Ricomporre la frattura tra il Vangelo e la vita

 

 

Da cristiani di fronte ai scenari attuali

 

«I nuovi scenari con cui siamo chiamati a confrontarci chiedono di sviluppare una critica degli stili di vita, delle strutture di pensiero e di valore, dei linguaggi costruiti per comunicare. Essa al medesimo tempo dovrà funzionare anche come autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici.

Qui trova il suo specifico e la sua forza lo strumento della nuova evangelizzazione: occorre guardare a questi scenari, a questi fenomeni sapendo superare il livello emotivo del giudizio difensivo e di paura, per cogliere in modo oggettivo i segni del nuovo insieme alle sfide e alle fragilità. “Nuova evangelizzazione” vuol dire, quindi, operare nelle nostre Chiese locali per costruire percorsi di lettura dei fenomeni sopra indicati che permetta di tradurre la speranza del Vangelo in termini praticabili. Ciò significa che la Chiesa si edifica accettando di misurarsi con queste sfide, diventando sempre di più l’artefice della civilizzazione dell’amore.

Di più, “nuova evangelizzazione” vuol dire avere l’audacia di portare la domanda su Dio all’interno di questi problemi, realizzando lo specifico della missione della Chiesa e mostrando in questo modo come la prospettiva cristiana illumina in modo inedito i grandi problemi della storia. La nuova evangelizzazione ci chiede di confrontarci con questi scenari non restando chiusi nei recinti delle nostre comunità e delle nostre istituzioni, ma accettando la sfida di entrare dentro questi fenomeni, per prendere la parola e portare la nostra testimonianza dal di dentro».

 

Nuovi modi di essere Chiesa

 

«Queste nuove condizioni della missione ci fanno intuire che il termine “nuova evangelizzazione” indica finalmente l’esigenza di individuare nuove espressioni dell’evangelizzazione per essere Chiesa dentro i contesti sociali e culturali attuali così in mutamento. Le figure tradizionali e consolidate – che per convenzione vengono indicate con i termini “paesi di cristianità” e “terre di missione” – accanto alla loro chiarezza concettuale mostrano ormai i loro limiti. Sono troppo semplici e fanno riferimento a un contesto in via di superamento, per poter funzionare da modelli di riferimento per la costruzione delle comunità cristiane di oggi. C’è bisogno che la pratica cristiana guidi la riflessione in un lento lavoro di costruzione di un nuovo modello di essere Chiesa, che eviti gli scogli del settarismo e della “religione civile”, e permetta in un contesto postideologico come l’attuale di continuare a mantenere la forma di una Chiesa missionaria. In altri termini, la Chiesa ha bisogno, dentro la varietà delle sue figure, di non perdere il volto di Chiesa “domestica, popolare”. Pur in contesti di minoranza o di discriminazione la Chiesa non può perdere la sua capacità di restare accanto alla vita quotidiana delle persone, per annunciare da quel luogo il messaggio vivificante del Vangelo. Come affermava Papa Giovanni Paolo II, “nuova evangelizzazione” vuol dire rifare il tessuto cristiano della società umana, rifacendo il tessuto delle stesse comunità cristiane[1]; vuol dire aiutare la Chiesa a continuare ad essere presente “in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”[2], per animarne la vita e indirizzarla al Regno che viene».

 

Trasmettere ciò che si crede e si vive

 

«La trasmissione della fede è dunque una dinamica molto complessa che coinvolge in modo totale la fede dei cristiani e la vita della Chiesa. Non si può trasmettere ciò che non si crede e non si vive. Segno di una fede radicata e matura è proprio la naturalezza con cui la comunichiamo agli altri. “Chiamò a sé quelli che voleva […] perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3, 13-14). Non si può trasmettere il Vangelo senza avere alla base uno “stare” con Gesù, un vivere nello Spirito con Gesù l’esperienza del Padre; e, in modo corrispettivo, l’esperienza dello “stare” sospinge all’annuncio, alla proclamazione, alla condivisione di ciò che si è vissuto, avendolo sperimentato come buono, positivo e bello.

Un simile compito di annuncio e di proclamazione non è riservato a qualcuno, a pochi eletti. È dono fatto ad ogni uomo che risponde con fiducia alla chiamata alla fede. La trasmissione della fede non è un’azione specializzata, da appaltare a qualche gruppo o a qualche singolo individuo appositamente deputato. È esperienza di ogni cristiano e di tutta la Chiesa, che in questa azione riscopre continuamente la propria identità di popolo radunato dalla chiamata dello Spirito, che ci raccoglie dalla dispersione del nostro quotidiano, per vivere la presenza tra noi di Cristo, e scoprire così il vero volto di Dio, che ci è Padre. “I fedeli laici, in forza della loro partecipazione all’ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza”[3]».

dai Lineamenta per la prossima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi su
“La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, nn. 7, 9 e 12.

 

 



[1] Cf Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici 34.

[2] Ibid., 26.

[3] Ibid., 34. Cf anche Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in America 66; Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini 94.