversioni e un ritorno di tanti che si erano allontanati dalla Chiesa. Una vera benedizione!

Lo stile di andare incontro alle persone e di “organizzare” la missione ha fatto sì che ogni parrocchia si articolasse in piccole comunità d’ambiente, dove si realizzano periodicamente (in molti casi ogni settimana) i circoli biblici e le persone si incontrano attorno alla Parola di Dio, non solo per conoscerla, studiarla o pregarla, ma per viverla. Così abbiamo visto la parrocchia diventare comunità di comunità e molti fedeli hanno perso l’anonimato di fronte alle immense parrocchie per acquisire un volto nelle piccole comunità d’ambiente. I Movimenti e una nuova Comunità ecclesiale presenti in diocesi hanno messo a disposizione la loro capacità di impatto e di novità nell’annuncio del Vangelo e, senza perdere l’identità del loro carisma, si sono sentiti non strumentalizzati ma valorizzati pienamente dalla Chiesa particolare.

In occasione della celebrazione dei 90 anni della fondazione della diocesi, invece di fare vistose celebrazioni, d’accordo con i presbiteri , abbiamo organizzato un grande incontro diocesano, convocando tutti i missionari. Sono venuti in massa, circa 2.000. Divisi in tre grandi gruppi, durante la giornata abbiamo trascorso momenti di preghiera, di riflessione e di scambio di esperienze. Nel tardo pomeriggio ci siamo incontrati in una grande piazza, abbiamo celebrato l’Eucaristia e, alla fine, abbiamo distribuito una piccola torcia che è stata accesa quando stava scendendo la sera. Un po’ alla volta la piazza “ha preso fuoco” e in quel clima ci siamo impegnati tutti, vescovo, sacerdoti e fedeli missionari ad avviarci alla celebrazione dei cent’anni con il fuoco dell’amore di Cristo e della missione acceso nei nostri cuori. Attenti non solo al passato, ma protesi ad aprire nuove strade suggeriteci dallo Spirito per rispondere alle urgenze del tempo presente e alle sfide del futuro.

 

Missione continentale

Questa che ho narrato è solo un’esperienza piccola, localizzata nella nostra Chiesa diocesana. Eppure mi sembra in certo senso emblematica perché molte altre diocesi hanno sperimentato tale fervore dal nord al sud del Brasile e, per quanto riferisce la Commissione Episcopale Pastorale sorta per accompagnare la Missione Continentale che Aparecida ha auspicato e lanciato, in molti paesi dell’America Latina e dei Caraibi.

Sarebbe perdere un’occasione storica, direi un kairós, per la Chiesa, non entrare in questa prospettiva di comunione missionaria. È importante però che questa responsabilità non sia unicamente di noi pastori, presbiteri e vescovi indaffarati in tante attività che possono renderci miopi davanti agli orizzonti sempre più ampi e luminosi che lo Spirito ci apre, ma sia impegno e opera di tutta la Chiesa.

Non per niente Aparecida ha presentato Maria, che il nostro popolo tanto ama, come modello e paradigma dell’umanità, come missionaria esemplare, che indica il cammino di come possiamo e dobbiamo dare Gesù al mondo di oggi:

«Con gli occhi rivolti ai suoi figli e alle loro necessità, come a Cana di Galilea, Maria aiuta a mantenere vigili le disposizioni di attenzione e di servizio, di donazione e di gratuità che devono identificare i discepoli del suo Figlio. Indica, anche, quale deve essere la pedagogia perché i poveri, in ogni comunità cristiana, “si sentano (...) come a casa loro”. Crea la comunione ed educa a uno stile di vita condivisa e solidale, in fraternità, attenzione e accoglimento dell’altro, specialmente se è povero e bisognoso. Nelle nostre comunità la forte presenza di Maria ha arricchito e continuerà ad arricchire la dimensione materna della Chiesa e la sua disposizione all’accoglienza, che la converte in “casa e scuola della comunione”, oltre che in luogo spirituale che prepara per la missione» (DA 272).

Mons. Francisco Biasin