Perché oggi è così difficile “dare” Dio?  

Dire Dio oggi

 

 

di Christian Hennecke

 

L’autore, particolarmente noto nei Paesi di lingua tedesca per le sue pubblicazioni e conferenze, a cospetto dell’attuale situazione socio-culturale formula interrogativi di fondo e delinea linee direttrici per un rinnovamento della pastorale. Pubblichiamo questo suo articolo in una nostra traduzione.

 

«Oggi sarai battezzato cristiano. Su di te saranno pronunciate tutte le antiche grandi parole dell’annuncio cristiano, e l’ordine di battezzare datoci da Gesù Cristo verrà eseguito su di te senza che tu ne comprenda nulla. Ma anche noi siamo di nuovo risospinti del tutto agli inizi del comprendere. Che cosa significhi riconciliazione e redenzione; vita in Cristo e sequela di Cristo – tutto questo è così difficile e lontano, che quasi non osiamo più parlarne. Nelle parole e nei gesti tramandatici noi intuiamo qualcosa che è del tutto nuovo, qualcosa che sta completamente cambiando, senza poterlo ancora afferrare ed esprimere. Questa è la nostra colpa. La nostra Chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d’un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nel fare ciò che è giusto tra gli uomini. Ogni pensiero, ogni parola e ogni misura organizzativa, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo, devono rinascere da questo pregare e da questo fare. Quando sarai cresciuto, la forma della Chiesa si sarà notevolmente modificata. Questa rifusione non è ancora alla fine, e ogni tentativo di aiutarla prematuramente a sviluppare nuove forze sul piano organizzativo si trasformerà solo in un ritardo della sua conversione e della sua purificazione. Non è nostro compito predire il giorno – ma quel giorno verrà – in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato»[1].

Così scrive Dietrich Bonhoeffer nel 1944, esprimendo un tratto fondamentale del suo pensiero, maturato nei quartieri operai di Berlino quando alla fine degli anni venti cercava di preparare i giovani alla confermazione, nel 1937 quando rifletteva sulla sequela e, infine, durante la sua prigionia a Tegel dove ha scritto questa lettera sul battesimo per il suo figlioccio. Egli intuisce, profeticamente, una svolta fondamentale, presagendo la fine di una appagante ecclesialità popolare e plasmata da quanto viene tramandato nel proprio ambiente.

Con la sua intuizione profetica e la sua ricerca egli centra appieno l’oggi della nostra realtà di Chiesa. È davvero sorprendente con quale attualità ci giunga e ci tocchi la sua profezia. Non perultimo, perché Bonhoeffer non mira, con respiro corto, a nuovi metodi, a nuovi giochi di parole, ma descrive le sfide in maniera più radicale.

Mi rifaccio a questa sua descrizione e cerco di mettere ancora più a fuoco le sfide nella loro concretezza.

 

«Siamo di nuovo risospinti del tutto agli inizi del comprendere…»

 Da 50 anni circa la fede non è più un fatto scontato. Tante generazioni prima di noi hanno potuto semplicemente credere con gli altri. Il patrimonio della fede veniva impresso in noi attraverso una prassi indiscutibile e ovvia. Quanto occorreva sapere si imparava nel catechismo. Si diveniva e si era cristiani dentro un quadro ben circoscritto. Chiamo questa modalità precedente della fede “cristianesimo nell’acquario”, dove ogni nuova generazione riusciva ad imparare a nuotare nuotando con gli altri.

Ma poi venne il mare: la libertà individuale, con un viaggio nel mondo quasi sconfinato delle possibili concezioni della vita. Per tante persone è stata una sfida eccessiva. A un tratto ci si è trovati liberi di poter credere e comprendere la propria fede, ma anche obbligati a farlo.

Sì, la fede stessa giunge a una nuova prospettiva: essa diventa risposta a una personale vocazione, a una grazia personale. Ciò cambia tutto. Sulla scia delle intuizioni profetiche di Bonhoeffer, si comprende allora che la sfida non sta nel battezzare i bambini ma nella questione del come si possa trovare la fede in Dio, come la fede possa crescere e come possa essere detta, pensata e annunciata, insomma come si possa oggi ri-annunciarla.

 

«Questa è la nostra colpa…»

 Per troppo tempo noi – e noi siamo Chiesa – abbiamo ignorato e sottovalutato questa situazione, fino ad oggi. Abbiamo continuato a comportarci come se ci trovassimo ancora nell’“acquario”. Abbiamo cercato colpevoli e, a seconda della nostra posizione nella Chiesa, la colpa era da cercare soprattutto negli altri: nel Papa, nei vescovi e nei parroci, nelle famiglie, nelle comunità, nel mondo “cattivo”. Bastava tragettare plotoni di bambini della prima comunione e di giovani cresimandi (non troppo grandicelli perché altrimenti «non li prendiamo più») attraverso corsi di catechismo, per poi accorgerci che né itinerari più lunghi né più corti, né metodi inediti né l’omissione di contenuti a noi incomprensibili hanno prodotto una vera formazione della fede, ma, nel migliore dei casi, l’inizio di una evangelizzazione.

Abbiamo combattuto per mantenere in piedi il nostro sistema, ma abbiamo perso la forza dell’annuncio. L’abbiamo persa perché ci siamo concentrati troppo sulla conservazione delle nostre strutture parrocchiali ed ecclesiali. Più lo facevamo – e lo facciamo a volte tuttora – più diventavano assurde le questioni e bizzarri i problemi. Mentre da un lato ogni sforzo veniva posto nel portare avanti in qualche modo gruppi giovanili e attività per i ragazzi, dando vita a gruppi per “tenere” le persone nella Chiesa – a prescindere da un autentico annuncio della fede e dalla convinzione di fede – dall’altro oggi le comunità ecclesiali davano e danno l’impressione di essere spiritualmente esauste. Cristiani in ricerca disertano le celebrazioni liturgiche perché appaiono loro troppo banali e perché la predicazione che vi si offre è spaventosamente innocua.

 

«Pregare e fare ciò che è giusto tra gli uomini…»

 Occorre una conversione. Occorre un nuovo inizio. E questo nuovo inizio comincia da noi stessi, chiedendoci quale è la nostra fede e quale la nostra sequela. Annunciare oggi Dio comporta un presupposto fondamentale, come a suo tempo ha fatto notare Karl Rahner: o il cristiano di domani sarà un mistico – cioè uno che ha alle spalle un’esperienza – o non ci sarà. È proprio questo che Bonhoeffer intende quando parla della preghiera e dell’azione del giusto. Pregare significa per lui: incontro con il Cristo risorto, col mistero dell’Amore di Dio. E forse sta proprio qui la maggiore sfida per l’annuncio: dove si trovano persone talmente “esperte” di Dio da trascinare altri nella loro vicinanza con Dio, affinché essa diventi nostra vicinanza con Dio?

Oggi l’annuncio si realizza soprattutto in questo modo: là dove persone irradiano e esprimono con la vita questa vicinanza di Dio, altri si sentiranno interpellati e attirati. È immensa la sete di tale autenticità. La gente è disposta a grandi sacrifici pur di poter scoprire la via d’accesso al mistero… e di esservi introdotti.

 

 

«… pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato…»

 Accade ciò attraverso parole? Annunciare la Parola di Dio non è anzitutto un evento linguistico. Si tratta di altro: di rendere partecipi di un’esperienza. Ciò è soprattutto un avvenimento carismatico. Non desta meraviglia che le persone si mostrino assai sensibili quando s’imbattono in luoghi e in comunità dove possono scorgere e sperimentare lo Spirito di Dio in tutto quello che vi avviene. Per questo il nostro tempo è «un tempo degli Ordini religiosi» – tempo dei carismi: a volte le Comunità religiose, sperimentando l’invecchiamento, non sembrano credere che questo tempo di radicale mutamento potrebbe diventare la loro ora. Eppure, i conventi – persino quelli disabitati – e le comunità in cui si respira preghiera, sono ricercati e hanno una attrattiva. E dove viene vissuto veramente l’amore reciproco, dentro o fuori i confini delle comunità parrocchiali, là si aggregano persone disposte a loro volta a mettere in gioco la loro vita. E dove c’è qualcuno che, guidato da un’esperienza interiore, si proietta verso l’esterno, non mancherà di trovare alleati. Tutto ciò, in realtà, non è un’esclusiva degli Ordini o dei Movimenti ecclesiali, ma è legato a una nuova radicalità nella sequela. In fin dei conti si tratta della domanda come le persone possano scoprire oggi la dignità della loro vocazione battesimale.

Dove avviene questo, si forma la Chiesa. Sta qui il fulcro: dove si mira a conservare lo status quo si fa largo il vuoto, mentre dove si rende sperimentabile la presenza di Cristo e l’avvento del Regno di Dio, cresce la Comunità di Dio, il suo Popolo.

«Ogni pensiero, ogni parola e ogni misura organizzativa, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo, devono rinascere da questo pregare e da questo fare», afferma Bonhoeffer. Ogni annuncio trae la sua forza da questo rinnovamento interiore. A che servirebbe, altrimenti? L’intimo segreto dell’annuncio non consiste, infatti, nel farsi strada di nuovi metodi e discorsi pieni di grazia, né nella nostra presenza sul web 2.0 e neppure nel fatto che la nostra liturgia risulti finalmente comprensibile e non sia più noiosa o che finalmente scopriamo qualche ritrovato per ammagliare i ragazzi, ma nel fatto che Dio stesso possa parlare perché è presente e ci fa sperimentare l’avvento del Suo Regno. Là dove ciò riesce, la Chiesa cresce e l’annuncio è credibile.

 

Christian Hennecke

 



[1] D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, Queriniana, 406.